- Mentre ci si appresta a discutere di riforma dell’euro zona, due punti fermi dovrebbero inquadrare il dibattito: (a) alla politica di bilancio dovrà essere data la possibilità che oggi non ha di regolare l’economia e sostenere l’investimento per il futuro; (b) anche se il debito pubblico non diminuirà, a livello globale la sostenibilità non è un problema
- Nel dibattito sulla riforma del Patto occorrerà concentrarsi su come consentire alla politica di bilancio di operare per la crescita e per la stabilizzazione. La riduzione del debito non dovrebbe far parte della nuova regola
- Per gestire il debito, presente e futuro, si dovrebbe creare un’Agenzia Europea del Debito, una banca che presterebbe ai paesi membri proteggendoli da pressioni indebite dei mercati
Il 2022 si preannuncia intenso per l’Europa. Nelle prossime settimane entrerà nel vivo il dibattito sulla riforma delle regole di bilancio e sull’assetto dell’eurozona. Per orientarsi nella discussione occorre partire da due punti fermi.
Il primo è che la politica di bilancio deve fare parte in pianta stabile della cassetta degli attrezzi dei policymaker. Per trent’anni si è vissuti nell’illusione che i mercati fossero in grado di regolarsi da soli, e che le piccole correzioni necessarie al margine in caso di problemi potessero essere apportate dalle banche centrali; della politica di bilancio, lenta a dispiegare i suoi effetti e fonte di distorsioni, si poteva fare a meno. È per questo che nel 1997 l’Ue si è dotata del Patto di stabilità della cui riforma si discute oggi.
Questa illusione è stata spazzata via prima dalla crisi del 2008, quando la politica monetaria si è rivelata inefficace (con i tassi che sono arrivati a zero), poi dalla pandemia che ha visto gli Stati in prima linea nel sostenere l’economia.
Che sia per contrastare le recessioni o per investire nella transizione ecologica e digitale di lungo periodo, la politica di bilancio ha oggi un posto centrale. La governance riformata dovrà quindi prevedere quella capacità di bilancio che oggi è quasi inesistente (per permettere ai paesi di far fronte alla pandemia, la Commissione ha dovuto sospendere il Patto di stabilità); questo potrà avvenire a livello dei paesi, tramite regole meno restrittive, o a livello europeo tramite la creazione di una capacità di bilancio significativa. Ma non se ne potrà fare a meno per far fronte alle sfide dei prossimi anni.
Il secondo punto fermo è che in futuro dovremo vivere con livelli di debito elevati. Visti i bisogni colossali di investimento dei prossimi anni, impegnarsi in riduzioni significative del debito pubblico sarebbe suicida.
Questo non è un problema enorme: i tassi di interesse a livello globale rimarranno bassi ancora a lungo e le politiche di bilancio espansive di cui necessita l’Europa saranno compatibili con la stabilizzazione del debito.
Conciliare politiche di bilancio attive e sostenibilità del debito
Quando si deciderà della riforma del Patto, quindi, occorrerà resistere alla tentazione di mettere la riduzione del debito al centro della discussione. Circolano proposte per consentire un rientro più graduale del debito al livello del 60 per cento del Pil o a una soglia più elevata; proposte condivisibili, che tuttavia non devono distrarre dall’obbiettivo principale di creare una regola che consenta di usare la politica di bilancio per far fronte alle crisi e per investire nella transizione digitale e ambientale. Insomma, la gestione del debito deve essere separata dalle regole di bilancio.
Questo non vuol dire trascurare il tema del debito pubblico. Se a livello globale i tassi rimarranno a lungo al di sotto del tasso di crescita, i singoli paesi soprattutto con debito elevato, non sono al riparo da aumenti repentini. Occorre proteggere i governi dalla pressione dei mercati senza incentivarne comportamenti irresponsabili.
Alcuni propongono di utilizzare la Bce per sterilizzare il debito generato dalla pandemia. L’istituto di Francoforte smetterà di acquistare titoli a marzo, ma questo non vuol dire che si libererà di quelli che si è messo in pancia da inizio della pandemia. Potrebbe anzi impegnarsi a rinnovarne l’acquisto a scadenza (roll-over), e tenerli così fuori dai mercati, dando sollievo ai paesi membri.
Questa soluzione è possibile ed economicamente sensata. Tuttavia, la protezione potrebbe venir meno in ogni momento; inoltre, tenere sotto controllo gli spread in modo permanente impedirebbe alla Bce di concentrarsi sul suo compito principale, di controllare l’inflazione e (sperabilmente) sostenere la crescita.
Un’Agenzia Europea del Debito
Per quello è preferibile immaginare altre soluzioni. Con Massimo Amato e altri lavoriamo sulla proposta di un Agenzia Europea del Debito. Sarebbe una banca che si finanzierebbe sui mercati a tassi di favore e concederebbe prestiti ai paesi membri, progressivamente assorbendone il debito. Questi non dovrebbero ricorrere ai mercati finanziari e potrebbero quindi essere protetti da pressioni indebite (rischio di liquidità).
Si tratterebbe di prestiti perpetui ai paesi membri, le cui rate prevedono anche un progressivo rimborso dei debiti. Questo aspetto differenzia l’Agenzia da altre proposte (fondi per il trattamento speciale del debito pandemico per esempio), perché le permette di assorbire in prospettiva tutto il debito dell’euro zona, evitando così esporre ad attacchi speculativi la quota di debiti nazionali rimasta fuori.
Per funzionare correttamente e per non incorrere nel veto dei paesi frugali, l’agenzia dovrebbe evitare di mutualizzare il debito e di proteggere i paesi in caso di comportamenti irresponsabili. Questo avverrebbe modulando l’interesse che i paesi pagherebbero sul debito.
Come avviene oggi, il dialogo politico tra Commissione, Consiglio e paese membro determinerebbe il rischio (detto “fondamentale”) delle finanze pubbliche e certificherebbe il rispetto o meno delle regole, che sperabilmente saranno più sensate di quelle attuali.
A quel punto l’Agenzia, organo puramente tecnico, modulerebbe l’interesse domandato per riflettere il rischio fondamentale e per sanzionare eventuali comportamenti irresponsabili. Questo eviterebbe comportamenti opportunistici (l’azzardo morale), giustamente temuti da molti.
L’Agenzia costituirebbe uno schermo tra i paesi e i mercati, che lascerebbe i paesi responsabili del rischio fondamentale ma li proteggerebbe da pressioni non giustificate e attacchi speculativi.
Vantaggi anche per i paesi frugali
Per quanto sembri a prima vista radicale, l’Agenzia potrebbe avere lo spazio politico per affermarsi, avendo vantaggi anche per i paesi del Nord Europa: in primo luogo, ogni paese rimarrebbe pienamente responsabile del proprio comportamento; poi, l’Agenzia consentirebbe alla Bce di normalizzare la propria politica monetaria senza doversi più preoccupare degli spread, cosa che molti chiedono a gran voce fin dal 2015; ancora, creando degli eurobond essa normalizzerebbe il mercato dei Bund tedeschi, con grande soddisfazione dei risparmiatori oggi penalizzati dai tassi negativi. Infine, ma non da ultimo, ridurrebbe i rischi di instabilità sui mercati finanziari.
In conclusione, nei prossimi mesi occorrerà tenere ben separato il tema della riforma delle regole, il cui obiettivo principale dovrà essere di consentire alla politica di bilancio di fare il proprio mestiere, da quello della gestione e della sostenibilità del debito pubblico, presente e futuro.
La creazione di un’Agenzia del Debito consentirebbe di erigere una barriera a protezione degli Stati membri senza esimerli dall’obbligo di politiche responsabili ed efficaci. La sua creazione sarebbe nell’interesse di tutti, non solo dei paesi ad alto debito come il nostro.
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