Nonna Gianna faceva delle grandi feste di compleanno. Diceva che, alla sua età, nessun giorno era scontato e lo diceva da quando Angela aveva memoria. Un tempo anche lei era stata giovane, o almeno così riferivano gli album di fotografie su cui erano documentati i compleanni: pagina dopo pagina, la nonna aveva cambiato taglio di capelli, rinunciando alla cotonatura per un caschetto sotto le orecchie, e dismesso le spalline per delle morbide camicie. Angela non avrebbe saputo dire se seguiva la moda oppure no: per lei, cresciuta senza madre o sorelle, i gusti della nonna erano Vogue.

Una volta aveva provato a domandare a papà come vestiva la mamma: se le piaceva più portare i pantaloni o la gonna, se i cappelli le stavano bene, se era una da occhiali da sole. Suo padre si era grattato la testa: «Le stava tutto bene, anche un sacco di iuta», il che era una cosa molto dolce da dire, ma difficilmente credibile; inoltre non chiariva nulla sui gusti della mamma in fatto di vestiti. Negli album di fotografie appariva pochissimo, al contrario di nonna Gianna che amava mettersi in posa: compleanno dopo compleanno, attorno alla sua bocca sorridente erano comparse tante piccole rughe ed era questo l’unico indizio del tempo che passava.

Per il resto, la nonna rimaneva sempre la stessa. Se le dicevano che non occorreva passare il pomodoro a mano tutte le estati, che quello del supermercato era buono lo stesso, lei rispondeva che dovevano essersi bruciati la lingua per sostenere una cretinata del genere. Una volta il papà di Angela aveva suggerito di ordinare alla gastronomia, così che la nonna potesse riposarsi: la replica era stata che, se non poteva cucinare, tanto valeva cercarle un letto agli Anni Azzurri. Sì, insomma, all’ospizio.

La torta

La nonna compiva ottant’anni il sedici ottobre. Aveva invitato i vicini di casa, i compagni di burraco, le amiche della biblioteca, gli ex colleghi del nonno. Alla fine della cena era prevista una torta chantilly decorata da lei, personalmente, con un grosso Ottanta di cioccolato.

Qualche giorno prima Angela era andata con suo padre in una gioielleria del centro a comprare il regalo per la nonna, una collana di perle, e aveva suggerito di dargliela prima della torta: quell’anno, infatti, non sarebbe rimasta per il dolce. Aveva aspettato l’ultimo momento per dare la notizia alla nonna ma, mentre bisbigliava fuori dalla cucina con suo padre, quella tirava le tagliatelle e tendeva le orecchie. Quel confabulare doveva averla innervosita parecchio perché Angela immaginava si sarebbe arrabbiata, ma non così tanto.

«Alla tua età, passare la notte fuori per dormire a casa di un ragazzo, ma dove si è mai sentito?». Si rivolgeva a suo padre, con gli occhi spalancati. «E tu che ce la lasci andare! Ma che genitore sei?».

Angela aveva parlato tanto con suo padre di Giulio. Gli aveva descritto i suoi occhi verdi, il modo in cui muoveva le mani sulla chitarra, la voce bassa e la barba che si tingeva di rosso alla fine del mento. Giulio non era uno stronzo, non tanto almeno: forse aveva paura di ammettere i suoi sentimenti; forse Angela era troppo insistente e sbagliava a metterlo con le spalle al muro. Suo padre le aveva detto di avere pazienza con questo ragazzo, ma anche di non prendersi una delusione: «Se non ti vuole, non ti merita». Angela aveva sentito solo la prima parte, quella sull’avere pazienza. Da giorni Giulio non rispondeva alle telefonate e ai messaggi, ma Angela aveva scoperto il suo indirizzo di casa: dopo la cena della nonna, era intenzionata a suonare il citofono per chiedergli conto di quella ennesima scomparsa. Qualsiasi fossero le ragioni di Angela, nonna Gianna non intendeva sentirle: «Non esiste che ci si infila così tra le lenzuola dei maschi».

Alla festa la nonna le aveva tenuto il broncio tutto il tempo. Appena estratta dal cofanetto la collana ricevuta in dono, le sue prime parole erano state: «Perle. Non si regalano le perle, portano lacrime». Così Angela aveva anche lei deciso di fare l’offesa: sua nonna doveva imparare a essere meno testarda e capricciosa.

«Ci sarà un’altra festa l’anno prossimo, un’altra torta. Facciamo la stessa cena tutti i sedici di ottobre. Per una volta che ho io un impegno, non mi pare così grave»: Angela aveva cercato l’appoggio di suo padre, che le aveva suggerito di andare a salutare la nonna prima di andarsene. Secondo lui, avrebbe presto smaltito la delusione. Invece Nonna Gianna aveva sottratto la guancia al bacio: «Non penso proprio che troverai avanzi di torta quest’anno: tutti vorranno il bis ed è venuta troppo bene per lasciarla». La mattina dopo il compleanno, Angela faceva sempre colazione con il dolce della sera prima; in genere le veniva riservato un pezzo di scritta al cioccolato o le fragole più grosse: quell’anno, invece, con l’acquolina in bocca e lo stomaco stretto, era uscita di casa ripetendosi che la torta non le interessava. Sua nonna le stava rovinando la serata.

La serata

Nella camera di Giulio, oltre al letto, c’era solo un comodino con la luce da notte. Niente armadio, niente scrivania. Appesa sulla parete di fronte, la chitarra che piaceva tanto ad Angela: appoggiata ai guanciali, poteva vedere risplendere il legno laccato della cassa. Angela non si sentiva in colpa per avere lasciato la festa della nonna: le avrebbe fatto una ramanzina bella grossa, un’altra, ma alla fine l’avrebbe perdonata. C’era tutto il tempo del mondo, l’anno seguente e quello dopo, per festeggiare i prossimi compleanni con una torta più grande e orecchini abbinati alla collana. Che sciocchezza, questa delle perle: e poi da quando la nonna era superstiziosa?

«Perché non ci sono mobili?».

«Come perché, per avere spazio. Non mi piace sentirmi soffocato», aveva risposto Giulio.

Il torace era tagliato a strisce dalla luce che filtrava dalla tapparella.

«Ti pare squallida la stanza?», le aveva chiesto.

«No, che dici. Non è squallida per niente».

Si era voltato dall’altra parte, mentre le lenzuola gli coprivano la parte bassa del corpo: «Che dici, dormiamo?».

Angela non aveva chiuso occhio, il russare di Giulio somigliava al sibilo di una lampadina fulminata. Al mattino si erano svegliati insieme. Lui si era anche impegnato a preparare il caffè.

Niente dolci

Era tornata a casa raggiante e, per prima cosa, aveva citofonato a nonna Gianna. All’inizio nemmeno voleva aprirle, ma poi si era convinta e l’aveva costretta due ore accanto a lei sul divano a sentire per l’ennesima volta la storia dell’infelice figlia della Sandra, amica del burraco, che non si era tenuta per sé quella cosa preziosa e alla fine il ragazzo l’aveva messa incinta e se l’era svignata.

«Queste cose te le dico per il tuo bene. Se avessi una mamma, te le insegnerebbe lei, e invece è andata come è andata e ti tocca ascoltare me. Mi prometti che non fai più una cosa così, passare la notte fuori con un ragazzo che conosci appena?».

Forse era stata quella promessa a portare sfortuna. O forse le perle. Dopo un mese di rinnovato silenzio, al tavolino di un bar, Giulio avrebbe spiegato ad Angela perché non le avrebbe aperto più la porta se si fosse ripresentata. «Se restassimo amici, per te significherebbe una cosa diversa che per me e ci soffriresti troppo». Angela avrebbe pianto a lungo sulla spalla di suo padre e, in un paio di occasioni, sul divano della nonna: quella la guardava con gli occhi più severi del mondo, ma si era sempre trattenuta dal dire: «Te l’avevo detto». In compenso, si era legata al dito lo sgarbo della festa di compleanno. Più di quanto Angela pensasse. Non solo la torta del compleanno era finita la sera stessa, ma la nonna non aveva preparato dolci per un anno: «Te ne sei voluta andare dalla festa? Ora aspetti un anno per mangiare di nuovo una torta come quella».

Nonna Gianna, però, non aveva mai compiuto ottantuno anni: il suo cuore si è fermato un giorno di settembre, a circa un mese dai festeggiamenti. Angela aveva ricevuto il compito di conservare le sue perle ma, per quanto lei e suo padre le avessero cercate dappertutto, non si erano più trovate. In compenso, sul fondo dell’armadio, erano impilate decine di album fotografici.

In alcuni, c’era anche la mamma.

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