- In Italia mancano medici sul territorio e in ospedale, a causa di una cattiva programmazione e di condizioni di lavoro sempre più difficili.
- Consentire ai medici di restare in servizio fino a 72 anni non risolverebbe il problema e andrebbe a solo beneficio delle categorie privilegiate della professione.
- Negli Stati Uniti i medici anziani vengono sempre più spesso sottoposti a valutazioni cliniche e professionali per garantire la loro idoneità al lavoro.
In parlamento sono stati presentati due emendamenti al decreto Milleproroghe che propongono di spostare a 72 anni, su base volontaria, l’età per il pensionamento obbligatorio dei medici. Chi li propone argomenta che in questo modo si porrebbe un argine alla carenza di professionisti che è già grave e che lo diventerà ancora di più nei prossimi anni.
Mancano i medici di famiglia e mancano quelli ospedalieri in molte specialità. Un fenomeno recente, ma in crescita, è quello dei medici che si dimettono dai loro reparti per andare a ricoprire i posti vacanti sul territorio. Come a dire che tutto è meglio che continuare a lavorare in ospedale, con turni e guardie sempre più faticosi e stipendi bloccati da anni.
Un favore a chi è già privilegiato
Che l’idea di affrontare il problema consentendo ai medici di restare più a lungo in attività sia balzana lo hanno già notato in molti. La maggioranza di loro, infatti, non vede l’ora di ritirarsi una volta raggiunto il massimo pensionabile e di sicuro continuerà a farlo. Tutt’al più si raccoglieranno le briciole, quando è il pane quello che manca. Ma chi sono quelli che potrebbero decidere di restare?
Soprattutto i primari, che pur svolgendo un lavoro importante e a volte faticoso, non sono soggetti a turni o orari troppo rigidi e che traggono dal loro ruolo significativi benefici in termini di attività libero professionale. Se molti primari conserveranno il loro posto più a lungo, i medici più giovani che aspirano ad un avanzamento dovranno attendere ancora prima di poterli sostituire e potrebbero decidere di lasciare, magari cercando spazio nel privato. Alla faccia delle promesse di svecchiamento della Sanità e degli auspici per l’accesso di forze giovani alle posizioni di dirigenza e di responsabilità.
Anche i medici si ammalano
Esiste poi un altro problema, di cui poco si parla da noi, ma che è molto dibattuto negli Stati Uniti, dove circa il 10% dei medici in attività ha più di 70 anni. La domanda è: “Vi fidereste di un medico di 80 anni? E di uno di 90?”.
Il tempo passa per tutti. Le capacità fisiche e psichiche di un settantenne hanno già iniziato a ridursi, la resistenza allo stress è minore, i riflessi sono più lenti, il desiderio di studiare e di aggiornarsi si affievolisce. Di certo nessuno vorrebbe farsi operare da un chirurgo con un inizio di Parkinson, o farsi curare il cancro da un oncologo con un principio di indementimento, meno che meno trovarsi in urgenza nelle mani di un anziano medico alla sua quarta notte di turno. Una probabilità abbastanza rara, lo ammetto, ma non abbastanza per evitare che molti ospedali americani sottopongano i medici oltre i settant’anni a regolari valutazioni cliniche, psicologiche e professionali obbligatorie per chi voglia restare in servizio.
In conclusione, siamo di fronte ad un inutile e un po’ grottesco polverone che cerca una volta di più di spostare l’attenzione dai problemi reali: la irrefrenabile privatizzazione della sanità, la scarsa attrattiva della medicina ospedaliera per i giovani, le retribuzioni inadeguate.
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