- Dal Mes al Recover Fund, tutto il dibattito è su come accedere a nuove risorse ma si parla troppo poco di come spenderle.
Al momento si sa ben poco di concreto sulle priorità del governo. L’esperienza ci ricorda come l’Italia non abbia un record invidiabile nell'utilizzo dei fondi europei.
I dati della Commissione Europea indicano che a giugno di quest’anno l’Italia aveva allocato poco più dell’80 per cento e speso solo il 40 per cento degli oltre 70 miliardi di fondi strutturali del piano 2014-2020.
La discussione sul Mes si è trasformata in una polemica, spesso ideologica, che rischia di distogliere l’attenzione dai problemi più urgenti che il paese deve affrontare per gestire l’emergenza Covid e rilanciare l’economia.
Si sarebbe dovuto ricorrere al Mes quattro mesi fa, quando il risparmio sui tassi di interesse era più sostanzioso e, soprattutto, quando molti esperti invocavano interventi robusti e rapidi per rafforzare le strutture sanitarie locali in vista della seconda ondata della pandemia. Oltre al risparmio, il prestito del Mes avrebbe costretto il governo a fare progetti di spesa e investimento che adesso si sarebbero rivelati utili.
Discutere ora dell’opportunità del Mes lascia intendere che il problema principale sia la mancanza di risorse. Ma non è così, il governo si è finanziato e può continuare a finanziarsi sui mercati – come conferma la decisione di emettere i Btp Futura – benchè a un costo superiore a quello del Mes sanitario. Eppure, focalizzarsi su questi costi, sebbene non trascurabili, rischia di spostare l’attenzione dalle responsabilità gestionali che hanno fatto perdere mesi preziosi durante l’estate e dalla scelta degli investimenti che si rendono necessari ora.
Lo stallo sul Recovery Fund
La discussione sul Recovery Fund sta prendendo una piega simile. In questo caso non c’è stata la stessa avversione che è stata riservata al Mes, anche se il Recovery Fund non è privo di condizionalità: per accedere ai 209 miliardi di prestiti e sovvenzioni, il governo dovrà presentare un piano dettagliato di investimenti e riforme coerenti con le raccomandazioni della Commissione. L’implementazione del piano sarà poi monitorata, e gli esborsi potranno essere sospesi nel caso in cui non si dovessero raggiungere target intermedi.
Al momento si sa ben poco di concreto sulle priorità del governo. L’esperienza ci ricorda come l’Italia non abbia un record invidiabile nell'utilizzo dei fondi europei.
I dati della Commissione europea indicano che a giugno di quest’anno l’Italia aveva allocato poco più dell’80 per cento e speso solo il 40 per cento degli oltre 70 miliardi di fondi strutturali del piano 2014-2020, valori ben al di sotto della media europea.
Per esempio, dei 3,3 miliardi a disposizione per imprese e competitività ne è stato speso circa un quarto, mentre dei 1,2 miliardi per la ricerca, ne sono stati spesi 340 milioni. La Francia, al contrario, ha speso oltre il 70 per cento dei fondi destinati a lavoro e inclusione sociale.
Finire il lavoro
Per riuscire a beneficiare dei fondi europei è necessario un cambio di marcia, sia a livello nazionale che locale. La qualità delle istituzioni locali e la disponibilità di capitale umano sono fattori chiave per trarre il massimo vantaggio dai finanziamenti comunitari. Inoltre, un sistema legale semplificato e procedure amministrative più snelle possono contribuire a ridurre i ritardi e l’esplosione dei costi che spesso affliggono progetti in infrastrutture.
Nella discussione hanno finora prevalso visioni grandiose, ma maggiore concretezza e realismo non guasterebbe.
In Italia ci sono centinaia di opere incompiute, dalle costruzioni di strade e dighe a progetti di riqualificazione urbana e interventi per la messa in sicurezza del territorio.
Tutti progetti che, se completati, migliorerebbero il potenziale economico, la sicurezza e la qualità della vita di milioni di cittadini. In alcuni casi, i lavori sono fermi per mancanza di fondi, ma per la maggior parte i blocchi sono di natura amministrativa e burocratica.
La Nuova Sardegna ha scritto che l’Anas avrebbe in cassa 4 miliardi per realizzare o completare varie opere strategiche nell’isola, ma i fondi sono fermi a causa della burocrazia e della carenza di personale.
Nel suo rapporto sull’economia europea, il Fmi stima che il Recovery Fund, se impiegato prevalentemente per finanziare nuovi investimenti e progetti già avviati, può stimolare la crescita e rendere più sostenibile la dinamica del debito pubblico.
L’impatto dello stimolo dipenderà dalla qualità dei progetti e dalla rapidità con cui i singoli governi saranno in grado di presentare e implementare i piani di spesa.
Ritorni immediati
Sarebbe auspicabile che la discussione di politica economica si spostasse su questi temi, investendo in competenze per rendere più efficiente l’apparato amministrativo.
Pur sottolineando il ruolo che gli investimenti pubblici in infrastrutture, ricerca e sostenibilità ambientale possono giocare nella ripresa dopo la crisi del Covid-19, il Fmi sottolinea anche l’importanza di attuare interventi che possono avere ritorni immediati, come investimenti in manutenzione, il completamento di progetti sospesi per via della crisi e l’implementazione di progetti già approvati.
Non sono nemmeno chiari i criteri secondo cui i possibili progetti saranno inseriti nel piano nazionale.
Come ha scritto Francesco Ramella su Domani, predisporre analisi costi-benefici consentirebbe di valutare i progetti e stabilire le priorità in maniera trasparente.
Per esempio, il governo ha già destinato quasi 2 miliardi del Recovery al piano Italia cashless.
Eppure, questo intervento rischia di tradursi in un bonus per le famiglie a reddito medio alto che già usano le carte per la maggior parte degli acquisiti e in un sussidio agli operatori finanziari, con effetti molto incerti sulla possibilità di aumentare il numero di persone che rinunciano al contante per i pagamenti quotidiani. Analisi costi-benefici aiuterebbero a capire se il piano cashless sia il modo migliore di spendere quei 2 miliardi.
Un osservatore esterno rimarrebbe sorpreso dal fatto che, in una situazione di emergenza in cui è necessario rafforzare le strutture sanitarie, i servizi pubblici, investire in infrastrutture e rafforzare il tessuto economico e produttivo si discuta tanto delle fonti di finanziamento e meno delle scelte di spesa.
La discussione dovrebbe allora spostarsi su questi temi, per evitare di arrivare impreparati alla scadenza e perdere un treno storico, dato che l’Europa ha mostrato quel tipo di solidarietà, anche fiscale, che in tanti auspicavano.
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