- Tutte le istituzioni sono istituzioni politiche. Anche la Corte: ha una composizione che in parte viene dal sistema politico - i due terzi dei giudici sono di estrazione politica -, ha sempre avuto anche una divisione politica all'interno, e con le sue decisioni produce effetti politici.
- Le innovazioni del presidente della Consulta Amato devono convivere con le contraddizioni di un orientamento restrittivo dell’uso dei referendum.
- Serve un recupero dell’autorevolezza delle istituzioni, governo e presidente del consiglio compresi.
Giuliano Amato è un’alta personalità che ha attraversato per mezzo secolo le fasi dello stato democratico, dall’espansione virtuosa alla sua crisi, da protagonista e parte in causa, testimone distaccato e giudice costituzionale. Ciò che dice e fa deve essere guardato con attenzione e rispetto.
Da presidente della Corte Costituzionale ha innovato: con la sua conferenza stampa ha stabilito che non è sufficiente la motivazione delle decisioni per spiegare il contenuto del provvedimento preso, ma serve un dialogo fra istituzione e opinione pubblica.
Partiamo da un principio: tutte le istituzioni sono istituzioni politiche. Anche la Corte: ha una composizione che in parte viene dal sistema politico - i due terzi dei giudici sono di estrazione politica -, ha sempre avuto anche una divisione politica all'interno, e con le sue decisioni produce effetti politici.
Colpisce che nella conferenza stampa Amato abbia assunto posizioni diverse. Da una parte, motivando il respingimento dei referendum su cannabis e su omicidio del consenziente, si è appassionato a una spiegazione anche partigiana della decisione. Quando ha motivato il no al quesito sulla responsabilità civile dei magistrati ha detto che il referendum era diventato da abrogativo a innovativo. Ma tutti i referendum intervengono selettivamente nell'interno della norma e dunque sono innovativi. Un orientamento del genere restringerebbe molto il campo di azione dei referendum. E c’è un altro orientamento restrittivo quando estende il concetto degli accordi internazionali che non possono essere materia referendaria: un domani anche una direttiva comunitaria potrebbe impedire la celebrazione di un referendum.
Siamo in presenza di un orientamento di limitazione del diritto alla richiesta dei referendum. Il che fa nascere una questione. Amato da una parte allarga il dialogo partecipativo, e dall'altra restringe l'uso dell'istituto. È contraddittorio. È in discussione non la ricerca del pelo nell'uovo, ma l’esistenza dell’uovo stesso. Ed è in contraddizione anche con il messaggio del presidente della Repubblica tutto incentrato sul principio di una maggiore partecipazione.
La discussione avviene sul tema della giustizia. Ciò che sta avvenendo nella magistratura è allarmante. E non dovremmo commettere l’errore che commisero i magistrati trent'anni fa quando pensarono che la demolizione della democrazia organizzata dei partiti potesse innescare un processo virtuoso di consolidamento della democrazia.
Noi non pensiamo che una decadenza della magistratura possa rendere più democratica la società. Bisogna che tutti rientrino nel loro campo. E che la magistratura riveda i meccanismi delicati della segretezza con cui si procede alla assegnazione degli incarichi di alta responsabilità e nello scambio di corsia fra attività politica e giudiziaria. La trasparenza che Amato ha introdotto nella vita della Corte, dovrebbe anche avvenire nel campo dell'esercizio dell’attività della magistratura.
Il richiamo del Quirinale, il richiamo di Amato. Fra questi c’è la nota stonata del presidente del consiglio che nel giro di 24 ore ha definito il suo governo inaffidabile e poi bellissimo. Forse scarti umorali che poco attengono all’opera della ricomposizione del prestigio delle istituzioni, e che mettono in luce desideri insoddisfatti che prendono la mano.
Tutte le istituzioni hanno un anno davanti per operare concretamente e anche per attivare il recupero del prestigio delle istituzioni, compreso il governo.
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