Nel 1867 - erano in corso le guerre risorgimentali - a Ginevra si svolgeva il congresso della Ligue internationale de la paix et de la liberté, un movimento che aveva guadagnato consenso a tutti i livelli e riceveva il gradimento dai governanti del tempo. Pubblicarono un giornale, Le Etats-Unis d’Europe - pensate che titolo! - e intendevano mettere in guardia i governi: se mancava il coraggio di radicali riforme, prima o poi i conti li avrebbe saldati una guerra «mondiale».

Non ci rendiamo conto che nell’umanità c’è sempre una parte critica che non sopravvive nella memoria, ma che può in anticipo di settant’anni prevedere che non ci sarebbe stato bisogno dell’assassinio di Sarajevo per dichiarare finiti i tre grandi imperi del tempo (austroungarico, zarista, ottomano), già agonizzanti. Si volle la guerra, che fu così costosa da produrre crisi economica, povertà, morti, mutilati, disoccupati, malcontento, paura dell’eversione comunista e, mentre in Italia Giovanni Giolitti cercava di controllare la crisi, Benito Mussolini si fece capopopolo e impose la dittatura fascista. A cui seguì l’eversione nazista nella Germania di Weimar. Così la prima guerra mondiale fu causa della seconda.

Oggi anche tra i molti che sentono il bisogno di più Europa non è stato chiaro il messaggio di una manifestazione improvvisata che sostanzialmente, in termini affettuosi, richiamava il paese ad abbracciare un sogno per un risveglio decisivo per tradurlo in realtà.

La costruzione non è finita

Giusto partire da una meditazione sul Manifesto di Ventotene, purché lo si legga tutto. Perché, proprio alla fine, sostiene che la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa deve costituire un saldo stato federale il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali. Altiero Spinelli ragionava così nel 1941, dal confino in cui testimoniava l’antifascismo degli uomini (e delle donne) liberi.

Nel 1954 era d’accordo con De Gasperi per votare la CED, la Comunità europea di difesa. Quando fu eletto nel 1979 dopo la prima elezione europea (partecipazione italiana: 85,65 per cento), volò a Bruxelles carico del sogno dello Stato federale rimasto, dal 1957, una Comunità economica europea.

Lavorò senza risparmio fino alla morte (1986), amareggiato dalla mancata condivisione dell’attività del Parlamento europeo da parte della sinistra italiana faticosamente arrivata alla moneta unica, ma non ancora al bilancio comune stoltamente frenato da nazioni politicamente «sovraniste per sé» e non per i nostri «Stati Uniti». Che, per essere tali e magari “federali”, debbono conquistare i requisiti degli stati: Spinelli tornava da Bruxelles spesso furibondo, ma se qualcuno si associava alla sua rabbia, frenava: «No, arrabbiarsi non serve, bisogna ricominciare da dove si è interrotto». Anche se ci si inquieta, bisogna capire il senso della comunque necessaria costruzione.

Sentire che è sogno, ma anche interesse: con il Covid senza l’Europa non avremmo avuto i vaccini gratis. Infatti se avessimo l’unità politica, saremmo il più grande mercato commerciale del mondo, superiore agli Stati Uniti d’America. Che ci fanno paura, ma è reazione condizionata: da un pezzo le due grandi potenze si vengono rivelando tigri di carta. Analisi recenti e considerazioni critiche attuali ne mostrano la fragilità.

Eserciti nazionali e truppe comuni

Anche adesso, mentre la resistenza ai dazi di Donald Trump produrrà danni al popolo del Make America Great Again, la Russia ringhia, ma ha chiamato i nordcoreani a combattere contro l’Ucraina e, secondo il Sipri, nel 2023 aveva investito nella difesa 126 miliardi contro gli 880 degli Stati Uniti.

Investono nel culto (ahimè contagioso) della forza e sono pericolosi perché possono forzare la sfida e sembrare potenti se, oltre al reciproco riconoscimento, sceglieranno sopraffazione e guerra. Putin era Putin anche quando ci forniva energia, Biden non era pacifista quando non ha bloccato i russi, dopo che i satelliti ne avevano visto l’esercito in movimento.

Oggi Ursula von der Leyen dice che dobbiamo prepararci alla guerra. Quale, se le armi da produrre per la difesa europea andranno in funzione nel 2030? Intanto riarmiamo gli eserciti nazionali? Ma un Lussemburgo che confini dovrà difendere? Oppure ci si deve attendere uno dei soliti “incidenti” che gli storici cercheranno di leggere in documenti sempre secretati, che servirà a fornire alla Nato il motivo per ricorrere all’articolo 5 che obbliga all’intervento solidale dell’Ue?

Von der Leyen presiede la Commissione, ma non governa nessuno Stato federale secondo forme costituzionalmente previste e ancora inesistenti, neppure se si approvasse l’esercito europeo a sostituzione della Nato (non dimentichiamo che l’Italia non può votare contro la proliferazione delle armi nucleari perché ne custodisce ad Aviano e Ghedi in basi americane dipendenti dal Comando statunitense di Napoli).

D’altra parte non si possono abolire gli eserciti nazionali senza predisporre la formazione di uno Stato maggiore che governi il coordinamento della strategia. I pacifisti, che hanno sempre sostenuto il principio del risparmio che si realizza con un solo esercito al posto di 27 attuali, sanno che non ci sono bacchette magiche e per qualche anno continuerebbe il regime misto.

il sogno stati uniti d’europa

In realtà, ai tempi della CED, una Ue militare avrebbe avuto bisogno di condividere la politica estera e probabilmente ne sarebbe derivata l’unità politica. Per ora il parlamentare europeo, come quello nazionale, può essere pacifista integrale, magari anche antimilitarista, ma deve superare passo dopo passo tutti i passaggi necessari al raggiungimento definitivo degli Stati Uniti d’Europa, tanto più venendo da un paese a cui finora ha fatto comodo essere difeso o dalla Nato o direttamente dagli Usa.

«La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà»: la firma in calce di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi fa pensare che davvero dal 1941 sono passati troppi decenni. Ci sembra duro prendere atto di quanto la paura abbia indotto la maggioranza pressoché assoluta del Parlamento europeo a votare la risoluzione su “difesa e riarmo”, con il piano RearmEurope.

Se i singoli paesi sono divisi, non si deve assolutamente pensare che ci sia inevitabile la subalternità agli “uomini forti”. Forse ci sfuggono le opportunità.

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