- Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, a ben vedere, è il problema che frena in Italia le politiche di modernizzazione legate alla transizione ecologica.
- Il ministro guarda al passato. Ovvero a 40 anni fa perché il testo del regolamento affida al Dipartimento energia le competenze in materia di mercati energetici e degli impieghi pacifici dell’energia nucleare.
- Inoltre è chiara e forte la propensione a soddisfare i piani industriali di Eni, che attraverso il deposito Co2 da 500 milioni di tonnellate continuerà a estrarre idrocarburi in un’operazione pericolosa di greenwashing considerato che l’area al largo di Ravenna è sottoposta a fenomeni di subsidenza.
Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, a ben vedere, è il problema che frena in Italia le politiche di modernizzazione legate alla transizione ecologica, da lui definita «un bagno di sangue».
Proprio ieri il Consiglio dei ministri ha approvato il regolamento del suo ministero che prevede rispettivamente all’articolo 5 comma 2 e all’articolo 13 lettera e) la gestione del nucleare e dello stoccaggio della Co2, progetto Eni al largo di Ravenna.
Il ministro guarda al passato. Ovvero a 40 anni fa perché il testo del regolamento affida al Dipartimento energia le competenze in materia di mercati energetici e degli impieghi pacifici dell’energia nucleare e procede incurante del fatto che la maggioranza degli italiani abbia detto No all’energia nucleare per ben due volte nell’arco di un quarto di secolo. Inoltre è chiara e forte la propensione del ministro a soddisfare i piani industriali di Eni, che attraverso il deposito Co2 da 500 milioni di tonnellate continuerà a estrarre idrocarburi in un’operazione pericolosa di greenwashing considerato che l’area al largo di Ravenna è sottoposta a fenomeni di subsidenza.
Contemporaneamente il ministro pubblica sul sito del Mite la Vas, Valutazione ambientale strategica, del PiTesai che dovrebbe individuare le aree idonee alla ricerca per idrocarburi, dove tra gli obiettivi ambientali del piano si parla di centrali nucleari e di tecnologie di stoccaggio del carbonio.
Abbiamo un ministro che propone un Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza, che prevede al 2030 un taglio della Co2 del 51 per cento contro il target previsto dalla Ue del 55 per cento. Quella stessa Ue che il ministro contesta perché sull’auto elettrica stiamo andando troppo in fretta a tal punto che lui e il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti hanno avviato una campagna sulla transizione ecologica spiegando che «con il piano Fit or 55 l’Italia salterà in aria» e ancora che «il green deal è una condanna a morte».
La svolta mancata
Il Pnrr è il frutto di questa strategia perché blocca gli investimenti sul trasporto pubblico, sulla mobilità elettrica, sulla dispersione idrica, sulle energie rinnovabili e punta ancora sulle fonti fossili attraverso l’idrogeno blu, cioè prodotto dal gas. Solo l’11 per cento degli autobus e dei treni regionali circolanti verranno sostituiti, gli altri automezzi vecchi e ancora alimentati a gasolio continueranno a rendere impossibile la vita degli italiani. Il Pnrr poteva rappresentare una grande opportunità per trasformare l’Italia accompagnandola verso quella necessaria conversione ecologica, ma così non sarà perché lo si è costruito per non indebolire alcuni asset strategici industriali del nostro paese che avevano tutto il tempo per prepararsi al cambiamento che l’Europa da anni chiede.
La transizione ecologica ha dei costi? Certo che li ha e il governo ha tutti gli strumenti economici messi disposizione dall’Europa per renderla più giusta e desiderabile socialmente.
Giorgetti e Cingolani che delineano scenari apocalittici però non dicono che i costi della crisi climatica e ambientale sono già oggi ingenti. La crisi ambientale nelle città italiane causa secondo l’Agenzia europea per l’ambiente 56.000 decessi l’anno e nel 2018 sono stati calcolati per tutta Europa costi economici per 166 miliardi di euro come riportato dallo studio dell’alleanza europea per la salute pubblica (Epha): Milano, Roma e Torino hanno danni per 9,3 miliardi di euro. In Italia il danno è di oltre 80 miliardi di euro l’anno, altri studi come quello dell’Oms individuano costi più elevati.
A questi dati ne vanno aggiunti altri e ne cito solo alcuni: i costi legati all’erosione costiera, al consumo del suolo, alla desertificazione e alla perdita di biodiversità. Con il consumo del suolo tra, il 2012 e il 2030, si calcola un danno tra gli 81 e i 99 miliardi di euro. Mentre con l’erosione delle coste porterà una perdita di 35 milioni di metri quadri con un danno di 48 miliardi di euro.
Non vi è alcun dubbio che la conversione ecologica debba essere socialmente desiderabile e giusta, ma il governo aveva e ha tutti gli strumenti per aiutare l’industria e le famiglie ad affrontare questa sfida epocale per salvare il pianeta: purtroppo non ha previsto nulla con il Pnrr ma può trattare con la Ue le risorse necessarie per aiutare questa fase di conversione invece di sabotare il piano Fit for 55. Il green deal mette a disposizione importanti risorse, c’è il fondo sociale che dovrà accompagnare la transizione ecologica, ma ci sono anche altre misure: Horizon 2020, Just transition fund, Innovation fund, il programma Life, la nuova programmazione Ue 2021-2027.
Le emissioni di Co2 hanno raggiunto il massimo storico di 419,3 parti per milione e si prevede un picco per il 2023 quindi, purtroppo, non è previsto per il momento un possibile calo.
L’Italia ha un problema perché il ministro Cingolani sta fermando la transizione ecologica, facendosi paladino del nucleare, di progetti pagati con i soldi degli italiani come il deposito di Co2 di Ravenna, e contemporaneamente sta facendo la guerra all’auto elettrica proponendo ancora incentivi pubblici ai motori diesel e benzina che inquinano ed emettono gas serra.
© Riproduzione riservata