Amedeo Balbi è professore associato di astronomia e astrofisica all’Università di Roma Tor Vergata, i suoi studi spaziano dalla cosmologia all’astrobiologia. Autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche, con le sue ricerche ha contribuito, tra l’altro, alla determinazione della geometria dell’universo. Ha scritto libri divulgativi di grande successo che trattano temi come l’origine e l’evoluzione dell’universo e la ricerca della vita al di fuori del nostro pianeta. Cura anche un canale YouTube che conta 250mila iscritti.

Da bambino guardavi le stelle cadenti? Questo ha influito sul tuo desiderio di diventare un astrofisico?
L’osservazione del cielo è una di quelle esperienze che hanno il potere di reindirizzarti, è sicuramente vero che quasi tutti gli astrofisici da bambini erano affascinati dal cielo stellato anche se naturalmente non è vero che tutti quelli che osservavano il cielo stellato sono diventati poi degli astrofisici. Quando ero ragazzino avevo un rapporto un po’ complicato con le stelle cadenti, sono cresciuto in città, a Roma, e i cieli di Roma non sono necessariamente i migliori cieli per vederle. Per questo da piccolo ero sempre molto alla loro ricerca, volevo tanto vederle ma non ci riuscivo. Ci sono riuscito finalmente in estate in Cilento, la zona di origine di mio padre.

Cosa sono le stelle cadenti? Quanto possono essere grandi?
Le stelle cadenti sono chiamate così impropriamente, in realtà sono dei frammenti di materiale che entrando nell’atmosfera si incendiano o diventano incandescenti. Sono frammenti molto piccoli, possono essere delle dimensioni di sassolini, o addirittura granelli di polvere. Nel caso dei cosiddetti “bolidi” – oggetti che lasciano proprio una scia – possono essere di pochi centimetri. Si tratta di oggetti che si trovano nello spazio anche se non a densità altissime. Oggi possiamo avere anche il caso di detriti o rifiuti dell’attività umana, compresi i rifiuti organici della stazione internazionale, che visti da terra sembrano delle stelle cadenti.

Perché le vediamo più di frequente in questo periodo dell’anno?
Quasi tutti i gli sciami di meteoriti o di meteore sono dovuti dall’attraversamento di zone dove i detriti sono numerosi perché appartenevano a qualcosa che si è frammentato in passato. È quindi un processo abbastanza prevedibile.

Come si classificano questi oggetti?
Tutti gli oggetti più piccoli vengono classificati come meteoroidi. Gli oggetti cometari sono oggetti più grandi composti di ghiaccio o di altri materiali volatili, mentre quelli che vengono chiamati asteroidi sono principalmente ferrosi o rocciosi.

Quali sono i casi più recenti di impatti rilevanti?
Nel 2013 a Chelyabinsk in Siberia c’è stato un oggetto di una ventina di metri che si è quasi del tutto distrutto prima di toccare il terreno. Esistono molti filmati della scia perché in Russia molte auto hanno a bordo delle telecamere richieste dalle compagnie assicurative. I feriti e i danni sono derivati tutti dall’onda d’urto, che arriva dopo rispetto all’immagine dell’asteroide, rompendo le finestre a cui le persone si erano affacciate per vedere. La maggior parte degli impatti di questo tipo però avvengono negli oceani o in zone disabitate, perché sono la maggior parte della superficie del pianeta.

E nel passato?
Abbiamo forti ragioni per credere che ci sia stata almeno una compartecipazione dell’impatto di un grosso asteroide, un oggetto di una decina di chilometri di grandezza, nell’estinzione dei dinosauri 65 milioni di anni fa. Ci sono evidenze di questo asteroide nella stratigrafia del terreno, le prime sono state trovate nella gola del Bottaccione vicino Gubbio.

Cosa facciamo per evitare il rischio di futuri grossi impatti?
Stiamo soprattutto guardando per cercare di vedere i grossi corpi in anticipo e già questo non è facile perché sotto una certa dimensione sono impossibili da vedere. Attorno ai cento metri di grandezza un asteroide è molto difficile da individuare ma può già creare danni molto seri, è successo ad esempio nel 1908 a Tunguska sempre in Siberia, dove un oggetto di questo tipo ha distrutto 2mila km quadrati di territorio disabitato. Sopra il chilometro di grandezza parliamo di rischi sistemici per l’intera civiltà umana ma in questo caso si tratta di asteroidi che riusciamo a vedere anche con diversi anni di anticipo.

Detto questo, una volta individuata una minaccia di questo genere ci troveremmo comunque in una situazione disperata. La cosa migliore avendo a disposizione del tempo sarebbe provare a dargli “un colpetto” per spostarlo dalla sua traiettoria. Non è facile però spostare una piccola montagna che va a decine di chilometri al secondo. Oltre ad essere molto difficile tecnicamente sarebbe anche un problema politico perché per riuscirci servirebbe uno sforzo globale e coordinato di tutte le economie del pianeta e sappiamo che non sarebbe facile mettere tutti d’accordo.

Di che genere di rischio stiamo parlando dal punto di vista statistico?
È un rischio che va relativizzato, gli impatti così grandi sono eventi estremamente rari, parliamo di un caso ogni centinaia di milioni di anni, oltretutto è una probabilità che con il tempo va diminuendo perché il materiale disperso nel sistema solare diminuisce. Nel primo miliardo di anni di storia del sistema solare c’è stata la maggiore attività, i pianeti si sono formati così, attraverso lo scontro violento di materiale che vagava nello spazio. Oggi la probabilità è molto più bassa ma comunque non è zero.

Ci sono altri rischi sistemici per la vita umana sulla terra che derivano dal problema che abbiamo con la percezione del rischio?
Sicuramente la questione climatica, ovvero la quantità di CO2 che viene emessa nell’atmosfera. Non è un problema che ha una soluzione locale ma a livello internazionale si crea una situazione da teoria dei giochi, dove più soggetti diversi cercano di approfittare della situazione cedendo più tardi degli altri o comunque provando a non risultare la parte sconfitta. Questo rende molto difficile trovare una soluzione condivisa al problema

Se non combiniamo disastri con il clima per quanto tempo dovrebbero conservarsi condizioni idonee alla vita umana sulla terra?
Circa un miliardo di anni, dopo i quali il sistema solare dovrebbe durare altri quattro miliardi di anni ma senza più la nostra presenza.

Si fa un gran parlare di colonizzazione marziana, è una possibilità concreta?
C’è una grande mistica attorno a Marte, dovuta forse alle immagini che giungono da lì, ma si tratta di immagini ingannevoli perché quei paesaggi sono molto più inospitali dei luoghi più inospitali della terra. La temperatura media è -80 gradi con punte di -150, temperature che per altro cambierebbero sensibilmente dalla testa ai piedi degli esseri umani. E non è certo questo l’unico problema, ce ne sono un’infinità, a partire dalle radiazioni cosmiche perché Marte ha pochissima atmosfera. Oltretutto oltre ad essere un luogo infernale è anche molto difficile da raggiungere.

Esiste o esisterà in futuro la possibilità di portare la specie umana su altri esopianeti?
Sappiamo molto poco sugli esopianeti, solo parametri molto grossolani. La cosa più importante da capire però è che gli esseri umani sono il risultato di un percorso evolutivo svoltosi sul pianeta terra, quindi le chance di trovare altri pianeti adatti, così come sono, alla vita umana sono sostanzialmente zero perché noi esistiamo in questo modo e non in un altro proprio perché il nostro percorso si è svolto qua.

Potrebbero esserci altre forme di vita nell’universo, evolutesi in maniera compatibile con le caratteristiche di altri pianeti, ma questo non significa che quei pianeti sarebbero buoni anche per noi. Basta pensare solo al range di temperatura in cui si svolge la vita umana, se la temperatura aumentasse in maniera significativa sulla terra non finirebbe la vita in generale, finirebbe quella umana.

Quindi meglio tenerci caro il pianeta che abbiamo già?
Esatto.

La versione integrale dell’intervista è ascoltabile gratuitamente in “PDR – Il Podcast di Daniele Rielli” su YouTube, Spotify, Apple e Amazon podcast e tutti i principali canali podcast.

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