Questo governo non passerà alla storia per non aver ratificato il Mes, ma per aver accettato delle condizioni al nuovo patto di stabilità che peggioreranno le condizioni sociali già critiche del nostro paese. Oggi si potrebbe attaccare la destra mettendo al centro della scena le conseguenze sociali che quella firma di Giorgetti avrà sulla vita di tutti noi
Confesso, da elettore di sinistra, di essere disorientato dal dibattito pubblico di questi giorni. Che, per l’ennesima volta, sembra assecondare la volontà della destra di distrarci dal punto fondamentale. Comprendo perfettamente che il voto mancato sul Mes rappresenti uno scivolone del governo e che sta all’opposizione amplificarlo come tale.
Soprattutto perché anche a seguito di questa scelta si manifesta non solo l’incapacità di questo governo, ma anche la contraddizione profondamente culturale che frattura la destra europea, che tenta disperatamente di tenere insieme i rigurgiti sovranisti con le istanze neoliberali che vengono portate avanti dall’Europa.
I limiti politici di questa destra stanno proprio nell’esser sospesa tra sovranismo e austerità. Bene che emerga questa contraddizione, ma il modo per farla emergere concretamente non è per la sinistra infilarsi di nuovo nel vicolo cieco di un europeismo dogmatico e di una difesa a spada tratta dell’attuale governance europea.
Il punto vero su cui dovremmo insistere è invece un altro: questo governo non passerà alla storia per non aver ratificato il Mes, ma per aver accettato delle condizioni al nuovo Patto di stabilità che peggioreranno le condizioni sociali già critiche del nostro paese. Non è difficile capire perché a Salvini & company faccia comodo essere accusati di essere il peggior nemico dell’Europa, proprio nei giorni in cui si sono dimostrati i garanti più spietati di una nuova stagione di tagli.
Per quel poco che si sa, le nuove condizioni del Patto di stabilità non fanno che confermare il ritorno un po' mitigato del paradigma dell’austerità, dopo anni di sospensione. Persino Prodi, non proprio un europeista scettico, si pone qualche domanda e riconosce che, se le regole di prima erano stupide, queste non sono intelligentissime.
Piccoli passi avanti, certo. Ma all’interno di un paradigma politico e macroeconomico che viene riproposto intatto nella sua logica di sistema. Basta poco per capirlo. Negli Stati Uniti il rapporto deficit/Pil è al 6 per cento, in Europa abbiamo di nuovo sacralizzato dei limiti folli (nel nostro specifico caso, si arriverà all’1,5 per cento), con conseguenze evidenti sulla crescita. L’unico modo per rispettare questi parametri sarà così sacrificare la spesa pubblica.
Un piano di rientro a quattro anni richiederà 24 miliardi di tagli all’anno. Se l’Europa sarà indulgente, potremo usufruire di sette anni. Sono comunque più di 12 miliardi annui e a condizioni di riforme strutturali che non è difficile prevedere non andranno in una direzione socialdemocratica. Invece di ricostruire, il progetto per il futuro è quello di produrre altre macerie.
Normalizzazione e rimozione
Per la sinistra non dovrebbe essere difficile trarne le conseguenze. L’austerità non è precisamente quel paradigma che sostiene che una crisi sociale sia un passo preliminare necessario per risolvere la crisi macroeconomica (che è poi la stessa cosa che sostiene Milei) e che privilegia alle politiche di crescita quelle di riduzione oltranzista del debito? Come un gigantesco gioco dell’oca, l’Europa fa dei piccoli passi avanti che servono solo a tornare al punto di partenza del proprio fallimento.
Un ritorno indietro che manifesta una verità scomoda: per quest’Europa le politiche socialdemocratiche sono sostenibili solo in condizioni di emergenza, mentre la normalità richiede il ritorno dell’austerità. La normalizzazione cui stiamo assistendo non può che avvenire sulla base di una rimozione: come se non fosse successo nulla e la storia tragica dell’Europa degli ultimi quindici anni fosse di fatto azzerata.
Il mio scetticismo di elettore di sinistra sta esattamente qui. Ma è mai possibile che – rispetto a un’operazione che è dannosa politicamente (non dimentichiamo che l’austerità è stata la benzina sul fuoco dei nazionalismi e dei populismi) e inefficace economicamente – le voci critiche non si levino unanimi da sinistra?
Oggi si potrebbe attaccare la destra semplicemente mettendo al centro della scena le inevitabili conseguenze sociali che quella firma di Giorgetti avrà sulla vita di molti di noi. Di nuovo la trappola del debito, in un paese in cui l’unica sanità accessibile è ormai quella privata, visto che quella pubblica è stata demolita dall’interno.
E la destra ha accettato tutto questo consapevolmente, visto che l’unico obiettivo che aveva era di scorporare la fiorente industria delle armi dal conto complessivo. E, se davvero ha raggiunto il suo scopo, non è proprio sulla follia sociale di quest’obiettivo che la sinistra dovrebbe puntare per mettere in difficoltà la destra? Il problema non è che il governo italiano esca ridicolizzato da quella trattativa, ma il contrario: che ha ottenuto ciò che voleva, sacrificando gli interessi dei tanti che non hanno più la garanzia di tutela dei propri diritti fondamentali.
Le disuguaglianze
I tagli inevitabili alla spesa pubblica non colpiranno tutti gli italiani, ma solo quelli che non sono in grado di vivere dignitosamente a seguito dello smantellamento definitivo del welfare. Questa è l’unica cosa che dovrebbe essere urlata a gran voce contro una destra che prova a dissimulare non assumendosi delle responsabilità che saranno storiche.
A questo gigantesco equivoco sembra essersi adattato anche il Pd, che rischia di riproporre il gioco dell’oca dell’Europa. Invece di proseguire con un’elaborazione critica e autocritica delle politiche che in questi decenni ha sostenuto con esiti fallimentari, l’impressione è che qualcuno voglia tornar indietro per rifugiarsi in ciò che l’ha reso un partito incapace di dare voce alle emergenze sociali.
Dal mio punto di vista, questo ritorno all’indietro ha delle conseguenze dirompenti anche per ciò che concerne il destino dell’Europa. Se infatti torniamo alla falsa rappresentazione secondo cui l’alternativa è tra l’euroscetticismo dei sovranisti e l’europeismo dogmatico che difende a spada tratta il ritorno mitigato dell’austerità, non c’è alcuno spazio per una cultura politica di sinistra.
Mai come in questa fase storica è necessario un europeismo radicale quanto critico, da far valere contro le contraddizioni della destra e contro il dogmatismo neoliberista di questo modello europeo. Mai come nei prossimi mesi, quando il ritorno in grande stile dell’austerità produrrà una carneficina sociale, ci sarà bisogno di un controcanto culturale di sinistra che sia capace non di cercare argomenti per legittimarla, ma di trovare ricette politiche per guardare oltre.
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