Viva l’Italia. Diciamolo tutti insieme dopo che Cecilia Sala è tornata a casa. L’Italia che non abbandona mai nessuno, che non sceglie mai per la contrapposizione, che parla con tutti e non rompe mai i rapporti.

Non è retorica: è diplomazia. Soprattutto è saper stare al mondo, in questo mondo caotico e polarizzato nel quale sbagliare è molto facile. Fare la faccia dura non serve: meglio un onorevole e permanente dialogo con tutti, amici, alleati, ma anche contrari, rivali, distanti.

La liberazione di Cecilia è frutto di un lavoro di squadra che ha in comune una parola chiave: dialogo. Dialogo con gli Stati Uniti, intessuto senza indugio dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni con Donald Trump. Sentire, tra le altre cose, l’opinione americana era assolutamente necessario. Poi dialogo con l’Iran, un paese lontano dalla nostra sensibilità, ma con il quale la diplomazia italiana ha sempre tenuto i canali aperti.

Antonio Tajani, ministro degli Esteri, ha lavorato per proteggere Cecilia dalle pessime condizioni di carcerazione dei primi giorni: essenziale perché il dialogo fosse paritario nel reciproco rispetto. Insistere sulle condizioni di carcerazione (che infatti erano migliorate) era una priorità per portare avanti la trattativa con Teheran. Vi sono circostanze che possono sembrare anodine al grande pubblico ma che sono essenziali nel “dialogo diplomatico” tra due paesi.

Infine dialogo tra le intelligence. L’approccio italiano non è comune a tutti i paesi. Molti stati occidentali non negoziano né dialogano: al massimo permettono che le famiglie trattino mediante agenzie private. L’Italia è il paese in cui chi viene arrestato o rapito all’estero deve essere riportato a casa dalle istituzioni a ogni costo. Molti nostri alleati non condividono tale impostazione, ma la società italiana è quasi unanime su questo. Flavia Perina definì la nostra attitudine a voler riportare tutti a casa «l’Italia del figliol prodigo», non importa cosa abbiano fatto, se «se la siano cercata» oppure no. Come scrisse: «Non c’è destra o sinistra che tenga davanti alla trama del figliol prodigo». Domenico Quirico rassicurò il suo compagno di prigionia belga dicendogli che l’Italia non dimentica mai nessuno e che sarebbero stato coinvolto anche lui.

Rammentiamo anche che le contrarietà dei nostri alleati possono manifestarsi, come nel caso di Giuliana Sgrena, in cui fu ucciso Nicola Calipari.

Meno nota la storia del tentativo di liberazione dell’ingegnere Franco Lamolinara, rapito dai Boko Haram in Nigeria assieme ad un collega britannico. Stranamente appena si seppe negli ambienti dell’intelligence che l’Italia aveva individuato il luogo e stava negoziando la sua liberazione (che avrebbe inevitabilmente coinvolto anche il cittadino inglese), le forze nigeriane fecero irruzione con il rischio di provocare una strage. Così fu e i due rapiti vennero entrambi uccisi.

Smettiamola dunque, una volta almeno, di dire che gli altri fanno meglio o che sono meglio di noi. Viva l’Italia. E basta.

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