Il rafforzamento delle misure contro la violenza di genere non basta, in mancanza di mezzi e risorse per la loro attuazione. Inoltre, il piano di educazione alle relazioni rischia di non essere realizzato, essendo meramente facoltativo sia per le scuole che per gli studenti
Le nuove norme sulla violenza di genere avrebbero salvato Giulia Cecchettin o altre vittime di femminicidi? Su queste pagine ci eravamo già posti la domanda quando il disegno di legge era stato presentato. All’epoca, un’altra ragazza, Giulia Tramontano, incinta di sette mesi, era appena stata uccisa dal fidanzato.
Le nuove norme
La nuove norme intendono rafforzare la fase della “prevenzione”. Tra le altre misure, è previsto l’«ammonimento» da parte del questore non solo per atti di violenza domestica, atti persecutori (stalking) ecc., ma anche nel caso dei cosiddetti “reati-spia”, come percosse, revenge porn, violazione di domicilio.
La sorveglianza speciale attraverso “braccialetto elettronico” potrà essere disposta anche per gli indiziati di gravi reati legati alla violenza contro le donne. Inoltre, il tribunale dovrà sempre imporre a questi ultimi il divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati abitualmente dalle vittime e l’obbligo di mantenere una distanza non inferiore a 500 metri. Si prevede anche l’arresto in flagranza differita, cioè in base a video e foto, nonché un tempo ridotto per l’applicazione delle misure cautelari.
Basteranno le nuove disposizioni? Ad esempio, il femminicidio di Concetta Marruocco, nell’ottobre scorso, non è stato evitato dal braccialetto elettronico indossato dal suo assassino. La stessa sorte era toccata nel mese di agosto ad Anna Scala, nonostante le denunce per stalking verso il suo omicida. E così molte altre donne.
Se mancano mezzi e risorse per dare seguito alle denunce, se il personale delle forze dell’ordine non è idoneo a cogliere segnali di pericolo, se gli uffici giudiziari sono carenti, le nuove norme rischiano di non produrre impatti rilevanti. Un rischio che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha già riconosciuto per l’Italia: nonostante le leggi già esistenti, inerzia o ritardi rendono inadeguata la protezione alle donne esposte al rischio reale e immediato di condotte violente.
Educazione affettiva
La prevenzione richiede non solo sanzioni penali, ma anche un cambiamento culturale. È quanto chiede la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla violenza contro le donne e la violenza domestica (convenzione di Istanbul). La Convenzione impegna gli stati ad adottare, oltre a misure legislative, campagne di sensibilizzazione e programmi educativi, con la formazione di adeguate figure professionali.
In un documento del 2018 l’Unesco ha promosso l’educazione sessuale comprensiva (CSE), cioè riguardante «aspetti cognitivi, emotivi, fisici e sociali della sessualità», al fine di dotare i giovani – tra l’altro - di «conoscenze, abilità, attitudini e valori che consentiranno loro di sviluppare relazioni sociali e sessuali rispettose», nonché di «considerare come le loro scelte influenzano il proprio benessere e quello degli altri».
La CSE – sostiene l’Unesco – induce «maggiore conoscenza dei propri diritti all’interno di una relazione sessuale; maggiore comunicazione con i genitori sul sesso e sulle relazioni; maggiore autoefficacia per gestire situazioni rischiose».
Il diritto all’educazione affettiva e sessuale – afferma ancora l’Unesco in un rapporto del 2023 – è espressione del diritto alla salute ed è presupposto essenziale per il pieno rispetto dei diritti umani e l’uguaglianza di genere, che sono tra gli obiettivi dell’Onu per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. Ma l’Italia è uno dei pochi stati dell’Ue ove l’educazione sessuale non è obbligatoria a scuola.
Il piano di Valditara
Nel 2015 (l. n. 107), fu prevista per legge nelle scuole di ogni ordine e grado, con inserimento nel piano triennale dell’offerta formativa, «l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori». Furono pure predisposte apposite linee guida. Ma l’offerta rimase a discrezione delle scuole.
E tale resterà anche il progetto varato dal ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara: un piano di incontri sull’educazione alle relazioni, di un’ora l’uno, per 30 ore complessive, solo nelle scuole superiori e in orario extracurricolare. Il piano non solo è meramente facoltativo per le scuole, ma non potrà nemmeno essere attuato senza il consenso degli studenti o dei loro genitori. Insomma, fumo negli occhi. Ci si poteva aspettare qualcosa di più da un governo composto da Fratelli d’Italia e Lega, che si sono astenuti sull’adesione dell’Ue alla convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne?
© Riproduzione riservata