Diciamoci la verità. Non avevamo chissà quali aspettative nei confronti della settimana della moda. Sospettavamo che dopo due anni difficili per via della pandemia (poche sfilate in presenza e fatturati a picco) il massimo del rischio da correre in passerella potesse essere la mega spallina anni Ottanta.
Immaginavamo che pur di non compromettere rapporti commerciali e di non creare frizioni con buyer russi e importatori russi la moda avrebbe ancheggiato sicura come le sue modelle: sguardo dritto e passo veloce, senza fissare nessuno negli occhi. E, soprattutto, muta.
Eppure, fino all’ultimo, abbiamo sperato in qualcosa di più. In una moda che approfittasse della sua platea internazionale, del mondo che la osservava per lanciare un messaggio sicuro e compatto contro la guerra e chi l’ha provocata. In una moda che indossasse i panni dei più deboli, anziché cucire quelli dei più forti.
Invece, se si escludono timide iniziative soprattutto via social di Remo Ruffini, Elisabetta Franchi e Walter Chiapponi, direttore creativo di Tod’s (quest’ultimo ha parlato di «ruolo importante della moda mentre la Russia attacca l’Ucraina» e ha reso più essenziale la sua collezione a una settimana dalle sfilate), il resto è stato solo silenzio. Un silenzio poco elegante nonostante riguardi chi con l’eleganza lavora, ma molto strategico, visto che riguarda chi grazie all’eleganza fattura.
Da segnalare due casi interessanti: Matthieu Blazy, nuovo direttore creativo di Bottega Veneta, che prima dello show ha lanciato una Instegram Story in cui ha chiesto di agire contro la guerra, rischiando di finire presto per diventare il nuovo direttore creativo di Upim linea notte.
E le acrobazie di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci che, ospite a Che tempo che fa, con la sua aria da Gesù hipster è riuscito a elaborare una raffinata supercazzola blando-pacifista di cinque minuti pur di non pronunciare mai le parole “Russia” e “Ucraina”, ovvero: «All’inizio ero quasi infastidito dal dovermi occupare di bellezza in un momento così… la sera prima dello show ero molto agitato tanto che non ho mangiato… Poi, facendo colazione col mio compagno, ho capito che questo mio adoperarmi in modo così amorevole nei confronti delle cose che faccio entra in sintonia con l’idea della vita».
Nessuno chiedeva alla moda di fermarsi né di saltare la cena, ma neppure di raccontarci la favoletta retorica della bellezza che salverà il mondo, mentre il pragmatismo della bruttezza uccide soldati e civili.
E, soprattutto, si può parlare di bellezza, dell’importanza di adoperarsi amorevolmente nel proprio lavoro perché il lavoro è democrazia e libertà, anche prendendo una posizione più radicale. Pronunciando, appunto, la parola “Russia”, per esempio.
Mi sento di rassicurare Alessandro Michele e tutti gli altri, quelli che "la moda deve osare” ma evidentemente osa solo quando si vestono le modelle con piume giallo canarino: non è che se uno stilista per sbaglio pronuncia la parola “Russia” o, peggio ancora “Putin” saltano di botto tutte le cerniere agli abiti in passerella.
L’unica luce nel buio delle passerelle pavide e scaltre, come spesso accade, è stato Giorgio Armani. Asciutto e contemporaneo come la sua moda, il re Giorgio ha deciso di eliminare la musica dallo show: «La mia decisione di non usare nessun tipo di musica è stato preso in segno di rispetto per tutte le persone coinvolte nella tragedia in corso in Ucraina. La cosa migliore è dare il segnale che non vogliamo festeggiare perché qualcosa intorno a noi ci disturba molto», ha dichiarato. E non solo. Ha voluto Liliana Segre ad assistere allo show, oltre che Kasia Smutniak e Anne Hathaway, tutte generose ai microfoni dopo la sfilata, tutte compatte nell’esporsi sul male della guerra.
Anche le ospiti nazionali e internazionali di Armani erano ben diverse dalle costose icone pop viste altrove, capaci di esporsi, ma solo ai flash. E l’assenza di musica, il silenzio durante la sua sfilata è stato l’unico vero rumore politico dell’evento.
Insomma, una settimana della moda che ha reso evidenti due cose: la fragilità di qualsiasi braccio di ferro con la Russia, quando è l’economia nazionale ad entrare in gioco. E la scoperta che la tendenza moda 2022 non è il fucsia come ci aspetteremmo: è tutelare l’export.
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