- Nelle parafarmacie non si possono fare tamponi rapidi antigenici e test sierologici, riservati alle sole farmacie. La presenza in entrambe di farmacisti non è dirimente. La sentenza solleva dubbi.
- Le farmacie darebbero maggiori garanzie poiché si interfacciano con le autorità sanitarie «attraverso sistemi informativi e telematici» già in uso. Ma anche le parafarmacie sono collegate al Ssn e trattano dati “sensibili”.
- La Consulta riconosce di fatto l’inadeguatezza del sistema a processare più dati.
Nelle parafarmacie non si possono fare tamponi rapidi antigenici e test sierologici. La Corte costituzionale è stata chiara.
Le norme che ne consentono l’effettuazione solo alle farmacie (commi 418 e 419, l. n. 178/2020) non determinano «un’irragionevole disparità di trattamento tra farmacie e parafarmacie» né limitano la libertà di iniziativa economica delle seconde (articoli 3 e 41 della Costituzione).
Così si è espressa la Corte con riferimento alla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tar Marche, a seguito del ricorso di titolari di parafarmacie e associazioni di categoria.
I fatti
Nell’aprile 2021 la Regione Marche aveva approvato un accordo con le associazioni più rappresentative delle parafarmacie per l’effettuazione dei test Covid (deliberazione n. 465), «al fine di facilitare l’accesso dei cittadini alle prestazioni sanitarie, aumentare l’efficienza e la capillarità delle attività di prevenzione, mettere in atto un controllo più accurato dell’evoluzione della pandemia».
Alle parafarmacie era imposto, in particolare, «che i test si svolgessero con il presidio di un farmacista e che l’esito dei tamponi fosse comunicato all’amministrazione regionale ai fini dell’inserimento in apposita banca dati». Federfarma Marche – la federazione nazionale dei titolari di farmacia – aveva chiesto alla Giunta regionale l’annullamento della deliberazione, e la Giunta aveva provveduto.
Il tema era stato oggetto di ricorso al Tar Marche, che aveva sollevato la questione di costituzionalità riguardo alla norma che consente solo alle farmacie di fare tamponi. Secondo il Tar, «un farmacista abilitato è idoneo ad eseguire tutte le prestazioni connesse all’arte farmaceutica a prescindere dal luogo in cui egli si trovi ad operare».
Non c’è «una differenza oggettiva fra la prestazione erogata nella farmacia e quella erogata nella parafarmacia», e in entrambi i casi il tampone sarebbe stato eseguito sotto la sorveglianza del farmacista. Inoltre, quanto al profilo privacy, l’accordo con le parafarmacie prevedeva anche l’autorizzazione a trattare dati “sensibili”, e comunque «il farmacista è già di per sé soggetto alle regole deontologiche professionali».
Il Tar rilevava ancora che la limitazione disposta dalla legge è «in conflitto logico con la ratio sottesa alla normativa emergenziale, ossia quella di incrementare il numero di tamponi».
La Corte costituzionale
Secondo la Corte costituzionale, nonostante la presenza di farmacisti sia nelle farmacie che nelle parafarmacie, fra i due esercizi permangono «significative differenze».
Le parafarmacie sono esercizi commerciali (l. n. 114/1998), mentre le farmacie erogano assistenza farmaceutica (l. n. 833/78), rientrano nell’ambito del servizio sanitario nazionale (SSN) e svolgono un «servizio di pubblico interesse», preordinato al fine di «garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute». Perciò la Corte esclude che il legislatore abbia trattato diversamente situazioni eguali, in violazione dell’art. 3 Cost..
Fatta questa premessa, alcuni passaggi della sentenza lasciano perplessi.
Secondo la Corte, «è vero che l’estensione alle cosiddette parafarmacie della possibilità di erogare le prestazioni in discorso avrebbe assai probabilmente determinato un aumento quantitativo dei test effettuati».
Tuttavia il legislatore «ha, nella sua discrezionalità, valutato maggiormente rispondente alla tutela della salute (…) che tali test siano effettuati sì in un numero inferiore di luoghi, ma distribuiti sul territorio nazionale secondo logiche non meramente commerciali, bensì di adeguatezza rispetto alla popolazione, cui assicurare con continuità l’accesso a tali prestazioni sanitarie».
Sulla base di questa affermazione, sembrerebbe che la dislocazione secondo un sistema di pianificazione (l. n. 475/1968, una farmacia ogni 3300 abitanti) garantisca l’efficienza del servizio di test Covid. Chi ricordi le lunghissime code presso le farmacie, specie nel periodo natalizio - con conseguenti rischi di contagi tra le persone in attesa - si rende conto dell’astrattezza dell’affermazione stessa. Peraltro, se si riconosce che sia comunque utile fare più tamponi, evitando disagi ai cittadini e avendo un maggior numero di dati sul virus, sfugge il motivo per cui la dislocazione secondo una logica “commerciale” sia una sorta di disvalore per le parafarmacie.
Anzi, la logica commerciale porta ad aumentare l'offerta ove la domanda è più ampia. Inoltre, la Consulta non considera che non tutte le farmacie svolgono il servizio dei test anti-Covid. Di conseguenza, l’adeguatezza della loro distribuzione sul territorio non assicura che i cittadini possano avere un agevole accesso al servizio di test complessivamente erogato.
Ancora, la Consulta reputa non irragionevole la scelta del legislatore circa le parafarmacie poiché la trasmissione dei dati relativi ai test, se «effettuata da un numero limitato di soggetti», rende «più agevole la loro ricezione e gestione da parte delle autorità sanitarie».
In altre parole, una mole maggiore di dati, in quanto proveniente da un numero maggiore di soggetti autorizzati a monte, non sarebbe facilmente processabile a valle. Premesso che le parafarmacie avrebbero inviato i dati sui tamponi attraverso la medesima piattaforma usata dalle farmacie, l’affermazione segna il riconoscimento dell’inadeguatezza del sistema preposto al vaglio dei dati stessi.
La privacy
Un ulteriore argomento a sostegno della esclusione delle parafarmacie dal sistema dei tamponi riguarda il profilo “privacy”. Solo le farmacie – si afferma - si interfacciano con le autorità sanitarie «attraverso sistemi informativi e telematici» già in uso, essendo parte del Ssn.
E siccome l’effettuazione di tamponi comporta la trasmissione di dati personali «funzionale anche all’adozione (…) di provvedimenti limitativi della libertà di circolazione», il legislatore ha ritenuto necessario «un livello di “certificazione” riferibile a un soggetto già inserito nel sistema».
Anche questa affermazione appare discutibile, se si considera che le parafarmacie ricevono alla nascita un codice di tracciabilità del farmaco dal ministero della Salute, aderiscono al sistema Tessera Sanitaria, trasmettono per legge i dati del 730 precompilato, sono collegate al sistema della Ricetta Elettronica Veterinaria, in molte regioni erogano servizi di prenotazione per il Ssn (Cup), dispensano prodotti per celiachia, dispositivi medici, presidi per diabetici ecc..
Quindi, le parafarmacie già oggi sono per vari profili collegate al SSN e trattano dati particolari, “sensibili”, avvalendosi della medesima piattaforma usata dalle farmacie, nell’osservanza del GdprR (Regolamento Generale sulla Protezione dei dati).
In conclusione, le parafarmacie, «nate per incrementare l’offerta del servizio farmaceutico in favore dell’utenza e per aumentare il tasso di concorrenza all’interno del mercato di riferimento», come rilevato dal Tar Marche, non possono competere con le farmacie, contribuendo a un servizio più efficiente ai cittadini. Alla fine, il risultato è solo questo.
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