- Se il giornalista va a documentare la piazza no-vax, questa si evolve e diventa aggressiva, perché reagisce al corpo estraneo; se i media ignorano i cortei, come quelli del sabato a Milano, cementano la convinzione dei manifestanti di essere oscurati dal sistema.
- Se il governo impone le vaccinazioni, offre nuovi argomenti a chi invoca la libertà e denuncia la dittatura sanitaria. Se sceglie soluzioni di compromesso, scatena la rabbia di chi ne contesta la pavidità e l’ipocrisia burocratica.
- Quando la somma di bizzarrie individuali diventa una minaccia alla salute pubblica e all’incolumità individuale, qual è il dovere del governo e quello di noi giornalisti?
Ormai la questione è se le piazze no-vax sono una espressione di un libero dissenso, da tollerare anche e soprattutto perché prive di basi scientifiche e razionali, oppure un pericolo, per i singoli e per la collettività, dunque da arginare o reprimere.
Anche gli squinternati hanno diritto a manifestare. Ma quando la somma di bizzarrie individuali diventa una minaccia alla salute pubblica e all’incolumità individuale, qual è il dovere di un governo e quello di noi giornalisti?
La giornalista di Domani Selvaggia Lucarelli è andata nella piazza no-vax di Roma sabato ed è stata aggredita, come era successo ad altri giornalisti in altre piazze. Certo, le sue domande non indicavano condivisione delle tesi della piazza, e il solo fatto che indossasse la mascherina la rendeva una aliena in mezzo ai sedicenti campioni della libertà.
Ma ciò che sembrava turbare di più i manifestanti sembrava essere lo smartphone con cui Selvaggia li riprendeva. Eppure di solito le persone scendono in piazza per essere viste, filmate, condivise sui social.
E’ come se i no vax e i no pass avessero sempre bisogno di sentirsi parte di una minoranza oppressa, ma priva di individualità specifica.
Ognuno ha la sua storia, nella quale però non trova sufficienti elementi per renderla generale: per questo ha bisogno di qualche legittimazione esterna – tipo Massimo Cacciari in tv – che validi la sua sensazione di sentirsi ostaggio di un sistema che solo pochi coraggiosi osano denunciare.
Si arriva così a uno stallo: se il giornalista va a documentare la piazza no-vax, questa si evolve e diventa aggressiva, perché reagisce al corpo estraneo; se i media ignorano i cortei, come successo a lungo con quelli del sabato a Milano, cementano la convinzione dei manifestanti di essere imbavagliati.
Se il governo impone le vaccinazioni, offre nuovi argomenti a chi invoca la libertà e denuncia la dittatura sanitaria; se sceglie soluzioni di compromesso, come il green pass che vale sia per i vaccini che per i tamponi, scatena la rabbia di chi ne contesta la pavidità e l’ipocrisia burocratica.
Ora che la quarta ondata minaccia l’Europa, dall’Olanda alla Germania, adottare restrizioni conferma il sospetto dei no-vax che i vaccini fossero poco efficaci, rinviarle per timore delle reazioni negative delle minoranze esagitare contribuisce a peggiorare il problema e a cementare la percezione (errata) che con o senza vaccini, con o senza green pass, i rischi sono gli stessi.
Uscire da questo stallo, dopo quasi due anni di tensioni sociali e frustrazioni individuali, è molto difficile perché la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e delle istituzioni nei cittadini si sta logorando. Un piccolo contributo può arrivare dai media e in particolare dalla televisione: i no-vax e no pass hanno il diritto di esprimersi in piazza, sui social, dove credono, ma chi parla a milioni di persone ha il dovere di non mettere tutto sullo stesso piano, il professore e l’esaltato, il filosofo e il medico, il giornalista complottardo e l’epidemiologo. Così come il governo ha il dovere di non trattare allo stesso modo i partecipanti alle manifestazioni rabbiose e chi da quelle piazze è spaventato.
Il confine è sottile, ma da come gestiamo la degenerazione del mondo no vax dipende molto di quale democrazia vogliamo costruire per il dopo Covid.
© Riproduzione riservata