- Il Covid-19 è stato la scintilla che ha fatto esplodere le contraddizioni già latenti nel nostro sistema.
- Dire che «non c’è alternativa» ai lockdown e al green pass è un argomento politicamente debole.
- I nostri princìpi e le nostre leggi, dalla Costituzione in giù, sono probabilmente incompatibili con le sfide che ci attendono.
A ogni nuova misura di limitazione della libertà dei cittadini non vaccinati contro il Covid-19 (in Italia circa un quarto della popolazione) si fanno sempre più pressanti le questioni di ordine politico, giuridico, morale, sociale.
Se le ragioni di queste limitazioni eccezionali sono chiare – bisogna evitare ulteriori lockdown – è pure ovvio che si tratta di misure che entrano in conflitto con altri valori e altre norme che fino a pochi mesi fa sembravano non-negoziabili, a partire dalla libertà di movimento.
Che ciò potesse scivolare senza frizioni era improbabile. Di fatto abbiamo a che fare con la forma più riconoscibile della crisi di un sistema: il conflitto tra diverse procedure a fronte di un input imprevisto.
Ha gioco facile Massimo Cacciari nel denunciare che la nuova stretta è «gravissima e anticostituzionale», ma dopo due anni di pandemia bisognerebbe semmai chiedersi quanto sia adeguata una carta scritta 74 anni fa in un mondo totalmente stravolto.
«Non c’è alternativa»
Il miglior argomento che si possa fornire per difendere queste limitazioni è che, banalmente, “non c’è alternativa”. Ma è anche il peggiore perché, consegnando al calcolo tecnico una decisione che dovrebbe essere politica, svuota la democrazia della sua sostanza.
E seguendo una diversa catena di deduzioni avremmo ugualmente potuto concludere, come fa chi scende in piazza contro le politiche del governo, che se vogliamo preservare le istituzioni liberali “non c’è alternativa” alla convivenza con il virus.
Il problema è più generale, e la pandemia è stata soltanto la scintilla che ha dato fuoco alle polveri. Mettiamola così: via via che aumenta la complessità dell’ordinamento – cioè la quantità di norme che regola la nostra vita sociale – innanzitutto si riduce il margine di libertà e di azione democratica; in secondo luogo cresce il rischio di conflitti tra le norme stesse. E basta un imprevisto per far emergere la contraddizione, come un bug di sistema.
Le tragedie funzionano nelle stesso modo: c’è un ordine, poi c’è il caos, poi torna l’ordine. Cosa scatena il caos? Un evento imprevisto che produce conseguenze a catena, e richiede rigide precauzioni o rimedi drastici.
Insomma la tragedia ci mostra quello che succede a un sistema perfettamente funzionante – pensatelo come un calcolatore – nel momento in cui deve processare un input che lo manda in crash.
Nelle Coefore di Eschilo, Oreste è paralizzato dall’alternativa tra due doveri non-negoziabili: come può vendicare il padre se non gli è concesso di uccidere la madre? L’Atride opterà per il matricidio e verrà assolto dal tribunale delle Eumenidi.
Andrà diversamente per il suo erede moderno, Amleto: nella tragedia di Shakespeare tutto degenera e finisce in una mattanza generalizzata. È lo stato barocco che si mette in scena in tutte le sue disfunzionalità.
Obbligo o verità
Gli ultimi due anni sono stati una sequenza ininterrotta di bug di sistema, di decisioni prese perché “non c’è alternativa” a partire da premesse non-negoziabili, destinate a entrare in conflitto con ulteriori premesse non-negoziabili, producendo effetti sociali e normativi imprevisti ai quali è stato necessario rimediare con pezze improvvisate: vale a dire che per due anni abbiamo assistito alla semi-spontanea reductio ad absurdum di un intero ordinamento.
Se nel 2020 il principio di precauzione aveva motivato un lockdown durissimo, del quale ancora non abbiamo misurato le conseguenze, nell’anno seguente il governo italiano si è trovato di fronte all’esigenza contraddittoria di dover spingere una larghissima maggioranza della popolazione alla vaccinazione ma di non potere, per ragioni tecniche, mobilitare gli strumenti giuridici idonei (obbligo vaccinale) per farlo.
Assurdo, forse. Ma di fronte allo spettacolo, orrendo e sublime, di un mare in tempesta cosa possono fare gli uomini?
È qui che il paradigma agambeniano dell’Eccezione mostra il suo limite: c’è ben poco di politico, ben poco di sovrano nella governance della catastrofe, che appare semmai come l’output inevitabile di un calcolo burocratico che lasciava ben poche opzioni.
Forse perché la vera catastrofe, l’incontrollabile forza sfuggita al dominio umano, non è il virus bensì l’ordinamento. Superata la crisi pandemica, verrà il tempo di chiedersi come resisterà l’insieme ipertrofico delle norme giuridiche e dei princìpi valoriali di una società ricca e pacificata agli shock economici, sociali ed ecologici che la investiranno, se il sistema saprà rivoluzionarsi in maniera pacifica oppure, come appare più probabile, se le piazze continueranno a riempirsi di cittadini delusi e furiosi.
© Riproduzione riservata