Il senso è che gli agricoltori, pur vedendo sulla loro pelle gli effetti dei cambiamenti climatici, non credono che la transizione sia utile. La protesta è scomoda, e per certi versi reazionaria, ma è con queste domande che movimenti e partiti progressisti devono imparare a confrontarsi: com'è fatta davvero una transizione giusta?
Gli agricoltori vedono il cambiamento climatico, per loro non è questione di credere o non credere, lavorano con la materia fisica del mondo, conoscono l’emergenza quanto gli scienziati o gli attivisti, sanno che quest’anno si rischia un’altra siccità sulla scala quella di due anni fa, che costò 6 miliardi di euro a un settore che in pochi mesi perse il 10 per cento della produzione.
Da un punto di vista logico, dovrebbero usare il potere dei trattori di bloccare le strade per chiedere più lotta ai cambiamenti climatici, al fianco di Ultima Generazione. Invece oggi la maggioranza di loro non vede l’ecologia come uno strumento, ma come un ostacolo. Insomma, sanno che il clima è un problema, ma stanno protestando perché non credono alle ragioni della transizione, hanno scelto di pensare che non funzionerà, che non gli serve a niente, chiedono libertà di produrre, non vedono utilità in qualsiasi pratica di mitigazione climatica che li coinvolga.
La natura dei conflitti
Fabio Ciconte su Domani ha scritto del conflitto creato scientificamente tra agricoltura e transizione, quando il vero conflitto sarebbe tra agricoltura e cambiamento climatico. Questa è una sconfitta culturale enorme per l’ondata ambientalista dei movimenti che nel 2019, all’inizio di questo ciclo europeo che ha partorito il Green Deal, si era illusa di avere in mano l’agenda, di aver dettato le priorità e orientato le percezioni. Il modello agricolo attuale è insostenibile, sia per gli agricoltori che per i consumatori, ma le proteste di queste settimane ci raccontano qualcosa di più ampio: il clima rischia di diventare un fallimento politico, se non si trova una narrazione migliore.
Il negazionismo mutato
Uno studio del Center for Countering Digital Hate ha fotografato la metamorfosi del negazionismo, è l’analisi teorica di qualcosa che stiamo vedendo nella pratica con le file dei trattori. Non ci si oppone più alla realtà del cambiamento climatico in corso causato dagli esseri umani: i due terzi dei contenuti negazionisti oggi nutrono però l’idea che le soluzioni sono inutili, le tecnologie inefficaci, gli esperti incompetenti, gli attivisti manipolati da un’élite globalista. Il bersaglio non è più il clima, è la transizione. Esattamente il discorso di fondo delle proteste dei trattori.
A settembre uno studio di European Council on Foreign Relations aveva predetto: ci sarà una tempesta perfetta di proteste anti Green Deal, le resistenze maggiori arriveranno dai settori industriali e agricoli. Non era preveggenza, è una storia che abbiamo già osservato nel laboratorio olandese. In estate e autunno le strade bloccate dai trattori, che protestavano contro una norma per fermare le emissioni del settore. Stesse parole, stessi slogan, stesse tattiche. A novembre ci sono state le elezioni, prima forza un partito apertamente negazionista, il Pvv di Geert Wilders.
Negare è seducente
La storia che contiene le ragioni della transizione ecologica è difficile da impacchettare politicamente per farne consenso, perché è una storia che non prevede una vittoria, almeno una vittoria chiara. Qualunque cosa faremo, vivremo comunque in un contesto di crisi climatica, la transizione consiste nel bivio tra una crisi climatica che si può gestire e una crisi ingestibile, un esito che comunque vada mostrerà effetti sulla scala dei decenni e delle generazioni. La storia opposta, quella del neonegazionismo, al contrario è seducente perché è facile da raccontare, con vittorie chiare e nemici ben identificabili, burocrati, ambientalisti, giornalisti che bevono champagne, la gente che non capisce la fatica dei campi.
La sinistra
Nella protesta dei trattori c’è un misto di buona e cattiva fede, ma c’è soprattutto un gruppo sociale lasciato senza buone opzioni, che sta comprensibilmente scegliendo le paure immediate rispetto a quelle a lungo termine. La protesta è scomoda, per certi versi reazionaria, ma movimenti e partiti progressisti non possono ignorarla, devono imparare a confrontarsi con le loro domande, ad avere risposte e argomenti: com’è fatta davvero una transizione giusta? Quanti pezzi del modello, agricolo e non, si può avere il coraggio di toccare? Quando parliamo di grande distribuzione? Quella contro i sussidi ambientalmente dannosi è una delle più consolidate battaglie ambientaliste: ora però abbiamo visto cosa succede quando vengono tolti. Non basta ripetere che la transizione crea lavoro, anche se è vero. Per guarire un modello malato per tutti serve immaginare un nuovo modello, per farlo servono forze intellettuali.
Un anno fa il principale partito progressista italiano è stato conquistato con un documento che parlava di giustizia climatica. Sembra controintuitivo, ma gli agricoltori chiedono giustizia climatica. Ed è un buon esame per capire cosa intendeva, per esempio, Elly Schlein, quando parlava di giustizia climatica.
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