Un passaggio del protocollo tra Italia e Albania sui centri per i migranti solleva dubbi circa la concreta possibilità di accedere a tali centri per verificarne le condizioni. Da anni c’è opacità su molti profili riguardanti le politiche in materia di immigrazione, motivata per lo più dalla necessità di tutelare relazioni internazionali, sicurezza e altro. Ci si può aspettare maggiore trasparenza sull’attuazione del Piano Mattei?
Il protocollo tra Italia e Albania è in linea con la Costituzione albanese, ha sentenziato l’Alta corte di Tirana. Tuttavia, oltre ai problemi giuridici che abbiamo già rilevato, esso presenta criticità ulteriori, connesse a modalità opache di gestione dell’immigrazione.
L'accesso alle strutture, afferma il Protocollo, sarà consentito «agli avvocati, ai loro assistenti nonché alle organizzazioni internazionali e alle agenzie dell'Unione europea che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti asilo, nei limiti previsti dalla normativa italiana, europea e albanese applicabile» (art. 9).
Il generico richiamo ai “limiti” induce molti dubbi in chi conosca quanto difficile in Italia sia l’accesso ai luoghi di trattenimento dei migranti, in particolare ai centri per il rimpatrio (cpr). In questi anni, a più di un’associazione umanitaria è stata negata l’autorizzazione all’ingresso con motivazioni più o meno pretestuose, per lo più attinenti a esigenze di tutela di ordine e sicurezza pubblica.
Sono stati necessari ricorsi in tribunale per vedersi riconosciuto il diritto a entrare. Peraltro, l’ingresso è precluso pure ai giornalisti, che non possono documentare le condizioni di chi vi è recluso. Mesi fa le condizioni infernali di vita nel cpr di Ponte Galeria, a Roma - dove domenica scorsa si è suicidato un ragazzo di 22 proveniente dalla Guinea – erano state documentate da Ilaria Cucchi con una telecamera nascosta. La senatrice aveva fatto anche un esposto ai magistrati, ma inutilmente.
L’opacità dei Cpr
Ai dinieghi di accesso ai centri per i migranti si aggiungono, poi, i dinieghi di accesso ai dati sui centri stessi. Nonostante una pagina del sito del ministero dell’Interno sia intitolata “Sbarchi e accoglienza dei migranti: tutti i dati”, non vi si trovano affatto “tutti i dati”. E chi ha voluto ottenere maggiori informazioni ha dovuto – anche qui – fare ricorso in tribunale, per provare a superare i rifiuti del Viminale.
Dunque, ci si possono aspettare analoghe difficoltà per i centri in Albania, e forse pure difficoltà maggiori, dato che nel protocollo è richiamato anche il diritto albanese, che potrebbe prevedere paletti aggiuntivi. Per cui tali centri saranno lontani dagli occhi, dalla concreta possibilità di entrarvi, nonché dall’accesso ai relativi atti. Opacità totale.
Nel Protocollo è richiamato pure il diritto europeo, ma al riguardo deve farsi una notazione ulteriore. Nel novembre scorso, la commissaria europea per gli affari interni, Ylva Johansson, aveva affermato che l’intesa tra Italia e Albania si collocava «al di fuori» del diritto dell’Unione. Qualcosa non torna.
La mancanza di trasparenza non consente nemmeno di valutare la legittimità delle assegnazioni alle navi delle ong di porti di sbarco lontani, dopo i salvataggi. Assegnazioni genericamente giustificate con la necessità di non gravare sul sistema di accoglienza delle regioni più esposte agli arrivi di migranti. Ma – di nuovo - le richieste di accesso agli atti sono state rigettate dal Viminale in ragione del fatto che la loro divulgazione potrebbe nuocere alle «relazioni nazionali ed internazionali» o alla «tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica».
Del resto, un «divieto assoluto» di conoscenza è sancito da un decreto del Viminale del marzo 2022, come rilevato di recente dal Consiglio di Stato su un ricorso di Altraeconomia.
Il piano Mattei
Eppure i destinatari di provvedimenti amministrativi, specie se in situazioni di fragilità, dovrebbero essere messi in condizione di valutarne la proporzionalità, e cioè - tra l’altro - se la scelta dell’amministrazione sia la meno onerosa tra quelle possibili in vista di un certo risultato.
Ma se l’amministrazione non consente di verificare la legittimità delle sue scelte, è chiaro che la sua discrezionalità finisce per tradursi in arbitrio. Nei giorni scorsi abbiamo sollevato la questione dell’opacità sulle operazioni di soccorso in mare.
Ma c’è opacità anche sui rimpatri – i cui dati non compaiono sul sito del Viminale – e soprattutto sugli accordi di rimpatrio. Da un lato, perché qualificati come intese di polizia, quindi non sottoposti al vaglio pubblico del Parlamento; dall’altro lato, perché esclusi dagli accessi agli atti per motivi per lo più connessi alla tutela delle relazioni internazionali.
Considerate le ragioni poste a base dell’opacità, ci si può aspettare che il governo sarà più trasparente su dati e informazioni circa l’attuazione dei progetti del Piano Mattei, che riguarda proprio rapporti internazionali, anche a fini di contrasto alle migrazioni?
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