Nel corso dell’ultima settimana sono comparsi sui media alcuni servizi su temi di sanità che, presi complessivamente, ci dicono quanto sia ancora grande il divario tra l’entità dei problemi e quella delle soluzioni proposte. L’argomento trattato, in modo e con accenti differenti, è in tutti i casi quello degli operatori sanitari e del grave disagio che vivono ormai da anni.

L’evento di cronaca che è stato riportato con maggiore evidenza è quello dei medici e degli infermieri dell’ospedale policlinico Riuniti di Foggia assaliti e percossi da una ventina tra familiari e amici di una ragazza morta durante un complesso intervento di chirurgia toracica. Sono sfuggiti a lesioni più gravi solo perché si sono barricati in una stanza in attesa delle forze dell’ordine.

La stampa ha anche diffuso, con minore evidenza, i dati sulle domande di iscrizione ai corsi di diploma per le professioni sanitarie (infermieri, fisioterapisti e tecnici sanitari), che risultano in calo del 5 per cento rispetto al 2023, a documentare che, nell’ambito della sanità, non è solo la professione di medico quella che sta perdendo attrattiva tra i giovani.

Per quanto riguarda i medici non desta sorpresa, ma dovrebbe molto preoccupare, la notizia che le domande per la scuola di medicina di emergenza-urgenza sono calate ulteriormente, consentendo quest’anno di assegnare solo un quarto dei posti disponibili. Veniamo ora alle notizie relative alle iniziative che, negli stessi giorni, la politica ha messo in campo per rispondere a questi problemi.

Un Daspo per i violenti

Il primo progetto è una sorta di Daspo per chi aggredisce il personale sanitario (16mila aggressioni denunciate nel solo 2023). Il disegno di legge, a firma del senatore Ignazio Zullo di Fratelli d’Italia, prevede uno stop di tre anni delle cure gratuite (limitato alle prestazioni programmate e di elezione) per i colpevoli di aggressioni o danneggiamenti.

Per evitare le lungaggini della giustizia ordinaria, si prevede un percorso tutto interno di trasmissione dei nominativi dei “violenti” dalle regioni al ministero e, di ritorno, ai centri unici di prenotazione. Sarebbe così possibile sanzionare i responsabili prima di qualunque condanna definitiva. Al di là della dubbia costituzionalità della proposta, la sua messa in atto dà per scontati l’esistenza e il buon funzionamento di canali telematici tra centro e periferia che ancora oggi non esistono e non riescono a trasmettere neppure dati sanitari come quelli relativi alle liste d’attesa, ben più importanti per controllare l’efficienza del sistema.

Per non dire del fatto che ottenere un esame o un intervento in tempi non epocali resta oggi un’impresa anche per i cittadini più miti e non violenti. Si tratta dunque solo di una provocazione o di un provvedimento di “deterrenza”, come sostengono i promotori del ddl, immaginando, al di fuori di ogni logica, che un branco di assalitori come quelli di Foggia possa essere dissuaso nel caso (del tutto improbabile) che una proposta del genere venga approvata in parlamento.

Un falso imperativo morale

La più recente risposta del governo alla grave carenza di medici in pronto soccorso è invece il lancio, da parte del ministero della Salute, di una campagna di pubblicità progresso per motivare i giovani medici a scegliere per il loro futuro il lavoro in pronto soccorso. L’hashtag della campagna è “#noisalviamovite”, e il video promozionale mostra giovani medici che lavorano con serena tranquillità in pronto soccorso ordinatissimi e semivuoti, confortati nell’animo dalla nobiltà del loro agire.

Nulla di più lontano dagli ambienti caotici e inadeguati nei quali questi professionisti sono costretti a lavorare, dalle decine e decine di pazienti che attendono per ore una visita e per giorni un letto dove essere ricoverati, dai week-end e dalle notti sempre più numerosi che toccano in turno a ognuno per sopperire alla emorragia di colleghi che alla prima occasione scelgono di cambiare reparto se non addirittura mestiere.

Interventi di facciata

Alla drammaticità dei problemi della sanità pubblica si risponde dunque con interventi di repressione o di paternalismo utili solo nel mondo immaginario di chi li propone.

Bisognerebbe ristrutturare e ammodernare le strutture ospedaliere, individuare e ridurre le ragioni del contenzioso, incentivare economicamente chi lavora nei reparti d’urgenza, prevedere una sicura via d’uscita dopo cinque-dieci anni di lavoro in pronto soccorso per chi non se la sente di invecchiare in un contesto rischioso e faticoso che richiede un’energia e una resilienza che non è da tutti.

Si propongono invece interventi di facciata, che lasciano il tempo che trovano e rischiano di inasprire, anziché di lenire, gli animi di medici e infermieri. Si fa la faccia brutta o si sorride invitando a entusiasmarsi per un futuro eroico che non esiste. Noi salviamo vite, certamente, ma non possiamo farlo mettendo a repentaglio la nostra.

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