- Il governo Meloni intende rafforzare le trivellazioni di gas nei mari italiani.
- Se il governo vuole ampliare le concessioni di sfruttamento di gas in Italia è libero di farlo, per quanto contraddittoria sia questa decisione. Ma mettere in piedi un meccanismo di trading energetico che ruota attorno al Gse è tutto un altro paio di maniche.
- Il dubbio interpretativo del testo di legge riguarda appunto il ruolo del Gse. La lettura più probabile è che il Gse sia una controparte vera e propria dei contratti derivati in questione. In questo caso, lo stato si metterebbe a fare il trader energetico.
Il governo Meloni intende rafforzare le trivellazioni di gas nei mari italiani. Secondo QualEnergia.it è un gioco d’azzardo pericoloso di chi pretende di mettersi a fare il trader energetico o il croupier senza averne il mandato, le competenze, le tempistiche o l’organizzazione.
Il rilascio dei nuovi permessi e il maggiore sfruttamento di alcuni già esistenti sono infatti subordinati alla partecipazione dei produttori di gas ad un meccanismo finanziario prefigurato dal governo, coordinato dal Gestore servizi energetici (Gse) e incentrato su prezzi amministrati ottenuti tramite la sottoscrizione di contratti derivati.
Le promesse di gas sovrano con prezzi amministrati poggiano sulle basi esili di un testo di legge non chiaro. Il governo vuole fissare una fascia di prezzo tramite l’adozione di un meccanismo di copertura del rischio finanziario, imponendo maldestramente l’utilizzo di quegli stessi contratti derivati che spesso la politica non ha esitato a criticare come strumenti speculativi, sbagliandosi grossolanamente sia nel criticarli quando usati da fantomatici speculatori, sia nel volersene servire ora direttamente.
Se il governo vuole ampliare le concessioni di sfruttamento di gas in Italia è libero di farlo, per quanto contraddittoria sia questa decisione. Ma mettere in piedi un meccanismo di trading energetico che ruota attorno al Gse è tutto un altro paio di maniche. Il dubbio interpretativo del testo di legge riguarda appunto il ruolo del Gse. La lettura più probabile è che il Gse sia una controparte vera e propria dei contratti derivati in questione. In questo caso, lo stato si metterebbe a fare il trader energetico.
Un’altra possibile, ma meno probabile, lettura è che il Gse svolga solo un ruolo di smistamento dei derivati, agendo come un croupier e mettendo in capo ai privati tutto il rischio e la responsabilità di questi contratti. La bozza di decreto Aiuti quater prevede che «il Gruppo Gse stipula contratti di acquisto di diritti di lungo termine sul gas… in forma di contratti finanziari per differenza…di durata massima pari a 10 anni».
I “contratti per differenza” prevedono che, a seconda che la differenza fra prezzo di mercato e prezzo amministrato sia a favore dell’acquirente o del venditore, la controparte favorita pagherà la differenza di prezzo a quella sfavorita, in modo da riequilibrare la transazione al livello di prezzo amministrato deciso in partenza. Se, cioè, al momento della chiusura del contratto il prezzo di mercato è inferiore al prezzo amministrato, l’acquirente dovrà pagare al venditore la differenza. Se, invece, il prezzo di mercato alla chiusura della transazione è superiore al prezzo amministrato, il venditore pagherà all’acquirente la differenza.
Il gioco funziona per l’acquirente finché il prezzo di mercato è superiore a quello amministrato. Ma cosa succede se fra qualche anno il prezzo di mercato scende sotto la soglia minima dei 50 euro/MWh calmierarti dal governo? Cosa succede se, invece di un trader con un portafoglio equilibrato di derivati, è lo stato che si mette a fare trading energetico, puntando tutte le fiches su un’unica scommessa rialzista su un unico prodotto? Succede che gli energivori incastrati nel meccanismo di derivati creato dal governo-trader pagheranno il gas più di quanto non dovrebbero. Oppure, che lo stato si ritroverà sul groppone gas sopra-pagato che gli energivori non vorranno prendere in consegna e che andranno ad aumentare il passivo pubblico.
Lo stato-croupier
Politicamente sarebbe un suicidio per il governo obbligare gli energivori a comprare gas a prezzi superiori a quelli di mercato, anche se legalmente lo stato potrebbe cercare di far valere i risultati delle aste in modo coercitivo. La bozza del decreto indica che il meccanismo funzionerà «senza nuovi o maggiori oneri per il Gruppo Gse». Questa frase è la pietra angolare su cui poggia per intero l’ipotesi dello stato-croupier, cioè lo scenario di uno stato che non intende rimetterci in questa operazione.
È una pietra angolare esile, però, visto che la bozza di decreto dice che il Gse «stipula contratti di acquisto di diritti di lungo termine sul gas… in forma di contratti finanziari per differenza». Formule come questa sono in contraddizione con l’idea che tutto deve avvenire senza nuovi o maggiori oneri per il Gse.
Se il Gse è controparte dei produttori e degli energivori, come traspare dal testo, è difficile escludere gli scenari e le eventuali passività descritti sopra, in realtà molto probabili. Se lo Stato crede cioè di poter fare solo da croupier e che la cassa del casinò non perda mai, rischia di sbagliarsi di grosso. In questo caso, la perdita, il pasticcio, diventano molto più probabili perché la scommessa è fatta per un solo gioco, su un solo tavolo, con regole non chiare, da un croupier improvvisato, che a differenza di un vero croupier è politicamente esposto e responsabile.
Scostamento di bilancio
Il governo italiano avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato di aumento dell’offerta limitandosi ad allargare le maglie delle estrazioni nazionali, o facilitando ulteriori acquisti di gas sul mercato internazionale. Ma la riapertura di vecchi pozzi e le concessioni per dei nuovi hanno uno scopo diverso e forse più importante per il governo, e cioè legittimare la narrazione di un esecutivo che si rimbocca subito le maniche, prendendo il toro energetico per le corna, difendendo l’interesse nazionale anche a mani nude se necessario.
Questo è il film che probabilmente la premier Meloni si è fatta e a cui magari crede sinceramente. La realtà rischia di essere più prosaica. Quello che probabilmente il governo Meloni dovrà ottenere è l’autorizzazione a uno scostamento di bilancio per coprire i maggiori oneri che lo stato potrebbe doversi accollare per questa operazione, pur mantenendo formalmente la neutralità di bilancio “per il Gse”, che non vuol dire per i contribuenti. È probabile, quindi, che il governo finisca per aumentare non tanto la disponibilità di gas, quanto l’indebitamento dello stato per pagare una produzione di gas nazionale marginale e più costosa.
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