Correva il 16 marzo 1993 quando il leghista Luca Leoni Orsenigo si alzò nell’aula di Montecitorio esibendo un cappio da forca. Era quella una Lega plasmata sulla matrice antisistema con gli arresti di Tangentopoli a certificare l’assioma «Roma ladrona». In molti pensarono allora e negli anni successivi che quel giorno si fosse toccato l’apice di una degenerazione di stile e contenuti. Due giorni fa il risveglio brusco determinato non tanto e solo dalla gravità della cronaca.
L’episodio è quello noto, ripreso da video e foto. Nel corso della seduta un deputato del Movimento 5 Stelle, Leonardo Donno, si è avvicinato al ministro Roberto Calderoli esibendo un tricolore, simbolo dell’opposizione all’autonomia differenziata che l’Aula stava votando. Da lì l’aggressione fisica di parlamentari della maggioranza, leghisti e di Fratelli d’Italia. A fatica l’intervento dei commessi ha limitato la violenza, il deputato è comunque caduto a terra stordito da colpi e calci.
Nel corso del tempo le aule parlamentari hanno conosciuto tensioni e disordini, ma quest’ultima pagina segna un cambio radicale della scena. Pochi minuti prima dell’assalto al collega, la presidenza aveva espulso un deputato leghista per essersi esibito nel simbolo della X Mas. Poi la violenza fisica nell’Aula, la stessa, dove dieci giorni fa Alessandro Preziosi aveva commosso studenti e autorità rileggendo stralci del discorso pronunciato da Giacomo Matteotti il 30 maggio 1924, l’ultimo della sua vita e di un parlamento consegnato per vent’anni alla dittatura mussoliniana.
Il legame con il fascismo
La novità di ora è che quanti rivendicano l’eredità di quella tradizione sono al governo dell’Italia. Lo sono legittimamente perché hanno vinto le elezioni del settembre di due anni fa. Il punto è come intendono ed esercitano il potere che ne è derivato. Lasciamo perdere una volta per tutte gli appelli stanchi alla presidente del Consiglio, alla seconda carica dello stato, a deputati e senatori di parte di questa maggioranza, a riconoscere la radice antifascista della Repubblica.
Non lo faranno mai, e se lo faranno perché costretti da anniversari e ricorrenze, mentiranno al paese e a sé stessi. La realtà è che il loro legame con la cultura e l’ideologia del fascismo è un dato da sempre rivendicato.
Il partito di Giorgia Meloni lo riflette in quella fiamma mai venuta meno nel simbolo mentre il neofita Matteo Salvini lo recluta nel promuovere il cinismo reazionario di un generale fanatico. Sino qui, cose note.
Regolamento di conti
La rottura si consuma quando la maggiore confidenza col potere e la sua impunità porta frange di quelle forze a rompere ogni freno inibitore e riscoprire il metodo della violenza e dell’aggressione fino dentro la solennità di un’aula parlamentare.
Come leggere il tutto? Volendo mutuare la formula costata al professor Luciano Canfora una denuncia da parte del capo del governo, mi sentirei anch’io di dire che sono semplicemente rimasti fascisti nell’anima.
Con l’aggravante che l’essere entrati nelle stanze del potere, la possibilità di spartire posti e prebende, fermare treni, insultare le opposizioni, ha spinto un ceto politico mediocre e raffazzonato a vivere questa stagione con lo spirito di chi ritiene maturo il tempo di un regolamento di conti, con gli avversari e, al fondo, con la storia.
Nei mesi gli esempi si sono susseguiti in un crescendo allarmante. Il vicesegretario della Lega se n’è uscito spiegando che per lui intonare Bella Ciao sarebbe un «gestaccio» ben peggiore del gesto della Decima!
Può darsi che questo Andrea Crippa sia inconsapevole dei 440mila italiani morti dal 10 giugno del 1940 alla metà del 1945. Se così fosse meriterebbe solo l’umana commiserazione verso chi è chiamato a esercitare compiti estranei alle sue capacità.
Purtroppo è probabile l’opposto, che il vice della Lega al pari di Salvini, Ignazio La Russa, Meloni, e una schiera di squadristi arruolati nelle rispettive formazioni, sappia benissimo qual è stata la storia recente e remota del paese che oggi la destra dovrebbe rappresentare con «disciplina e onore» come scolpisce l’articolo 54 della Costituzione.
Riempire le piazze
Ma se è così – e io temo che le cose stiano esattamente così – questo è anche il tempo di uscire di casa, riempire le piazze, e saldare la lotta per diritti sociali essenziali a cominciare dalla salute e un salario degno a una rinnovata coscienza antifascista in un’Italia dove nessuno – nessuno – può bestemmiare con parole e gesti sulle pagine migliori di un passato che alcuni vorrebbero resuscitare. Va fatto adesso, prima che si faccia tardi.
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