- Le elezioni regionali hanno sempre avuto una rilevanza nazionale, hanno fatto cadere governi, distrutto o creato leadership.
- Questa volta non accade, anche se al voto vanno le due regioni più importanti d’Italia.
- La frantumazione del fronte anti-destra consegna così le dure regioni a candidati deboli.
Le elezioni regionali hanno sempre avuto una rilevanza nazionale, hanno fatto cadere governi, distrutto o creato leadership. Questa volta non accade, anche se al voto vanno le due regioni più importanti d’Italia almeno dal punto di vista simbolico, quelle che includono le due “capitali”, amministrativa ed economica: Lazio e Lombardia.
Il voto è quasi irrilevante dal punto di vista nazionale perché in questo momento i rapporti di forza sono cristallizzati e praticamente niente li può smuovere.
Nel centrodestra domina Fratelli d’Italia, che continuerà a erodere voti e potere agli alleati, il centrosinistra è acefalo e frammentato: Enrico Letta è in uscita da un Partito democratico in attesa delle primarie.
Il lungo congresso, ormai quasi permanente, del Pd ha anche congelato il tentativo di scalata ostile dei Cinque stelle: Giuseppe Conte è in attesa di capire se avrà un interlocutore forte e radicalmente alternativo con cui trattare (Stefano Bonaccini) o se l’area del centrosinistra sarà scossa da scissioni o sommovimenti (molto dipende dalla performance di Elly Schlein alle primarie).
In questo stallo tra partiti sembra che il destino di Lazio e Lombardia sia quasi irrilevante. Eppure, non dovrebbe essere così, perché entrambe le regioni erano contendibili se il centrosinistra si fosse presentato compatto (per vincere serviva un accordo intorno a Letizia Moratti in Lombardia e ad Alessio D’Amato nel Lazio, con tutti di pancia del caso).
La frantumazione del fronte anti-destra consegna così le dure regioni a candidati deboli: in Lombardia Attilio Fontana non potrà far dimenticare di essere il primo responsabile del disastro sanitario durante il Covid, con lo strascico di inchieste e polemiche su sprechi e favori.
Nel Lazio, D’Amato ha gestito bene da assessore alla Salute la pandemia, ma è zavorrato da una condanna della Corte dei conti e dall’imperscrutabile decisione di diventare il testimonial di quell’inceneritore che il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha annunciato solo dopo le elezioni, non prima. Lodevole chiarezza ma un suicidio politico.
Il suo sfidante Francesco Rocca, in compenso, ha passato la campagna elettorale a tamponare le falle del suo passato: da giovane spacciatore di eroina, in tempi più recenti legato alla sanità privata degli Angelucci e acquirente delle case a sconto dell’ente previdenziale Enpaia, che conta una quota sospetta di politici e potenti vari tra i beneficiari delle dismissioni, come rivelato da Domani.
La sconfitta per il centrosinistra, a questo giro, è stata una scelta precisa. Forse inevitabile, perché quell’area non si è ancora riassestata dopo le elezioni del 25 settembre scorso.
Per questa volta gli elettori un po’ di pazienza l’avranno ancora, ma poi qualcosa dovrà davvero cambiare. O al centrosinistra resteranno più candidati che voti.
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