C’è ancora domani ha commosso platee, infiammato il dibattito sulla parità, è diventato simbolo mentre la cronaca macinava altre vittime, i cortei sfilavano per le strade, le generazioni più giovani ribollivano di nuove istanze. Ha imposto un modello produttivo a suo modo rivoluzionario: è un film italianissimo, che non insegue nessun modello straniero
Paola Cortellesi è finita sul New York Times, e potremmo chiudere qui il bilancio dell’annata cinematografica 2023. È perché siamo condannati all’esterofilia: c’abbiamo i kolossi in casa, eppure ci fa più effetto quando vediamo le interviste titolate in inglese. Siamo così, e del resto proprio Cortellesi nel suo C’è ancora domani lo fa dire alle popolane della Roma del dopoguerra: i soldati americani c’hanno più denti di noi, non li vedi?
Dunque, Cortellesi è sul New York Times, nel momento in cui scrivo ha già superato Oppenheimer, manca tanto così e supererà pure Barbie, e potremmo (ri)chiudere il bilancio pure qua. Sembrava l’estate cinematografica più incredibile di sempre, anche da noi dove il Barbenheimer non s’è compiuto, Barbie è uscito a fine luglio e Oppenheimer un mese dopo.
A differenza degli Stati Uniti in cui, invece, la stessa Margot Robbie, protagonista e anche produttrice del film sulla bambola Mattel, si è battuta perché i due blockbusteroni uscissero lo stesso weekend, prevedendo la bomba atomica (ma con nube rosa shocking) poi effettivamente esplosa. «Mi hanno chiamato [i produttori di Oppenheimer] chiedendomi di spostare la data d’uscita», racconta – più o meno – oggi Robbie nella bellissima serie Actors on Actors di Variety proprio davanti a Cillian Murphy, protagonista del film teoricamente rivale.
«E io gli ho risposto: spostatela voi». S’è, insomma, battuta perché Barbenheimer avvenisse, creando un fenomeno che ha dato ancora più forza ai singoli film, che ha generato un dibattito come non si vedeva da decenni, che ha prodotto una quantità di meme e gif e materiale social che oggi valgono più di centomila campagne marketing.
Nell’epoca in cui tutto viene spacciato per “evento”, l’estate – americana, ma pure nostrana – del 2023 è stata l’evento vero: la gente tornava al cinema perché non voleva/non poteva restare fuori dalla conversazione, come si dice oggi. Cose che non si vedevano dal finale di Lost, ma era televisione, al cinema figuriamoci, chi l’avrebbe previsto più. E anche qui potremmo chiudere, per la terza volta, questo bilancio.
Le tendenze
E invece l’annata merita un più puntuale approfondimento perché è stata davvero stramba, come ci ripensi ti sorprende, ci sono cose accadute sette-otto mesi fa che sembrano lontanissime, per come sono mutati gli scenari dopo.
Ricordiamoci che il 2023 è partito con le ossa ancora rotte causa Covid, con il grosso della produzione ancora rivolto ai servizi di streaming, con il flop di titoli costosissimi come Babylon di Chazelle (flop immeritato, almeno per il sottoscritto) e una disaffezione crescente del grande pubblico per la famigerata “esperienza della sala”, una specie di mantra ripetuto così tante volte da venire a noia ai più.
Ricordiamoci che il 2023 è stato l’anno della crisi forse definitiva del modello Marvel per come l’avevamo conosciuto in tempi avengersiani: l’annata è partita con il risultato non certo eccelso di Ant-Man and the Wasp: Quantumania e si è chiusa, qualche mese più tardi, con The Marvels, il peggiore risultato di sempre al box office dello Studio dei cinecomic. Ricordiamoci che il 2023 è stato l’anno degli scioperi di attori e sceneggiatori, che hanno svuotato i tappeti rossi dei festival e lasciato al palo produzioni di film e serie per mesi; e che potevano fermare tutto forse non per sempre, ma ecco, in anni di coma già profondissimo non erano certo il viatico migliore per la ripartenza post-pandemia.
A tenere su il botteghino internazionale, a parte Barbenheimer, è rimasto un gruppuscolo di produzioni un po’ stanche: il nostalgico-kitsch Super Mario Bros. - Il film; l’ennesimo Fast & Furious (numero 10!), che però comprensibilmente non tira più come un tempo; Guardiani della Galassia Vol. 3, l’unico Marvel che si è difeso; La sirenetta, che però ha chiuso ben al di sotto delle aspettative (la Cina ha punito, pare, la scelta di una protagonista black). E poi, i capitoli numero 2, 3, 5, 10.000 di saghe che hanno il fiato sempre più corto: Indiana Jones, Mission: Impossible, John Wick, Transformers, eccetera. Spettacoloni sempre più passivi per un pubblico (però nettamente ridotto) che sente l’obbligo di andare a vederli come se dovesse pagare una tassa, ma a cui in fondo frega ben poco.
In questo senso, Barbie e Oppenheimer sono stati l’eccezione: due film con due idee originali – e il fatto che passino per idee originali una bambola nata più di sessant’anni fa e uno scienziato più vecchio ancora dice tutto – che sono sembrati un corpo estraneo nel cinema serializzato d’oggigiorno. (E infatti ora i produttori che vorranno fare? Di certo non si prevede un Oppenheimer 2, e al momento pure Gerwig e Robbie hanno dichiarato che di un sequel di Barbie non se ne parla proprio, nonostante i triliardi d’incasso del primo. Vedremo).
L’effetto Cortellesi
Nel frattempo, in Italia, si muoveva un’onda carsica che avrebbe esondato un po’ a sorpresa. Paola Cortellesi era già la più potente del nostro cinema, uno dei pochi nomi (l’unico?) veramente “bankable”, come dicono altrove, cioè capaci di convertire la grande popolarità in biglietti realmente venduti.
C’è ancora domani era stato annunciato ben prima dell’uscita, e lasciava scettici in parecchi. Il bianco e nero, l’aria vagamente neorealista, il registro sospeso tra dramma e commedia (come i film “all’italiana” di una volta, del resto): potrà mai fare grandi incassi? Sappiamo com’è andata. Un’altra parolaccia che si usa oggi – insieme a “evento”, “esperienza della sala”, “conversazione”, e altre cose citate prima – è “sentiment”, ancora peggio quando viene tradotto con “sentimento”.
Ma Cortellesi, oltre a fare un bel film, ha beccato, per capirci, proprio il “sentiment” del momento, e non senza saperlo; certo, forse senza immaginare che avrebbe superato i 30 milioni al box office, realizzando uno degli incassi italiani maggiori di sempre (e l’unico di una regista donna, naturalmente).
C’è ancora domani ha mosso e commosso platee, ha infiammato il dibattito sulla parità rimasto fermo, almeno da noi, alle quote rosa di cent’anni fa, è diventato simbolo mentre la cronaca macinava altre vittime, i cortei sfilavano per le strade, le generazioni più giovani ribollivano di nuove istanze (e infatti ora c’è la gara a farlo vedere nelle scuole). E ha imposto un modello produttivo a suo modo rivoluzionario: è un film italianissimo, che non insegue nessun modello straniero (no: americano), che parte dalla Storia del nostro paese per raccontare una storia tristemente valida ancora oggi. (Poi, ovviamente, c’è il dark side: amici cinematografari romani mi hanno detto l’altro giorno che hanno saputo di almeno due-tre film in lavorazione che dal colore passeranno al bianco e nero).
Nell’anno in cui Barbie e Oppenheimer si sono presi il cinema – anche il nostro – rendendolo di nuovo un argomento appassionante, Paola Cortellesi ha finito per superare sia l’uno che l’altro, e forse questa è la vera chiusura del bilancio di fine anno.
Ma oggi non si può parlare di cinema – no: di audiovisivo, altra parola bruttissima – senza parlare di serie, di televisione o quel che ne resta, di streamer. Sempre nel momento in cui scrivo, sta creando un (minimo) dibattito Il mondo dietro di te, film Netflix di Sam Esmail, già creatore di Mr. Robot e Homecoming, tratto da un romanzo di successo e con protagonista Julia Roberts. Un film che vent’anni fa (trenta?) avremmo visto sicuramente al cinema, e che invece oggi trova casa solo su piattaforma.
Piattaforme che, ricordiamoci anche questo, nel 2023 hanno cominciato ad arrancare, il modello di business non regge più, anche i colossi che campano grazie ad altro (Prime Video, Apple TV+) hanno iniziato a tagliare, a virare su contenuti meno costosi, show comici, serie “unscripted”, come si dice in gergo, prodotti da neo-Tv generalista: non ci sono numeri (e non ci saranno mai), ma immagino che il film italiano più visto su Netflix quest’anno sarà Unica, vale a dire un’intervista a Ilary Blasi. Resterà un precedente assai rilevante per gli anni futuri.
Il 2023 è l’anno in cui sono finite tante serie che, in pochissimi anni, sono diventate dei classici, da Succession a The Crown. L’anno in cui si è affacciato il fenomeno (però non così esplosivo in termini di immaginario) The Last of Us, in cui c’è stata la riconferma di The Bear, la serie che più piace alla gente che piace (ma che resta “nicchia”).
Ma anche l’anno che, in definitiva, sembra un po’ di passaggio, per quanto riguarda il piccolo schermo. E forse è questo il vero finale, in questo bilancio finale: vuoi vedere che, zitto zitto, il cinema è tornato cool? Pensa un po’ te.
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