- Il centrodestra non è mai stato così di destra. E il principale partito del centrosinistra, il Pd, non è mai stato così di sinistra.
- In questa situazione sarebbe troppo facile prendersela con Carlo Calenda e Matteo Renzi e far carico ai loro caratteri tempestosi della difficoltà del loro schieramento.
- Il centro è un luogo pensoso, riflessivo, popolato di gente che non sentenzia, che non promette troppo, che percorre le sue strade con quel tanto di paziente tenacia.
Viene da chiedersi perché diavolo il “centro” attraversi la maggiore difficoltà proprio quando forse – forse – incrocia alcune delle sue maggiori possibilità. È vero, la legge elettorale non è d’aiuto. E però la radicalizzazione altrui apre molti spazi ai cultori delle canoniche vie di mezzo. E l’esercito degli astenuti fa capire che forse qualche spazio in più si potrebbe ancora trovare da quelle parti. Magari se solo si facesse la fatica di andarlo cercare con un po’ di pazienza in più.
Il centrodestra non è mai stato così di destra. E il principale partito del centrosinistra, il Pd, non è mai stato così di sinistra. Condizioni che sarebbero assai propizie, tutte e due, per chi volesse offrire un riparo a quella parte di elettorato che non è indulgente né verso i ragazzi che imbrattano i monumenti né, tantomeno, verso i cultori delle maniere forti. Eppure nel frattempo il Terzo polo si segnala soprattutto per le dispute, non proprio in punta di fioretto, tra i suoi leader. Così Giorgia Meloni ed Elly Schlein hanno monopolizzato la dialettica politica facendosi forti l’una dell’altra.
In questa situazione sarebbe troppo facile prendersela con Carlo Calenda e Matteo Renzi e far carico ai loro caratteri tempestosi della difficoltà del loro schieramento. Certo, dai leader centristi ci si aspetterebbe quei tratti di pazienza, di spirito accomodante, di attitudine alla mediazione che dovrebbero regnare da quelle parti. Ma già il fatto che la loro crisi venga interpretata quasi solo alla luce delle loro controverse personalità fa capire che esiste un problema più ampio e più profondo di quello che viene raccontato in questi giorni.
Frenesia politica
In realtà io credo che la crisi del centro sia figlia della sua difficoltà a fare i conti con la storia. C’è da quelle parti, anche da quelle parti, una frenesia politica – politica, non caratteriale – che offusca le buone intenzioni dei protagonisti. I quali tutto sommato pensano di sfidare le forze dominanti avventurandosi sul loro stesso terreno.
Vorrebbero essere assertivi, dinamici, risolutivi, privi di ogni dubbio, niente affatto problematici. E da questa postazione vorrebbero sfidare una destra e una sinistra che di quei caratteri, ciascuna a modo proprio, hanno fatto una bandiera. Errore, errore grave. Perché il centro, se esiste, è l’opposto di tutto ciò. È un luogo pensoso, riflessivo, popolato di gente che non sentenzia, che non promette troppo, che percorre le sue strade con quel tanto di paziente tenacia che a suo tempo si è rivelato come il modo migliore (non sembri paradossale) di modernizzare il paese.
Il centro non dovrebbe essere frenetico, movimentista, avventuroso. La sua suggestione semmai sta altrove. È fatta più di ascolto che non di proclami. Risiede in quella sua attitudine ad accompagnare il paese facendosi carico di certe sue inquietudini, accudendo le sue preoccupazioni, tessendo pazientemente la tela della sua faticosa convivenza. È il fuoco del caminetto, non quello che si leva dal campo di battaglia.
Il centro è il conte di Cavour che tesse la trama dell’unità italiana dialogando con un re, un generale e un profeta che gli assomigliavano assai poco e che non amava affatto. Il centro è Alcide De Gasperi che rende possibile il miracolo economico sconfiggendo l’integralismo della sua stessa parte. Il centro è quel lungo tratto di storia italiana che celebra senza troppa enfasi l’utilità del compromesso e il valore della misura politica. Tutte cose che al momento risultano più che minoritarie, si dirà. Ma che almeno possono rivendicare un significato. E di lì forse smuovere le coscienze e restituire un valore alle differenze.
Se posso permettermi di dare un consiglio a chi vorrebbe riportare in vita qualche traccia di quella antica cultura e sapienza politica vorrei suggerire loro di essere sé stessi. Di non mascherarsi, di non dissimularsi, di non farsi prendere dalla tentazione di opporre una muscolarità all’altra, un’emotività all’altra, un decisionismo all’altro. Tanto più che tutti quei muscoli, tutte quelle (finte) emozioni, tutti quei proclami di decisioni che poi mancano all’appello non sembrano davvero poter riuscire nel loro intento. Il centro non è l’attualità. Tantomeno la moda del giorno. Piuttosto è la storia. Una storia che può tornare attuale solo a patto di cercare di restare sé stessa.
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