- L’arrivo sul mercato di cellulari sempre più performanti a livello fotografico ha creato un forte ripensamento della professione fotografica.
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Durante un viaggio in Costa Rica, nella provincia di Alajuela, un coltivatore di Anans ci porge una propaggine della pianta principale: una volta separata, verrà ripiantata e si trasformerà a sua volta in una nuova pianta produttrice. Prendo l’iPhone, mi infilo tra le braccia protese e scatto.
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La foto finale non ha la stessa incisività di una realizzata con una reflex professionale, non è scevra di problemi tecnici, ma descrive qualcosa. O quanto meno ci prova, e in questo tentativo si fa veicolo e non mera riproduzione tecnica, ricordandoci, se ancora ce ne fosse bisogno, che una fotografia è tale solo quando racconta una storia.
FOTO
Foto Andrea Di Lorenzo
Sono passati circa trent’anni dall’uscita della prima fotocamera Reflex digitale: era il 1991 quando Kodak presentò il suo sensore Ccd da 1,3 megapixel montato nel corpo di una Nikon F3 a pellicola e collegato a una ingombrante unità di archiviazione dati. Oggi il pensiero di quel singolo megapixel fa quasi sorridere, soprattutto se si pensa che una Dslr moderna, una macchina fotografica digitale a ottiche intercambiabili, arriva facilmente a 50 MP.
Smartphone in viaggio
Per assurdo, anche il sensore di diversi cellulari presenti sul mercato arriva a tanto. Sebbene la qualità di una foto non sia solo questione di megapixel, questi numeri ci portano a riflettere su quanto la fotografia sia evoluta nella sua grammatica e nel suo lessico insieme con la tecnica e la tecnologia.
L’arrivo sul mercato di cellulari sempre più performanti a livello fotografico ha creato un forte ripensamento della professione fotografica, portando molti professionisti a lavorare in funzione di un media inedito e di una nuova fruizione finale. L’esempio dei social network e del loro storytelling è lampante.
Sono stati in tanti a interrogarsi sull’effettivo valore di una foto realizzata con un cellulare, considerando che gli smartphone sono pur sempre comodi, leggeri e, alla luce degli ultimi prodotti immessi sul mercato, incredibilmente performanti. Perfetti compagni di viaggio per chi, come me, a volte vorrebbe dimenticare di essere un fotografo.
Tra i campi di ananas
Siamo in Costa Rica, nella provincia di Alajuela, in una piantagione di ananas: il paese ne produce in quantità enormi, tanto da essere tra i primi produttori mondiali insieme a Brasile, Thailandia e Filippine (secondo la fonte Fao Stats, Agricultural Production Statistics 2000-2020).
È agosto, nel pieno della stagione delle piogge, e il cielo plumbeo scarica ogni tanto una generosa dose di pioggia sul terreno. Intorno a noi i campi di ananas si estendono per centinaia di metri fino alle montagne e alle foreste.
Visitiamo la piantagione a bordo di un carro tirato da un trattore con la nostra guida, Maikol, che racconta come si sviluppa la coltivazione.
La forma è importante
Qui, spiega, le piante vengono divise per età, si propagano, e il frutto non è altro che un multi-frutto, o frutto collettivo, ossia un frutto che si forma partendo da un conglomerato di fiori.
Tra un assaggio di frutto succoso e una battuta, Maikol racconta che gli ananas vengono “forzati” dall’uomo nel loro sviluppo: se le piante fossero lasciate crescere naturalmente, si creerebbe una discrepanza di dimensioni nei frutti finali, causando un problema commerciale ai produttori a cui il mercato impone standard molto stringenti in termini di dimensioni e qualità.
Il metodo
Sviluppando un metodo già conosciuto a inizio Novecento, l’affumicatura, le piante vengono quindi irrorate con dell’etilene, un idrocarburo in forma gassosa che viene prodotto spontaneamente da alcuni frutti e che spruzzato sulle piante ne forza la fioritura e la conseguente trasformazione delle infiorescenze in frutto.
Un meccanismo molecolare che è stato studiato a livello scientifico ma ancora non del tutto chiarito. Mentre Maikol sguaina il suo machete e affetta un ananas appena colto, una fitta schiera di cellulari riprende la scena: la maggior parte delle foto e dei video finiranno nel dimenticatoio, sui social o su qualche chat di famiglia.
Dall’altro lato rispetto alla nostra guida, un coltivatore ci porge una propaggine della pianta principale: una volta separata, verrà ripiantata e si trasformerà a sua volta in una nuova pianta produttrice. Prendo l’iPhone, mi infilo tra le braccia protese e scatto.
La foto finale non ha la stessa incisività di una realizzata con una reflex professionale, non è scevra di problemi tecnici, ma descrive qualcosa. O quanto meno ci prova, e in questo tentativo si fa veicolo e non mera riproduzione tecnica, ricordandoci, se ancora ce ne fosse bisogno, che una fotografia è tale solo quando racconta una storia.
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