Il successo in Sardegna coincide con il primo anniversario dell'elezione della segreteria del Pd. Mentre i salotti più conformisti continuano a descriverla con stereotipi, in questi dodici mesi ha cominciato a costruire qualcosa di simile a una strategia, basata su due idee semplici: la polarizzazione con Giorgia Meloni, il ritorno all'ascolto di pezzi di società
La vittoria di Alessandra Todde in Sardegna coincide con il primo anniversario dell'elezione di Elly Schlein alla segreteria del Pd, era il 26 febbraio 2023, un'altra notte a sorpresa. Anche in questo caso a capovolgere il risultato già scritto sono arrivati gli imprevisti, i non-invitati. Nel caso di Schlein contro Stefano Bonaccini, un anno fa, furono gli elettori del Pd e del centro-sinistra, identificati dagli sconfitti come estranei al partito, invece erano, semplicemente, lontani dalle correnti e dagli apparati già pronti ad apparecchiarsi la tavola degli incarichi e dei contentini.
Nel caso di Todde, sono stati i 40mila elettori che domenica hanno votato per lei e non per le liste che la sostenevano, con ampio ricorso al voto disgiunto. Si ripete la tradizione migliore del centrosinistra, da Prodi ai grandi sindaci degli anni Novanta, i Rutelli, i Bassolino, gli Orlando, che moltiplicavano i consensi sopra la somma dei partiti dell'alleanza.
Per la segretaria il voto in Sardegna è il giro di boa, un passaggio importante, ma non è certo un punto di arrivo e neppure un punto di partenza. Non è l'anno zero. Il risultato può aver sorpreso gli osservatori più pigri, gli stessi che non fiutarono l'esito delle primarie del Pd, ma non arriva per caso, è stato costruito dalla leader con una tenacia e un istinto politico che forse anche gli avversari cominciano a non sottovalutare.
Nonostante il rosario di attacchi quotidiani snocciolato contro di lei dalla corazzata politico-mediatica delle destre, ma anche dentro il suo partito e la sua area. Schlein gruppettara, Schlein che quando parla non si capisce quello che dice, Schlein sfiduciata perfino dai suoi parlamentari e dai suoi sindaci figurati gli elettori, Schlein succube di Giuseppe Conte, Schlein che non vincerà mai contro Meloni, per questo la premier l'ha scelta come avversaria, Schlein che non arriva neppure al 18 per cento... Mentre i salotti più conformisti continuavano a rilanciarsi a vicenda dosi massicce di stereotipi, la segretaria in questi dodici mesi, tra mille difficoltà, debolezze e contraddizioni, ha cominciato a costruire qualcosa di simile a una strategia, basata su due idee semplici.
I due punti chiave
La prima è la polarizzazione con Giorgia Meloni, perché in futuro, anche senza premierato, il sistema resterà a tendenza bipolare. Il più svelto a capirlo, al solito, è stato Matteo Renzi, che gira l'Italia con un libro che inneggia al centro, ma in realtà sta cercando un autobus per rientrare nel centrosinistra. Se il sistema torna bipolare, destra contro sinistra, sarà il Movimento 5 Stelle a dover scegliere. La scommessa di Schlein non è accomodante, come pensa la maggior parte degli osservatori, ma competitiva con Conte, che nell'indeterminatezza prospera da anni.
La seconda operazione, più profonda, è il ritorno all'ascolto di pezzi di società che il Pd, governista più che riformista, ha perso da tempo. Tra associazioni e piccoli comuni, parlando di salario minimo e di sanità pubblica, Schlein incontra luoghi e persone lontane da Roma, un'Italia che solo superficialmente si può definire minore, periferica. L'opposto della premier Meloni che invece negli ultimi mesi ha eretto il monumento a se stessa: la donna che da sola porta sulle sue spalle i destini della Nazione. Salvo che poi l'edificio si regge sui Truzzu.
Più che la scelta di un candidato sbagliato, colpisce la sordità di Meloni, la lontananza appagata dal potere e dall'illusione di indispensabilità, il distacco dalla realtà, l'arroganza denunciata per la prima volta ieri sui fogli della destra. Una destra Ztl, si direbbe, una destra spaziale, nel senso di Lollobrigida o di Elon Musk, questa sì marziana.
E adesso
La partita si riapre, il percorso dei prossimi mesi per Schlein è a tappe forzate: le prossime regionali, a cominciare dall'Abruzzo, il duello televisivo, la decisione sulla candidatura alle europee, la sfida su scala continentale contro le destre che vogliono riscrivere l'identità dell'Unione (in agenda c'è il congresso del Pse di Roma, ospite d'onore il premier spagnolo Pedro Sanchez). In tutte queste partite, va detto, Schlein parte sfavorita, in svantaggio. Ma è attrezzata a battersi in trasferta e a recuperare terreno, a suo agio quando viene data per spacciata. E riporta qualcosa che nel Pd dei segretari in fuga, dei ministri da qui all'eternità ma ospiti di maggioranze altrui, i figli di un dio minore, sembrava svanita: la voglia di vincere. Giorgia Meloni dovrebbe conoscerla bene.
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