L’autorità monetaria Usa ha abbandonato la dipendenza dai dati per le sue decisioni. Una chiarezza d’intenti che sarebbe auspicabile anche per Francoforte
Al recente seminario di Jackson Hole, che raduna i banchieri centrali del mondo, il presidente della Fed, Jerome Powell, ha annunciato la vittoria nella lotta all’inflazione. È quindi venuto il momento di avviare la riduzione dei tassi per assicurare un atterraggio morbido dell’economia, perché la disoccupazione è diventato il rischio oggi prevalente negli Stati Uniti. Il discorso di Powell contiene però anche importanti osservazioni sulla conduzione della politica monetaria in questa nuova fase, rilevanti anche per la Bce che è chiamata a spiegare il suo scenario per l’inflazione e i tassi nella riunione del 16 settembre.
Powell dichiara raggiunto l’obiettivo di riportare l’inflazione al 2 per cento quando all’ultimo dato di luglio era ancora al 2,9 (3,2 il tasso “core”, cioè al netto di alimentari e energia). Per le sue decisioni, la Fed ha quindi di fatto abbandonato la “dipendenza dai dati” economici, che necessariamente riflettono le condizioni attuali e passate dell’economia, per utilizzare invece la previsione sulla futura dinamica di prezzi e occupazione.
Tre le ragioni. La prima è che anche i dati economici possono essere ingannevoli: la recente revisione dei dati sull’occupazione in America tra aprile 2023 e 2024 ha mostrato infatti come i 2,9 milioni di nuovi posti di lavoro creati, che avevano influenzato non poco i timori sulla dinamica salariale, fossero in effetti inferiori di ben 800mila occupati.
La seconda è che le aspettative di inflazione, variabile chiave nella lotta all’inflazione secondo Powell, sono ritornate ai livelli pre Covid.
La terza è che la Fed, dal 2020, guarda al livello medio di inflazione nel tempo, ovvero ammette il temporaneo superamento dell’obiettivo del 2 per cento se la crescita dei prezzi è stata a lungo al di sotto di questo livello, come negli anni prima della pandemia. Se infatti l’obiettivo del 2 per cento è visto come una soglia massima, le aspettative di inflazione tenderanno a essere inferiori al 2 ed eccessivamente deflattive, perché ci aspetta che la banca centrale mantenga un margine di manovra. Inoltre, ci sono validi argomenti per sostenere che l’inflazione di lungo periodo sia strutturalmente superiore al 2.
Sempre a Jackson Hole il capo economista della Bce, pur rimarcando i progressi sul fronte dell’inflazione, ha detto come l’obiettivo del 2 per cento non sia “ancora assicurato”. C’è una differenza sostanziale con le dichiarazioni di Powell, perché significa che la Bce rimane ancora “dipendente dai dati”, rispetto all’approccio previsivo della Fed. E questo nonostante il fatto che l’ultimo dato sull’inflazione nell’Eurozona a luglio del 2,6 per cento (2,9 il “core”) sia inferiore a quello americano e che le aspettative siano ben ancorate al 2 per cento. Infine, va considerato che in Europa la crescita economica, ancora anemica, espone maggiormente l’area euro al rischio di recessione.
Powell ha chiarito come nella lotta all’inflazione ci debba essere un equilibrio con il rischio di causare una recessione. Ma mentre il mandato del Congresso per la Fed è esplicito su questo punto, lo Statuto della Bce prevede che il suo unico obiettivo sia l’inflazione. Questo non è realistico, e di fatto anche la Bce tiene conto dell’attività economica, ma una maggiore enfasi sul rischio recessione sarebbe auspicabile.
Infine, c’è l’esigenza di ridurre l’enorme quantità di titoli in portafoglio che le banche centrali hanno accumulato per contrastare le conseguenze del Covid. Fed e Bce hanno già ridotto in modo sostanziale la dimensione del loro bilancio col il QT (quantitative tighening), drenando però in questo modo liquidità che può neutralizzare l’effetto della riduzione dei tassi: per evitarlo la Fed utilizza operazioni di mercato aperto con le banche. Non così la Bce, che segue una politica meno attiva, lasciando alla domanda delle banche la determinazione della liquidità nel sistema.
Le dichiarazioni di Powell sono importanti perché hanno voluto rimarcare la fine dell’esperienza con l’inflazione elevata e la conseguente svolta nella conduzione della politica monetaria. Una chiarezza che auspicheremmo anche dalla Bce.
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