La norma votata dalla Camera il 21 novembre scorso consente interventi di valorizzazione immobiliare con una semplice segnalazione al Comune. Non può esserci una città dove si tutelano i diritti delle persone se lo spazio fisico è lasciato al più ricco, al più arrogante, al fare comunque e dovunque. Una città non è fatta solo di case
Il Salva Milano guarda al passato. Abbattere un edificio e sostituirlo con un grattacielo con la stessa procedura con cui si autorizza l’ampliamento di un appartamento. Demolire un vecchio deposito e realizzare al suo posto un albergo di lusso, con il vantaggio di ottenere una riduzione fino al 60 per cento degli oneri di urbanizzazione altrimenti dovuti.
Questo prevede la norma votata dalla Camera il 21 novembre scorso, e lo prevede perché a Milano la magistratura ha sequestrato cantieri nei quali sono stati autorizzati interventi simili, in base all’interpretazione che Milano – differentemente da tutte le altre città d’Italia – si è data delle norme vigenti.
La norma votata scrive nero su bianco che si possono superare i limiti di legge in altezza senza che ci sia bisogno di un disegno più ampio del singolo lotto su cui insiste l’edificio da sostituire e che interventi di consistente valorizzazione immobiliare, considerati come mera ristrutturazione edilizia, siano realizzabili con una semplice “segnalazione” al Comune, senza nemmeno versare alla città tutti gli oneri per la dotazione delle attrezzature.
Un passo indietro
La presentano come una norma che guarda al futuro, e invece è una norma che guarda al passato, perché è scritto proprio nell’ultimo articolo con il quale retrospettivamente si salvano i cantieri avviati negli ultimi dieci anni a Milano. Ma è una norma vecchia che, se approvata, ripristinerà modalità di costruzione della città tutte edilizie e privatistiche, modalità che già nella New York del 1916 fecero chiedere proprio ai privati di poter avere delle norme che consentissero uno sviluppo coordinato delle loro attività ed evitare il far west.
Pochi anni prima, sempre a New York, scoppiò il caso dell’Equitable Building, un grattacielo sorto in pochi mesi la cui altezza oscurò con la sua ombra diversi isolati di case provocando la furia dei proprietari, che chiesero al Comune di intervenire per regolare l’iniziativa privata in quanto, se condotta senza regole, abbassa la vivibilità urbana, il benessere dei cittadini e danneggia anche i proprietari immobiliari.
Il presidio dell’interesse generale, quello dei cittadini, attraverso i principi dell’urbanistica non viene come la destra racconta dalle esperienze del massimalismo pianificatorio, ma dalle culture progressiste che da sempre fondano l’intervento del pubblico a partire dal controllo delle esternalità negative che l’azione puntuale del singolo può realizzare.
Le norme cancellate
A Milano e in Italia, se il Senato approverà questa norma, accadrà invece proprio quello che agli inizi del Novecento si volle evitare: se si è proprietari di un immobile e a fianco c’è un edificio anche non residenziale, questo potrà essere trasformato in un edificio residenziale alto quanto si vuole nel solo rispetto di limiti che non sono più tali e con sconti negli oneri che l’operatore immobiliare deve versare alla città.
Le due norme di cui si pretende di dare l’interpretazione autentica con il Salva Milano, di fatto cancellandole perché considerate ormai obsolete, sono il dm 1444 del 1968 (art. 8, comma 2), gli standard urbanistici, e la legge urbanistica l.10 del 1977 (art. 41 quinquies), detta anche Bucalossi (ministro dei Lavori pubblici del Partito repubblicano che, ironia della sorte, fu anche sindaco di Milano).
Due norme che fondano l’Urbanistica in Italia, che mettono in correlazione l’attività edilizia privata e la costruzione della città pubblica e che nei due articoli citati condizionano la realizzazione di nuove edificazioni che superano i 25 metri di altezza alla presentazione di un piano attuativo che disegni in dettaglio l’organizzazione urbanistica, infrastrutturale e architettonica di un ambito di intervento.
Prevedono il pagamento di oneri e la realizzazione della città pubblica (aree a standard), come spazi verdi, infrastrutture e servizi, inclusa l’edilizia residenziale sociale.
Un appello a Schlein
Il Pd di Schlein si sta caratterizzando per una progressiva azione di posizionamento sui temi dei diritti della persona, del lavoro e in parte anche sull’ambiente. Il voto a favore dato alla Camera a questa proposta che ci riporta all’Ottocento, altro che futuro, è in netta contraddizione con questa tensione innovativa.
Per questo scrivo questa lettera aperta a Elly Schlein e mi aggiungo a quanti chiedono in tutta Italia, a partire da alcuni colleghi del Politecnico di Milano, di fermarsi, per guardare veramente al futuro.
Non può esserci una città dove si tutelano i diritti delle persone se lo spazio fisico è lasciato al più ricco, al più arrogante, al fare comunque e dovunque. Una città non è fatta solo di case, forse è il caso di ribadirlo.
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