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A Innocenzo Cipolletta non piace la riforma fiscale. E, nel suo articolo su Domani del 23 aprile, lo motiva sostanzialmente con due affermazioni: la «scomparsa della progressività fiscale» e l’«assenza di imposte patrimoniali».
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Sul primo punto, il suo primo argomento è dovuto alla sua non conoscenza della riforma. Non vi è infatti alcun ampliamento tout court del regime forfettario; tanto meno con quelle cifre, che vengono citate completamente a caso senza chiarirne la fonte.
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Sul secondo punto, sarà costretto a prendere atto che tale posizione non è condivisa da nessun partito presente in parlamento.
A Innocenzo Cipolletta non piace la riforma fiscale. E, nel suo articolo su Domani del 23 aprile, lo motiva sostanzialmente con due affermazioni:
La «scomparsa della progressività fiscale», a causa dell’ampliamento del regime forfettario (che a suo dire verrebbe portato «a 80mila euro con un’imposta del venti per cento») e a causa della prospettata riduzione da quattro a tre delle aliquote Irpef.
L’«assenza di imposte patrimoniali».
Sul primo punto, il suo primo argomento è dovuto alla sua non conoscenza della riforma. Non vi è infatti alcun ampliamento tout court del regime forfettario; tanto meno con quelle cifre, che vengono citate completamente a caso senza chiarirne la fonte.
Vi è semplicemente un principio di delega per l’introduzione di uno scivolo biennale verso il regime Irpef ordinario, per evitare che un autonomo che fatturi meno di 65mila euro ma che ha prospettive di crescita, non venga disincentivato a farlo (o venga incentivato a farlo in nero) da aliquote marginali effettive inaffrontabili, quali quelle al momento esistenti per chi supera quella soglia.
La progressività delle aliquote
Il secondo argomento invece è solo dovuto alla sua non conoscenza del concetto di progressività, che egli sembra correlare semplicemente al numero di aliquote. Un sistema progressivo invece è quello in cui l’aliquota media effettiva cresce al crescere del reddito, e tale risultato è ottenibile non solo agendo sulle aliquote ma anche su detrazioni, deduzioni e benefit monetari.
Prova ne sia che nell’ultima legge di Bilancio abbiamo ridotto da cinque a quattro le aliquote Irpef, eppure redistribuzione e progressività sono migliorate (Fonte: Dipartimento Finanze, “Assegno unico universale e revisione dell’Irpef: effetti distributivi sulle famiglie italiane”, pag. 8-9).
Sul secondo punto, prendo atto che la preferenza di Cipolletta è per l’introduzione di nuove imposte patrimoniali in grado di aumentare il gettito rinvenibile da quella tipologia di imposte. Lui sarà ahimè costretto a prendere atto che tale posizione non è condivisa da nessun partito presente in parlamento: un partito (Leu) si è espresso per redistribuire meglio il gettito, ma senza aumenti aggregati.
Non è difficile capire il perché: attualmente il gettito delle imposte patrimoniali in Italia è già superiore alla media Ue (2,4 per cento del Pil vs 2,2 per cento, Fonte: Taxation Trends in EU, 2020), e pare superiore anche alla media Ocse (fonte: Revenue Statistics 2021).
In particolare, un’imposta patrimoniale immobiliare esiste già, e si chiama Imu. Nella riforma fiscale vi è un principio di delega in grado di produrre, a partire dal 2026, una fotografia statistica molto precisa della sua attuale base imponibile, in modo da offrire ai legislatori futuri l’opportunità di verificare gli effetti redistributivi di una eventuale futura riforma a invarianza aggregata di gettito.
Imu e patrimonio
E come noto si tratta del punto su cui alcuni partiti hanno espresso perplessità, e su cui è in corso l’ennesimo tentativo di mediazione. Ma cionondimeno, cercare di sminuire la riforma fiscale perché non contiene nuove imposte patrimoniali è una posizione legittima, ma che non è stata accolta semplicemente perché non c’è stato neanche un partito disposto a sostenerla. E per fortuna, aggiungo io.
Oddio, perlomeno lo aggiungo al momento, ecco. Perché ho imparato che nella vita si può cambiare opinione in maniera molto radicale.
Leggendo l’appassionata arringa di Cipolletta a favore della spesa pubblica e della patrimoniale, infatti, mi è venuto in mente quando da direttore generale di Confindustria, nel dicembre 1993, si lanciava contro «la sciocca patrimoniale sui conti correnti» e scriveva che «la cura per l’occupazione è fatta da una maggiore flessibilità sul mercato del lavoro e da una spesa pubblica limitata» (cit. Recessione per la ripresa, contro le tentazioni dirigistiche. Banca Popolare Pugliese, dicembre 1993).
Quindi, come dire. Quello che ho scritto in quest’articolo è quello che penso ora e, per quanto conti, che ho sempre pensato in passato. Ma magari in futuro anch’io cambierò opinione in modo così radicale. Come Cipolletta.
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