Arricchito da un denso e impegnativo intervento del presidente Sergio Mattarella sul quale merita tornare, ha preso il via la Settimana sociale dei cattolici in Italia (a Trieste fino al 7 luglio). Un importante appuntamento tradizionale per la cattolicità italiana che vede impegnati 1.500 delegati, una qualificata rappresentanza di tutte le sue articolazioni territoriali e associative.

Il tema, singolarmente attuale e impegnativo, è “Al cuore della democrazia”. È legittimo auspicare una riflessione e un confronto contestualizzati, che si misurino con il dossier concreto e controverso delle riforme costituzionali in agenda. Una “mucca nel corridoio” che non può essere esorcizzata.

Lo prescrivono il tema, ma anche la tradizione e il documento preparatorio della Settimana. Basterebbe evocare un lontano ma eloquente precedente: la Settimana sociale del 1945 titolata “Costituente e Costituzione” nella quale si posero le basi del cruciale contributo dei costituenti di parte cattolica alla elaborazione della Carta fondamentale varata di lì a poco e che porta un segno visibile di tale apporto.

La “casa comune”

In un tempo nel quale si avanzano proposte di riscrittura di parti sostanziali di essa, è ragionevole attendersi un accurato, severo discernimento critico delle riforme in cantiere. Un discernimento, per altro, coerente con la visione della democrazia accennata nel documento preparatorio alla Settimana.

Ovvero una visione partecipativa della democrazia, una concezione pluralistica della società e dello stato, un assetto delle istituzioni ispirato ai principi, cari all’insegnamento sociale cristiano, della sussidiarietà e della solidarietà. Nonché a un metodo, quello del dialogo, che è consustanziale alla democrazia ed esemplarmente praticato dai padri costituenti.

I quali, pur in un tempo di aspro scontro ideologico e di Guerra fredda, seppero dialogare e convergere proficuamente sui principi, sulle regole e sulle istituzioni intese come “casa comune”.

La distanza dall’oggi

Come non misurare la distanza con la pretesa, da parte di una maggioranza politica contingente, di ridisegnare forzosamente e unilateralmente la Carta fondamentale – quanto al metodo – e, quanto al merito, di prendere una doppia opposta direzione a quella fissata dai padri ovvero: un massimo di verticalizzazione/personalizzazione del potere dell’esecutivo a palese discapito del pluralismo e della partecipazione, nonché una disarticolazione dell’unità e della solidarietà sociale e nazionale?

Giustamente la chiesa, dopo la fine dell’unità politica dei cattolici, ha avuto somma cura di non prendere parte tra le forze politiche, ma qui in gioco è un bene comune superiore alle parti: il patto di convivenza e i suoi valori-cardine.

Non sorprende dunque il giudizio apertamente critico già espresso dalla Cei e da varie conferenze episcopali regionali, specie del Mezzogiorno sull’autonomia differenziata. Dunque è lecito attendersi dal concerto delle voci raccolte nella Settimana triestina – comprensiva del laicato cattolico intellettualmente e socialmente impegnato – un ulteriore approfondimento critico e propositivo sul pacchetto delle riforme annunciate.

Il ruolo del laicato “adulto”

Se ai pastori non è inibito l’esercizio di un discernimento critico-profetico sul bene della polis alla luce del magistero sociale, a fortiori, per vocazione e competenza, al laicato “adulto” e responsabile, spetta di entrare ancor più nel merito della questione democratica e dei suoi istituti.

Perché quella dell’architettura costituzionale non è questione riduttivamente tecnica. Essa è pregna di implicazioni etico-politiche. Lo stesso discorso di Mattarella stimola e incoraggia a una riflessione critica in tal senso. Specie laddove egli ci avverte contro il «pericolo del populismo», la deriva verso «democrazie illiberali», lo strapotere delle maggioranze. Citando maestri del pensiero liberal-democratico come Montesquieu, Bobbio e il costituente Tosato. «Democrazie imperfette vulnerano la libertà» – ha ammonito il presidente – laddove «marchingegni alterino la rappresentatività degli elettori».

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