La solitudine del punto esclamativo è il titolo di un bel libro di Massimo Arcangeli dedicato al «racconto dei racconti sull’evoluzione simbolica dei caratteri, delle loro origini mitiche fino all’invasione di internet e alle chat sui telefonini». Certamente oggi, il punto esclamativo non sempre è solo, spesso è accompagnato. La tendenza generalizzata alla ripetizione, talvolta ossessiva e tipica della comunicazione contemporanea (del trasmesso radio-televisivo e ora, in modo molto più evidente, dello scritto mediato attraverso computer) riguarda infatti anche la punteggiatura e in particolare il punto esclamativo, che spesso è duplicato, triplicato, quadruplicato, talvolta accompagnato da un altro segno “emotivo”, il punto interrogativo (!?, !!??, ??!! – a esprimere per lo più sorpresa o incredulità: «Ma come?!?!?!»), o addirittura ricorre in veri e propri “mazzetti”, inframmezzati o seguiti da 1 (SVEGLIAAAA!!!!111!!!).

Un banale errore dovuto alla velocità di digitazione (non si preme il tasto della maiuscola) che può diventare una delle mille forme ludiche diffuse sui social. Del resto, una sorte analoga riguarda anche i puntini di sospensione che sono in grande espansione in testi diversi, non solo in quelli digitali, ma anche in quelli letterari e giornalistici.

Scritture digitali!!?!

Nelle scritture digitali, poi, i puntini sono spesso moltiplicati in sequenze di gran lunga eccedenti il classico numero di tre, sequenze per di più collocate in posizioni inusuali (all’inizio, in centro e alla fine di una frase) a sostituire altri segni interpuntivi, in particolare il punto fermo, che nelle chat pare essere bandito o almeno fortemente censurato.

La sua presenza, secondo studi recenti, sarebbe considerata aggressiva, perché superflua, dal momento che basterebbe il tasto “invia” a segnare la fine del turno. Il punto, per il suo carattere definitivo, darebbe alla battuta una connotazione alquanto negativa, comunicando autoritarismo, rabbia o insofferenza.

Meglio il punto esclamativo allora, un tempo censurato perché troppo “urlato”, al pari delle maiuscole, ma oggi considerato segno di gentilezza, di cordialità, di sincerità (grazie!). Eppure proprio il punto fermo in altri tipi di scritture, a cominciare dai giornali, sta conoscendo una grande fortuna (modello Ilvo Diamanti!) e domina su tutti gli altri segni, soprattutto su punto e virgola e due punti.

Il flusso comunicativo!?!!!?!

Bastano queste poche osservazioni perché ci rendiamo immediatamente conto di come il mondo della punteggiatura stia attraversando una fase di rapida e multiforme trasformazione che parte dalla comunicazione digitale (cioè da quell’e-taliano che sta sempre più spostandosi verso il centro della complessa architettura della nostra lingua), ma che tende ad allargarsi a macchia d’olio ad altri generi testuali tradizionali.

Stanno cambiando velocemente l’inventario dei punti, il loro uso e la loro funzione. In generale, la virgola passe-partout è oggi un altro segno vincente accanto al punto fermo. Entrambi sono in stretto rapporto con la frammentazione sintattica e il prevalere di andamenti coordinativi e giustappositivi. Illustri precedenti letterari non mancano (da Vittorini e Pavese fino ad Ammaniti e Baricco, da Fenoglio, a Tabucchi fino a Tiziano Scarpa).

Ma frequente è anche la totale assenza di punteggiatura nelle chat, in un flusso comunicativo paragonabile a quello di molte scritture popolari del passato (lettere e diari privati), piuttosto che alle scelte stilistiche di grandi autori come Joyce o a quelle eversive dei futuristi.

#Emoji!?!

Naturalmente, come sempre capita nelle cose di lingua, il vecchio coesiste con il nuovo, si procede per svolte e aggiunte successive, finché qualche segno o qualche sua funzione decade, un punto cambia il proprio significato tradizionale o lo perde (desemantizzazione).

Motivo di allarme, di preoccupazione, di scandalo? Possiamo pensare che anche la punteggiatura rientri in quel processo di semplificazione linguistica (ma alcuni parlano di abbassamento, di piattezza semantica, di banalizzazione) che interessa l’italiano contemporaneo? Oppure che sia manifestazione del fenomeno opposto, di una spettacolarizzazione e di un’enfasi a tutti i costi?

Si sta velocemente passando da una fase di creatività interpuntiva, che utilizza largamente in modo non tradizionale i soliti segni e che ricorre volentieri ad altri codici iconici (* # @ emoticon ed emoji), a una in cui tende a prevalere la copia e lo stereotipo? L’eccesso di ripetitività sta cancellando funzioni e valori? Difficile generalizzare.

Segnaletica verbale!?!

Sappiamo che la punteggiatura è un sistema complicato, anche a causa della tradizionale polifunzionalità dei molti segni che lo compongono e della scarsa normatività.

È assodato, d’altra parte, che la comunicazione mediata da computer (Cmc) non è una realtà uniforme (e-mail, sms, chat, blog). Essa varia molto a seconda della tipologia dei testi, dell’età degli scriventi, dell’immagine che questi vogliono trasmettere, delle loro competenze linguistiche, del fare essi parte di comunità virtuali più o meno ampie e coese, dei destinatari. Forse per capirne un po’ di più conviene tenere conto di due elementi, uno teorico e uno storico, sui quali c’è grande accordo tra gli specialisti.

L’idea dei punti come indicatori di pause più o meno prolungate o di semplici segnali intonativi non regge più (benché non manchi di affezionati sostenitori). Anche la punteggiatura, come tutte gli altri livelli di una lingua, ha una chiara valenza testuale, quindi sociale e culturale, al di là dei molti usi effimeri, destinati a decadere nel giro di una chat! Non a caso la punteggiatura negli ultimi anni ha attirato l’attenzione di studiosi e di insegnanti.

I linguisti si sono convinti dell’importanza di punti e virgole come elementi chiave di una segnaletica, capace non solo di orientare il lettore nelle strutture sintattiche della pagina, ma anche di offrirgli informazioni preziose di tipo intonativo (per la lettura ad alta voce), interpretativo (per la decifrazione di testi letterari) e pragmatiche, per la ricostruzione delle intenzioni e degli scopi dello scrivente, ossia dei diversi atti di parola che compie; e persino dei suoi sentimenti, della sua soggettività ed emotività.

La punteggiatura appare sempre più una guida indispensabile alla comprensione del testo. E il suo legame con la cultura e la società di un’epoca è molto stretta.

Per questo la storia è istruttiva. La prima rivoluzione interpuntiva si determina quando cambiano radicalmente le modalità della comunicazione, cioè con l’affermazione della stampa, in particolare grazie a due grandi protagonisti dell’epoca, un umanista–filologo e uno stampatore–editore: Pietro Bembo e Aldo Manuzio.

La prima rivoluzione!!!?

Agli inizi del ‘500 il moderno sistema interpuntivo (virgola, punto e virgola, due punti, punto fermo, ma anche accenti e apostrofo) appare definito, almeno come inventario.

Naturalmente si discuterà ancora a lungo sulle funzioni dei diversi punti, saranno pubblicati trattati specifici (Lombardelli), molti grammatici ne faranno un capitolo speciale dei loro manuali e importanti novità emergeranno nei secoli successivi, come ad esempio l’uso normale dei due punti per introdurre il discorso diretto o l’eliminazione delle molte virgole che frammentavano eccessivamente e meccanicamente i testi.

Venezia esporterà in tutta Europa, con i libri da tasca inventati da Manuzio e Bembo (le famose edizioni aldine), un sistema interpuntivo creato per garantire una leggibilità del tutto nuova di libri pensati per pubblico molto più ampio rispetto a quello abituato a maneggiare manoscritti e codici.

Le vicende del punto esclamativo o ammirativo sono parzialmente diverse, innanzi tutto cronologicamente. Sono infatti più antiche: ci sono tracce del suo uso (e di riflessioni e regole relative) già tra la fine del Trecento e il Quattrocento. Adopera il punto esclamativo nei suoi manoscritti, ad esempio, Leon Battista Alberti, attribuendogli talvolta la funzione di punto interrogativo.

Confusione tra punti?!?

Ma la confusione tra questi due punti durerà a lungo, fino a noi e si giustifica con la loro natura in parte simile. Entrambi, esclamativo e interrogativo, si differenziano dagli altri punti perché la loro funzione principale non è segmentante, ma “interattiva”, modale. Lo scrivente coinvolge direttamente in un atto linguistico il lettore, interrogandolo o ingiungendogli di fare qualche cosa (Quando vieni? Vieni!).

Eppure attualmente, come ho già accennato, queste funzioni basilari non bastano a spiegare l’espansione del punto esclamativo che può indicare sì un comando, ma anche esprimere ammirazione, desiderio o semplicemente condivisione e sentimenti come gentilezza, sincerità (e molti altri).

Occorre riconoscere che oggi, come nel ‘500, stiamo attraversando una nuova fase della storia interpuntiva, che è strettamente legata ai cambiamenti linguistici sociali e culturali provocati dalla Cmc, in particolare da quella dei social network, caratterizzata, come è noto, da estrema informalità e da una evidente esigenza di velocità, immediatezza, frammentazione ed emotività.

Tutti tratti che sono stati finora prerogativa del parlato-parlato, quello faccia a faccia, di tipo colloquiale. Ma abbiamo mai parlato tanto quanto ora scriviamo sul cellulare? La reperibilità e connettività permanente entrano pesantemente in gioco.

Parlato informale?!?

È chiaro quindi che il parlato informale non può essere il motore unico delle trasformazioni in corso, il modello che spiega tutto. È vero che due suoi tratti caratterizzanti, la dialogicità e l’interattività, informano largamente la Cmc, ma dialogicità e interattività si devono configurare nelle scritture digitali in modo diverso per adattarsi a testi destinati all’occhio e non all’orecchio!

La punteggiatura è una componente significativa di questo adattamento e tra i segni interpuntivi che maggiormente possono permettere alla scrittura digitale di essere (o apparire) dialogica e interattiva si riconoscono senz’altro i segni interattivi o modali, cioè l’interrogativo, l’esclamativo e i puntini di sospensione.

Quanto al punto esclamativo, esso sta conoscendo una stabilità e una fortuna che supera i diversi stili e generi testuali. È usato normalmente non solo nelle chat ma nelle mail, anche in quelle professionali, e da persone di tutte le età.

Inoltre occorre più frequentemente anche nei testi letterari (e non solo nelle parti dialogiche) e giornalistici, superando le censure che ne avevano in passato frenato l’uso, in quanto manifestazione di eccessiva soggettività ed emotività.

Una soggettività che evidentemente esigeva di essere espressa prima dell’invenzione della punteggiatura soprattutto segmentante (e razionalizzante) di Bembo e Manuzio, come abbiamo visto. Una soggettività che è senz’altro cifra del presente modo di comunicare. Con tutti i dubbi che ciascuno di noi può nutrire per una sincerità, un’affettività e un’espressività troppo esibite. Non a caso i più giovani (15-25 anni), in alcune chat pubblicate di recente (Pistolesi), criticano ferocemente i più vecchi che riempiono i loro testi di puntini, emoji e punti esclamativi..???!!!

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