Che la politica in Occidente si stia progressivamente polarizzando è conclamato, per non vederlo si dovrebbe essere ciechi. Le cause del fenomeno ormai tutti le snoccioliamo stancamente come grani di un rosario:

1) i social ci abituano a ritmi binari, pollice in su o in giù, ci inseriscono in bolle anche a nostra insaputa, le echo chambers eccetera;

2) la divaricazione economica si fa sempre più ampia, l’ascensore di classe è bloccato, qualcuno si trova davanti un muro insormontabile e qualcun altro dal medesimo muro si sente difeso;

3) la domanda “che fare?” sempre più spesso sembra non avere risposte e la mancanza di vie d’uscita scatena la rabbia, hanno fatto esperimenti in questo senso sui topi;

4) la sinistra è stupita che i poveri non la votino più, vede minacce ovunque e si rimprovera di aver forse trascurato i diritti sociali per evidenziare quelli civili, mentre la destra deve ancora smaltire un rancore pregresso che la attanaglia;

5) l’analfabetismo creato dall’eccesso di informazione ha coinvolto anche la democrazia in quanto istituto, il populismo e la disintermediazione portano a pensare che il rapporto tra maggioranza e opposizione sia solo un rapporto tra chi vince e chi, avendo perso, deve abbozzare;

6) quelli che la pensano diversamente da noi non sono considerati avversari con cui discutere, e sui quali (troppa fatica) dialetticamente prevalere, ma nemici da annientare;

7) spettacolarizzare la politica fa la gioia dei media e ne riempie i portafogli, i conduttori di talk sanno che i discorsi complicati, capaci di riconoscere le ragioni dell’altro, dopo un po’ fanno morire di noia;

8) la presenza sempre più massiccia della religione nel conflitto politico (resurrezione di tempi andati, nulla scompare mai nella Storia) ha recuperato la terribile espressione “Dio lo vuole”, declinata a seconda delle circostanze (“questa terra ce l’ha data Dio”, “Allah è grande”, “è stato Dio che mi ha salvato”, o il dittatore di turno chiamato “un dono di Dio”).

Condannare la violenza

Data la polarizzazione per scontata, salta agli occhi la prima contraddizione: ci troviamo ad avere, almeno qui in Occidente, due fazioni sempre più nemiche che però, all’unisono, condannano ogni forma di violenza.

Non ci si risparmia nel demonizzare l’avversario (il corrotto, il mafioso, il pericolo per il Paese, il negatore delle libertà, il lobbysta ebreo senza scrupoli, il complottista dei vaccini, il brutale sprezzatore dei migranti), ma al primo che lo schiaffeggia scatta il coro di solidarietà. La reazione fisica deve essere esecrata sempre e comunque; quelli dell’altra parte sono considerati un bersaglio, ma guai a colpirli.

Nessuno si assume la responsabilità di una violenza che considera giusta e che rivendica (nelle rivoluzioni o nei tirannicidi, per esempio) – la violenza è sempre quella esercitata dagli altri. Oppure si lascia che ci sia molta violenza libera in giro, utile ad alimentare esigenze securitarie; chi esercita violenza politica è sempre un lupo solitario, un traumatizzato e un bullizzato, un “fuori di testa”. O un tagliagole fanatico.

Ci si dimentica troppo spesso che la non violenza vissuta davvero richiede un enorme coraggio personale.

Fuga dal centro

Durante la Rivoluzione francese, i deputati che alla Convenzione Nazionale sedevano al centro venivano chiamati la Pianura, o più spregiativamente la Palude. Al centro ci dovrebbero stare i mediatori, coloro che impediscono per l’appunto la polarizzazione delle fazioni armate l’una contro l’altra; tutti i cittadini dabbene oggi si dichiarano contro i fomentatori d’odio, ma poi al centro non ci vuole stare nessuno perché lì i consensi scarseggiano.

Il centro lo si corteggia solo nel caso dei “barrages” provvisori per impedire a una delle due fazioni estreme di salire al potere: lo fecero i democristiani nel 1949 quando contro i comunisti chiesero alla Vergine Maria di pellegrinare e di piangere, lo fece Berlusconi nel 1993 sdoganando la destra per paura di quelli che lui ancora chiamava «comunisti», l’hanno fatto in diversi momenti i vari Fronti popolari contro l’ascesa al governo dei fascisti (o presunti tali).

Dio non abita in Centro: lì abita piuttosto Cristo, campione di carità e di accoglienza (per quanto, i mercanti del Tempio non furono contenti che lui rovesciasse i loro banchetti, né gode di molta popolarità la sua affermazione di non essere venuto a portare la pace ma la spada). Gesù primo democratico, come una volta si diceva primo socialista.

L’illusionismo del Potere

Poi succede (miracolo!) che i capi di una fazione estrema, una volta arrivati al comando, si trovino a compiere atti tutt’altro che radicali, o che debbano scendere a compromessi con la classe sociale di cui sono soprattutto espressione, classe che spesso non cerca nient’altro che conservare lo status quo.

Nasce il sospetto che la polarizzazione sia un illusionismo del Potere per consentire al vero Centro di attuare la volontà dei privilegiati d’Occidente, cioè agire il meno possibile. Conservatori mascherati da nostalgici dei regimi totalitari, o socialdemocratici travestiti da irriducibili gauchisti. Autoconvincimenti, apparenze.

Capita sempre più spesso che il grido “pace, pace!” voglia dire “per favore non qui” – diamo le armi (difensive, ci mancherebbe) agli eroici ucraini perché si sacrifichino al posto nostro, che muoiano e vedano sventrate le loro case dietro la promessa vaga che alla fine li risarciremo.

Noi occidentali siamo i moderati e quel che possono fare i moderati è sapere che, se le cose cambiano, non possono che cambiare a loro sfavore. La nostra parola d’ordine preferita è “proteggerci”: urliamo, scendiamo in piazza con intenzioni bellicose ma senza mai trascendere, senza turbare troppo l’ordine pubblico, condannando “senza se e senza ma” le teste calde.

La stella polare

Le parole più consolatorie, che ci rilassano e ci favoriscono la digestione, sono quando al telegiornale sentiamo annunciare che questo o quel conflitto si è ricomposto, e che la Borsa ha ripreso a macinare i suoi utili. Fin che i soldi girano, tanto grave non può essere.

Ci abbandoniamo al circolo vizioso di odiare chi predica l’odio – ma non li si odia davvero, li si detesta perché non ci lasciano tranquilli. La stella polare del moderatismo non è (come dovrebbe) il progetto, ma la paura. Quel che la politica ha dimenticato è la “nuda vita” delle persone – che è fatta di molta paura, appunto, ma anche di desideri erotici, di soddisfazioni parziali, di competizioni magari grette, di ambizioni materiali per i figli, di divertimenti scemi: non di soli diritti vive l’uomo.

L’inclusione è un ideale meraviglioso ma non può essere confuso con l’entropia; che “ciascuno è differente a modo suo” non può in nessun caso voler dire che “niente fa la differenza”. Non so perché, ma mi torna in mente il romanzo di Saramago che si intitola Saggio sulla lucidità (quasi un sequel di quel Saggio sulla cecità che in Italia è tradotto semplicemente con Cecità); nel libro i cittadini a un certo punto si ribellano alla politica – dovendo scegliere tra un partito di sinistra, uno di destra e uno di centro, non si astengono: si recano in massa a votare, ma allo spoglio si verifica con sorpresa che più dell’80 per cento delle schede sono bianche.

Quel bianco diventa pian piano l’ossessione dei capi al potere, la metafora di un vuoto che nessuno è riuscito a riempire. I cittadini, recandosi compatti alle urne, hanno compiuto il loro dovere democratico o lo hanno contestato alla radice?

Il Potere arriva a proibire la parola “bianco” in pubblico, e a inscenare un attentato clamoroso per punire la popolazione di un complotto che in realtà nessuno ha ordito. Il governo si allontana dalla città e la gente continua a vivere la propria vita.

La “nuda vita” di noi occidentali non può essere che conservativa: non è colpa della politica, è colpa nostra se abbiamo bisogno di gridare “al lupo!” per sentirci al sicuro nella tana (sempre più artificiale e ingannevole) della democrazia. Quante volte si è sentito dire “è scandaloso che questo accada nel…” e poi un anno recente, nell’ingenua convinzione che la modernità garantisse di per se stessa il miglioramento. Eppure una seria critica del progresso dovrebbe esserci, nella cassetta degli attrezzi.

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