- Dalla metà del 17mo secolo, all’interno dei confini geografici di uno stato, i pagamenti avvengono nella moneta emessa da una banca centrale attraverso istituzioni di deposito.
- Molte forze stanno minacciando questo assetto. La prima è l’ascesa delle criptovalute. I bitcoin non hanno futuro come sistema di pagamento per colpa della loro volatilità e del processo di produzione molto inquinante che richiedono.
- Se trova un’intesa con gli Stati Uniti su qual è il sistema dei pagamenti desiderabile, l’Ue può influenzare l’esito finale del processo.
Dalla metà del 17mo secolo, all’interno dei confini geografici di uno stato, i pagamenti avvengono nella moneta emessa da una banca centrale attraverso istituzioni di deposito. A livello internazionale, si usano i dollari americani e un complesso sistema di comunicazioni noto come Swift.
Quattro forze stanno minacciando questo assetto. La prima è l’ascesa delle criptovalute. I bitcoin non hanno futuro come sistema di pagamento per colpa della loro volatilità e del processo di produzione molto inquinante che richiedono. Nonostante questo, molte altre criptovalute sembrano nelle condizioni giuste per offrire pagamenti internazionali a costi vicini allo zero.
Oggi, i 702 miliardi di dollari di rimesse internazionali da emigrati sono zavorrate da 46 miliardi di dollari di commissioni. Se eliminassimo quelle commissioni, verrebbe trasferita automaticamente una somma analoga alle persone più povere del mondo ogni anno: sarebbe il programma di aiuti internazionali più imponente mai concepito.
La seconda forza è la separazione tra confini geografici e monetari, dovuta alla digitalizzazione delle monete. In passato, era costoso per i mercanti domestici accettare valuta straniera perché la conversione spesso richiedeva il trasporto fisico delle monete fino al loro paese d’origine.
Oggi, con la moneta elettronica, quel costo è irrilevante ed è allettante per molti paesi con valute instabili cercare di “dollarizzarsi”, cioè accettare moneta emessa all’estero come principale mezzo di scambio.
La terza forza è l’ingresso di piattaforme digitali fondate sulla pubblicità nel mondo dei pagamenti. Oggi Facebook e Google ci offrono molti servizi gratuiti (ricerca, email, messaggistica, navigazione…) in cambio dei nostri dati.
La prossima tappa ovvia è offrirci servizi di pagamento in cambio dei nostri dati, così potrebbero battere qualunque concorrente che non potrebbe mai usare in molto altrettanto efficiente i dati.
Queste forze stabiliranno quale sistema dei pagamenti prevarrà in futuro: uno basato sulla valuta digitale gestita dalle banche centrali, uno fondato su moneta gestita da società private (come il tentativo di Facebook con Libra) o stablecoins, come USD Coin o la seconda versione della Libra di Facebook, Diem. Il risultato non dipenderà soltanto dall’efficienza delle diverse soluzioni.
In un mercato in cui ogni acquirente vuole avere la stessa moneta dei suoi potenziali partner commerciali (noi economisti parliamo di “esternalità di network”), ci sono molti equilibri possibili con differenti livelli di efficienza e conseguenze distributive.
Le rendite in discussione sono enormi, basti pensare che il signoraggio che deriva agli Stati Uniti dalle banconote detenute all’estero è stimato nell’ordine dei 30 miliardi di dollari l’anno. E il “privilegio esorbitante” che deriva dallo status del dollaro come “valuta di riserva” vale almeno 514 miliardi all’anno.
Questi numeri non considerano i benefici politici e strategici che derivano dal controllare i principali snodi del sistema dei pagamenti internazionali. Sarà in gran parte la cooperazione tra Stati Uniti ed Europa a definire a chi andranno queste rendite.
I governi in giro per il mondo hanno adottato tre approcci diversi. Gli Stati Uniti hanno lasciato la scelta al settore privato, fiduciosi che la supremazia tecnologica delle sue imprese proteggerà il ruolo del dollaro.
La Cina si affida all’introduzione di una valuta digitale da parte della sua banca centrale, che dovrebbe diventare il centro di un nuovo sistema di pagamenti, a livello nazionale ma anche internazionale. Una delle ragioni che ha spinto la Cina a seguire questa linea è il timore che le aziende private potessero controllare più dati sulla popolazione di quanti ne abbia il governo stesso.
Il terzo approccio, sperimentato dall’India, consiste in un’alleanza tra pubblico e privato. Con sforzi enormi, il governo indiano ha prodotto una “misura universale antropometrica di identità digitale” (aadhaar): grazie a un’alleanza con i privati, il governo ha anche prodotto un’interfaccia digitale per i pagamenti che ciascun fornitore può usare. Con questo standard unico, il governo indiano si è assicurato un certo grado di competizione nel settore.
Al momento queste scelte sono limitate ai paesi promotori, ma è facile immaginare che un renminbi digitale possa diventare una valuta interessante per molti paesi africani, soprattutto quelli che hanno una intensa attività commerciale con la Cina, scalzando il dollaro.
L’Unione europea deve ora scegliere il suo approccio. E la scelta non può ignorare l’alleanza militare che molti paesi hanno con gli Stati Uniti, ma neppure può ignorare la diversa sensibilità che gli europei hanno rispetto alla privacy dei dati o gli interessi economici specifici di ciascun paese.
Se trova un’intesa con gli Stati Uniti su qual è il sistema dei pagamenti desiderabile, l’Ue può influenzare l’esito finale del processo. Ma lo sforzo è necessario ora: quando un mercato con forti esternalità di network inizia a pendere in una direzione, diventa subito impossibile invertire la tendenza. E ogni sforzo diventa vano.
Questo articolo è uscito in inglese su ProMarket.org
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