Il pestaggio di due ragazzi gay all’Eur porta a riflettere sulla violenza. L’omofobia e il pregiudizio saranno definitivamente superati quando vedremo questa aggressione con la stessa paura con cui assisteremmo a quella inferta a una famiglia nucleare di bianchi italiani. Non può essere solo affare dell’attivismo, ma deve coinvolgere tutti come comunità
La dinamica del pestaggio dell’EUR non è ancora chiara (una coppia gay all’uscita da un locale, picchiata da quattro aggressori, tra cui una donna). Non è chiaro se i picchiatori si siano inalberati perché i due protestavano per una manovra pericolosa della Panda degli assalitori, o se la manovra serviva a fermarsi per far partire l’aggressione.
Ma l’episodio può servire a riflettere ancora sulla violenza. Come ha spiegato Walter Siti su questo giornale, tutti stigmatizzano la violenza, ma lo fanno con violenza, in un certo senso, attaccando duramente gli avversari, nella polarizzazione urlata che è la cifra di una parte della nostra discussione pubblica.
Il suggerimento sottinteso è che la stigmatizzazione della violenza è ipocrita, che non c’è vera accettazione pacifica degli avversari politici, vera tolleranza. Tutt’al più un tentativo cinico di allontanare la violenza da noi e goderci la vita comoda nella nostra ridotta di privilegiati occidentali.
Violenza disponibile
Però un episodio come quello dell’EUR dimostra che quest’ipocrisia è un affare di èlite e di superficie. Anche nell’Europa relativamente pacifica dove viviamo, nella quiete sonnolenta dei quartieri bene (l’aggressione è avvenuta all’EUR, non una zona particolarmente segnata dagli episodi di micro e macro-criminalità di cui pure Roma ormai è piena), in realtà la violenza è disponibile, pronta a fuoriuscire.
Ed esce fuori quando per motivi principalmente identitari che corrono, ancora e sempre, lungo le linee di visioni tradizionali del genere, della famiglia, della convivenza politica. Nonostante tutte le denunce dell’ideologia gender, del politicamente corretto o del woke, la moralità comune è ancora conservatrice, tradizionalista, razzista, sessista. Con incoerenze, ovviamente. I gay sono una fetta di mercato, come altri gruppi di minoranza, e quindi ci sono locali, brand, prodotti per loro e ciò ha portato una certa visibilità sui media e alcuni diritti. E l’ipocrisia dell’“ho tanti amici gay, ma…”.
Ma alle 4 del mattino, quando la patina di censura sociale si allenta, ci accorgiamo di non essere andati molto avanti rispetto all’Idroscalo di Ostia. Il martellare continuo di una certa area culturale e politica sulla famiglia tradizionale forse non è causa, ma effetto. Questo paese non si è mai veramente allontanato da una visione arcaica e violenta del genere e della famiglia, cieca a qualsiasi riflessione e informazione sulla natura umana e il mondo.
Prendere posizione
La soluzione a tutto questo può essere una tolleranza non moralistica? Accettare e non demonizzare l’avversario, separare la politica dalla moralità (lo suggerisce di recente Giovanni Orsina su La Stampa), valorizzare le componenti moderate di partiti come FdI? Questa è un’illusione pia o in malafede, molto più del supposto moralismo.
Tollerare qualcosa significa ritenerlo un male necessario, non accettarlo. Se due uomini che si tengono per mano sono un male necessario, perché qualcuno non dovrebbe prima o poi scatenare le sue ire contro quel male?
L’omofobia e il pregiudizio saranno definitivamente superati quando vedremo l’aggressione dell’EUR con la stessa paura con cui assisteremmo alla violenza inferta a una famiglia nucleare di bianchi italiani.
Se alle 4 del mattino a Roma fosse stata picchiata una famigliola al rientro dalle vacanze, insonnolita, come sarebbero state le prime pagine dei giornali? E se quattro persone, plausibilmente non criminali, ritengono di scendere dalla macchina e picchiare due uomini, perché non potrebbe accadere che altri decidano di picchiare una famiglia?
In casi come questi non ci sono fughe dall’etica. O si accetta che lo stile di vita che porta due uomini ad amarsi sia buono come quello che porta un uomo e una donna a costruire una famiglia, o no. Se lo si accetta, e lo si fa come comunità, a questo tipo di violenza non si reagisce con la tolleranza, ma con la legittima violenza dello Stato.
La violenza dell’Eur non può essere solo affare dell’attivismo, delle associazioni di gay. Ci riguarda tutti, come comunità. Lo Stato non può essere neutrale: deve prendere posizione e dobbiamo prendere posizione noi. Prendere posizione significa anche avere chiari i presupposti impliciti: l’esaltazione della famiglia tradizionale, eterosessuale e naturale, da parte del governo è un attacco implicito alle famiglie adottive, ad altri generi di famiglie non tradizionali, a tutte le relazioni non eterosessuali.
I distinguo e l’accettazione non aiutano: non ci sono minoranze pittoresche e individui normali. Se passa l’idea che la violenza si possa abbattere contro stili di vita che non infliggono sofferenza a nessuno, prima o poi toccherà a tutti.
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