Quando il cammino per la libertà e l’uguaglianza delle minoranze fa il suo salto indietro, i diritti delle persone omosessuali, per la loro vulnerabilità, sono tra le prime vittime.
«Che differenza fanno cinque anni. In tutto il paese, c’è stato un salto indietro nel cammino per la libertà e l’uguaglianza delle minoranze di genere e sessuali. Nuove forme di inclusione si sono scontrate con l’esclusione reazionaria. Tutto ciò è straziante. Ma, purtroppo, è cosa usuale». Le parole di Sonia Sotomayor, una delle tre giudici progressiste nella Corte suprema Usa a schiacciante maggioranza conservatrice, sembrano riguardare tutti, non solo gli Stati Uniti.
E non è un caso che Sotomayor le usi per esprimere il suo dissenso a una decisione in cui il blocco dei giudici conservatori salvava un operatore commerciale che, per motivi di cosiddetta coscienza, si era rifiutato di prestare la sua attività a favore di una coppia gay che celebrava il proprio matrimonio (303 Creative LLC v. Elenis, 2023).
«Alcuni hanno persino rivendicato, sulla base di sincere convinzioni religiose, un diritto costituzionale a discriminare», continua la giudice.
E quando il cammino per la libertà e l’uguaglianza delle minoranze fa il suo salto indietro – il suo backlash, l’inglese qui è più efficace – i diritti delle persone omosessuali, per la loro vulnerabilità, si candidano ad essere tra le prime vittime. Negare il fenomeno è un falso ideologico, che può essere talvolta spiegato, ma non giustificato.
Negli Stati Uniti, l’abbandono del principio di eguaglianza inteso come “group-disadvantaging principle” e dunque come paradigma anti-subordinazione, a favore di un ritorno a una eguaglianza strettamente formale ormai roba da museo delle antichità, non tarderà a mietere le sue vittime anche sul fronte dei diritti civili, come è già avvenuto, ad esempio, con lo stop alle azioni positive a favore degli studenti universitari di colore (Students for Fair Admissions, 2023).
Europa
Ma poi c’è la nostra Europa, con i venti gelidi che arrivano dai paesi orientali, in cui quello delle leggi contro la cosiddetta “propaganda Lgbt” è sempre un tema elettorale caldo. D’altra parte, la Russia poi non è così tanto lontana. E, armi a parte, non è così tanto lontana neanche da certi ambienti politici di casa nostra.
La questione è nota, e non occorre dire oltre. Forse vale solo la pena aggiungere che l’apparente (e solo apparente: vedi, prima di tutto, la vicenda dei figli delle famiglie arcobaleno) astensione del governo di destra dal mettere le mani sulle conquiste di civiltà finora ottenute non tranquillizza affatto. Perché i diritti sono un piano inclinato: se non si va avanti, si va indietro.
Africa
E poi c’è il grande continente africano, da cui arrivano cose che non avremmo voluto sentire, anche se purtroppo in linea con una costante che non è iniziata certo ieri. Solo il 29 dicembre 2023, la Bbc ha riportato la dichiarazione del presidente del Burundi Évariste Ndayishimiye secondo cui gli omosessuali «dovrebbero essere lapidati». Precisamente: «Dovrebbero essere portati negli stadi e lapidati, e farlo non sarebbe un crimine». E poi via con la storia di scegliere Dio o Satana: «Se vuoi Satana, te ne vai in occidente». È davvero incredibile quanto i discorsi d’odio si somigliano sempre così banalmente, da qualunque parte arrivino.
La questione africana – con più di trenta paesi a punire ancora i rapporti omosessuali – ha rovinato, si sa, il Natale anche in Vaticano. È stata l’opposizione di alcuni vescovi africani, insieme ad alcuni episcopati dell’Europa orientale – così lontani, così vicini – a convincere il dicastero della Dottrina della fede a quel maldestro (sotto tanti punti di vista) passo indietro sulle benedizioni alle coppie irregolari e omosessuali. Un bel backlash, anche qui.
E d’altra parte, dopo i quindici secondi di benedizione, sono arrivate pure le solite usurate parole del papa al corpo diplomatico: «I tentativi compiuti negli ultimi decenni di introdurre nuovi diritti hanno dato adito a colonizzazioni ideologiche, tra le quali ha un ruolo centrale la teoria del gender, che è pericolosissima perché cancella le differenze nella pretesa di rendere tutti uguali».
Lungi dal voler dettare alla chiesa, che ha una sua sapienza, i tempi per sviluppi dottrinali che occorrono di una riflessione condivisa e profonda, forse le si potrebbe però chiedere di proteggere i suoi figli almeno mentre cadono le pietre, evitando di offrirsi da sponsor a chi sta lì a tirarle. Da una chiesa «esperta di umanità» – come la chiamava il più grande, Paolo VI – ci si aspetta perlomeno questo.
Esiste peraltro un gruppo di coraggiosi cristiani Lgbt africani che, nei giorni scorsi, ha rilanciato, sui suoi canali social, una raccolta firme internazionale per esprimere una ferma condanna nei confronti delle dichiarazioni del presidente Ndayishimiye. Per chi volesse, si può firmare qui.
Quando ci sono i backlash, è l’ora di un maggior impegno. Se, nello scorso decennio, l’attivismo Lgbt ha conosciuto forse un rallentamento perché – almeno nel nostro piccolo occidente – certe conquiste sembravano definitive, ora occorre ritrovare slancio dal basso. Senza attendersi troppo dalle istituzioni, chiesa compresa.
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