La piazza del 15 marzo ha dato fiducia a noi europeisti. Si temeva – dopo una settimana di divisioni, tra e nei partiti– che diventasse una babele. Invece i punti in comune hanno prevalso. La rivendicazione dei valori europei: libertà, democrazia, coesione sociale; la necessità di rendere l’Ue sicura e autonoma strategicamente; e un salto in avanti nell’unità politica.

L’Europa unita dalla nascita è attore di pace e difende un ordine mondiale fondato sul diritto. Dunque, è e sarà al fianco dell’Ucraina per una pace giusta e duratura, nella consapevolezza – alla quale ci richiama il presidente Mattarella – che la Russia di Putin è una minaccia concreta alla nostra libertà.

Intellettuali e società civile si mobilitano in nome dei valori comuni. La politica ha il compito di indicare le azioni per difenderli. È qui che si è aperta una discussione nel Pd. Siamo a un passaggio epocale, dunque il confronto tra noi, divisioni comprese, non è di per sé drammatico, a meno che non sia il sintomo di una visione radicalmente distante sul nostro “posto al mondo”.

L’Europa sa di aver perso l’alleato Usa e che occorre compiere scelte con rapidità: in gioco ci sono la democrazia e il nostro modello sociale. Partiamo dai punti condivisi. Primo, l’interesse dell’Italia è nel rafforzamento dell’Europa politica; secondo, l’Ue deve farsi potenza militare per difendere la sua sicurezza e la pace, come ha spiegato Prodi. Terzo, sui temi in capo agli stati le decisioni dipendono dai governi, guidati per lo più da partiti europeisti ma conservatori.

Da qui deve partire il nostro giudizio su ReArm EU. Se l’Italia – che ha interesse, anche per il suo indebitamento, alla prevalenza degli investimenti con debito comune e non con prestiti agli stati – avesse agito come col NextGen EU, il piano sarebbe stato migliore. L’urgenza degli approvvigionamenti negli ultimi anni ha orientato molti investimenti verso gli Usa. Ma guardiamo avanti: maggiori condizionalità su cooperazione, acquisti comuni, costruzione di una filiera industriale europea. I rapporti Letta e Draghi lo hanno messo nero su bianco.

In quest’ottica per il Pd spaccarsi a Strasburgo è stato sì un errore, ma rimediabile. La difesa europea è il traguardo condiviso e i diversi approcci per raggiungerlo sono meno gravi dei rischi a cui espone l’Italia il tentativo di Giorgia Meloni di conciliare la fedeltà a Trump e l’interesse europeo. Senza contare la variabile Salvini, col suo mix tossico di putinismo e fervore trumpista.

La politica europea ed estera rientra tra i tratti fondativi di un partito. Nel 2023 abbiamo condiviso nel Manifesto per il Nuovo Pd un punto chiaro: il rafforzamento del ruolo internazionale Ue, a partire dalla difesa e dalla politica estera e dall’esercito comune. Le decisioni sulle singole questioni devono essere affrontate con trasparenza nei luoghi decisionali di cui disponiamo, coinvolgendo i circoli e i territori e trovando una sintesi nella Direzione e nei gruppi parlamentari.

Lo abbiamo fatto dall’invasione dell’Ucraina, quando il partito fu da subito unito nella scelta di stare dalla parte della resistenza di quel popolo e della sicurezza europea. Dobbiamo proseguire a cercare questa unità, consapevoli che siamo un partito figlio di culture politiche distinte, ma la cui forza sta nel mettere al primo posto l’interesse dell’Italia e dell’Europa. La capacità di leadership con cui la segretaria Schlein ci guida nell’opposizione al governo e nella costruzione dell’alternativa su temi fondamentali come i diritti alla salute, istruzione, lavoro, ci rafforza in questo percorso.

Vanificare quanto costruito fin qui, aprendo proprio sulla politica estera una conta, un referendum, un congresso, sarebbe un autolesionistico salto nel buio del Pd. Ci esporrebbe a divaricazioni forse insanabili. E se si rompe il Pd la conseguenza certa è che salta l’unica vera speranza di un’alternativa alla destra.
Le prossime ore saranno decisive.

Il mio è un appello accorato: ritroviamo, nei luoghi e con gli strumenti opportuni, la forza di costruire soluzioni condivise. Non farlo vorrebbe dire fare un regalo a Giorgia Meloni nel momento di sua massima fragilità. A brindare sarebbero solo lei e i nemici dell’Europa.

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