Nella folla colorata di blu, nella prossimità naturale delle bandiere europee con quelle arcobaleno, negli interventi dal palco da cui, esaurito l’autobiografismo, sono risuonate le parole libertà, dignità, diritti, pace. Parole quasi impronunciabili
Pluralista? Sì, e anche imperfetta, a tratti felicemente contraddittoria, dunque europea. Nella manifestazione di piazza del Popolo c’è tutta la potenzialità che trasmette una scintilla nel buio.
Nella folla colorata di blu, nella prossimità naturale delle bandiere europee con quelle arcobaleno, negli interventi dal palco da cui, esaurito l’autobiografismo, sono risuonate le parole libertà, dignità, diritti, pace. Parole quasi impronunciabili, in un dibattito pubblico che torna sempre di più ad avvitarsi sul passato, addirittura sul rimpianto dei valori tradizionali che tracima sugli editoriali di prima pagina.
«L’Europa non è una fortezza impaurita e invecchiata, ma un porto aperto, capace di accogliere, integrare, costruire il futuro», ha detto Andrea Riccardi. Tra i più applauditi, Emma Nicolazzi Bonati e Francesco Sansone, due ventenni di Parma, e Alessia Crocini, presidente delle famiglie arcobaleno: «L’Europa baluardo di resistenza, argine di democrazia». I sindaci con la fascia tricolore, da Gaetano Manfredi a Vittoria Ferdinandi, e una piazza non genericamente europeista, ansiosa di cercare l’Europa come dovrebbe essere più che l’Europa così com’è stata. Qualcosa di molto lontano dal dibattito politico degli ultimi giorni.
Non c’è costruzione politica senza società civile, senza cultura, senza un popolo alle spalle. Un popolo che non è una massa da mobilitare, come quello che pretendono di incarnare i populisti, un popolo che viene costruito per essere tutto, armato addosso agli altri.
Quello di oggi era invece un pezzo di popolo che non ha la pretesa di essere tutto. Sarebbe facile fare l’elenco degli assenti della piazza: non soltanto le forze politiche, ma anche un pezzo dell’Italia della sfiducia, del non voto, della non partecipazione, una parte di paese che non si sente rappresentato da politici, intellettuali, scrittori, cantanti, giornalisti, compresi, va detto, i tanti che si sono generosamente affollati sul palco. Un pezzo di paese fisicamente lontano. E anche un pezzo di paese che chiede più radicalità, dopo mesi di silenzio su Gaza.
Una piazza non sana queste fratture. Tuttavia, nella sua ingenuità, parola più volte ripetuta dal promotore Serra, anche la piazza per l’Europa ha lanciato la sua lezione per il Palazzo che da domani tornerà a discutere di risoluzioni, mozioni, allontanamenti, avvicinamenti, distinguo. La prima lezione è quella accennata dallo stesso Serra: «In un mondo in frantumi una piazza che unisce persone e idee è uno scandalo».
Tanto più preziosa al termine di una settimana in cui sono volate scomuniche e accuse sanguinose: nessun dubbio consentito sul piano di riarmo europeo per gli stati nazionali e non in vista di una difesa comune, neppure le critiche più fondate e più rispettose. Niente da fare, extra ReArm nulla salus.
La seconda lezione è che non è facile tenere insieme questo popolo, e gli altri popoli non presenti nella piazza, se si vuole costruire un’alternativa al sistema di potere che governa il Paese. Tenere insieme è l’esercizio più difficile per chi fa politica, ancora più complicato nell’era dei Trump e dei Musk. E appare quasi impossibile farlo se al tempo stesso non si vuole rinunciare a esprimere una posizione, se tenere insieme non è un esercizio di stile fine a se stesso, un rosario di mediazioni.
L’ultima lezione è per una delle figure più attese della giornata, la segretaria del Pd Elly Schlein, al centro di un curioso rovesciamento delle parti all’interno del suo partito. Per due anni, dal momento della sua elezione a sorpresa per l’apparato del partito e per i media il 26 febbraio 2023, i nemici interni di Schlein l’hanno accusata di essere un corpo estraneo, un’aliena, scelta alle primarie dagli esterni al partito (in alcuni casi si diceva: scelta dai 5 Stelle), ma in minoranza nel voto tra gli iscritti.
Ma negli ultimi giorni è bastato ventilare l’ipotesi di un nuovo congresso per assistere alla ritirata: nessuno vuole rimuovere la segretaria, meglio un chiarimento. Paradossale dopo una settimana segnata dalla spaccatura interna al gruppo dell’Europarlamento.
Segno che si teme che nel popolo democratico Schlein non sia affatto un’aliena, a differenza di alcuni avversari e dei loro fogli di riferimento, quelli che parlano del Pd di Schlein come anomalia da eliminare. La segretaria del Pd alla manifestazione di Roma è arrivata rivestita del blu della bandiera europea, riconoscendosi nella piazza e nei suoi valori, senza strumentalizzarla.
In modo credibile, perché in pochi possono vantare una biografia orgogliosamente europeista come la sua, dalle sue radici familiari alla militanza federalista alla prima esperienza istituzionale come deputata eletta nel Parlamento europeo a 29 anni.
E in pochi hanno la sua capacità di tenere insieme tutte le anime del Pd. Una capacità messa oggi alla prova: con un rilancio che può segnare un nuovo inizio.
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