La proposta di costruire un’impresa pubblica europea che faccia ricerca biomedica e produca vaccini e farmaci come bene comune è entrata nelle raccomandazioni finali dell’apposita commissione del parlamento europeo. Il successo che sta avendo questa proposta, avanzata ormai da qualche anno dal ForumDD, costituisce un segnale per la campagna elettorale della sinistra democratica alle prossime elezioni europee.

Perché tocca gli interessi di milioni di persone colpite da sistemi sanitari nazionali in crisi. E perché supera sterili contrapposizioni fra impresa pubblica e privata. Una impresa pubblica farmaceutica europea serve a ripristinare una sana competizione scientifica fra ricercatori e una vera concorrenza fra produttori. Nulla di nuovo di come il mondo si è mosso fino a ieri.

Fino al caso del covid i vaccini erano stati prevalentemente inventati grazie a una scienza aperta e poi prodotti in mercati aperti. Si pensi all’aperta contrapposizione che si verificò nel caso della polio fra Sabin e Salk, sostenitori il primo di un vaccino con un virus depotenziato e il secondo di un vaccino con un virus inattivato. Grazie all’assenza di interessi commerciali, di segreti industriali e di brevetti il confronto fra i due approcci scientifici fu duro ma sempre trasparente.

Esso permise ai vari paesi di scegliere liberamente quel vaccino che, secondo la comunità scientifica, sembrava in una certa fase fornire maggiori garanzie e maggiore efficacia. Nelle diverse fasi di questo confronto scientifico tutte le aziende accreditate poterono produrre il vaccino ritenuto migliore in una situazione di sostanziale concorrenza.

Questa modalità di produrre i farmaci caratterizza tuttora il vaccino più frequentemente usato dalla popolazione più anziana: quello contro l’influenza stagionale. Il cosiddetto Influenza Network vede la collaborazione di 110 laboratori pubblici e di 5 hub di ricerca internazionali coordinati dalla Organizzazione Mondiale della Sanità.

Due volte l’anno, per l’inverno di ognuno dei due emisferi, il Network, in base a una efficiente raccolta di dati e un aperto confronto scientifico, individua quei ceppi di virus influenzali che si prevede che prevarranno e suggerisce i metodi più idonei a produrre rapidamente un vaccino inattivato.

Queste conoscenze, diffuse rapidamente fra tutti i produttori accreditati, permettono di produrre il vaccino in condizioni di concorrenza a un costo basso, rendendo quasi irrilevante il marchio del particolare vaccino che viene somministrato. Queste esperienze dimostrano come le sinergie esistenti fra scienza e mercati aperti possano darci innovazioni di alta qualità e una loro commercializzazione a basso costo.

Purtroppo, nel caso della produzione dei vaccini covid, è invece prevalso un regime di segretezza e brevettazione dei risultati. In questo modo non si è consentito alla comunità scientifica di valutare in modo aperto e trasparente i vantaggi relativi dei diversi vaccini e si è permessa anche una monopolizzazione dei mercati, che ha tipicamente causato prezzi elevati e quantitativi insufficienti a vaccinare gran parte del mondo.

Si tratta di un sistema che può essere usato, senza eccessivi danni, quando non vi siano urgenti problemi di salute pubblica e quando la monopolizzazione di alcune conoscenze non blocchi lo sviluppo di nuove importanti scoperte. È invece chiaramente inadeguato nei casi come quelli del covid e di future pandemie.

Come mostra la resilienza dell’influenza network un sistema di scienza e mercati aperti ha successo solo quando la comunità scientifica riesce a percorrere anche l’ultimo miglio necessario produzione del farmaco. Altrimenti, la scienza aperta finisce con il fornire un enorme sussidio alle imprese che possono monopolizzare il prodotto brevettando le poche conoscenze aggiuntive che servono alla commercializzazione del prodotto.

Una grande impresa pubblica farmaceutica europea, esposta a una sana concorrenza di grandi imprese private, serve a evitare che pochi monopolisti si approprino dei frutti della ricerca pubblica e che i cittadini paghino i prodotti due volte: quando finanziano la ricerca pubblica e quando loro (o i loro sistemi sanitari) si trovano a pagare dei prezzi di monopolio. E come se non bastasse si trovino in caso di emergenza sanitaria a dover patire tempi di attesa, talvolta letali, dovuti alle restrizioni monopolistiche.

Una grande impresa pubblica europea, essendo in grado di completare l’intero processo può concedere licenze di produzione non esclusive da una posizione contrattuale vantaggiosa e al tempo stesso decentrare parti della ricerca a imprese private senza che esse ne privatizzino i contenuti.

La sua istituzione non va, quindi, intesa nella logica della contrapposizione fra imprese pubbliche e private quanto in quella di un rilancio di scienza e mercati aperti. Gli spazi di queste due preziose istituzioni, sempre più ristretti dalla crescente monopolizzazione delle conoscenze, vanno vigorosamente difesi da chi vuole una società più equa e innovativa.

 

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