Nostra figlia comincia a frignare.
- Che c’è?
- La tua amica ha spinto la mia.
- La mia amica?
- Sì.
- E da quando avrei un’amica immaginaria anch’io?
- Certo che ce l’hai, non la vedi?
Mia moglie si pulisce le mani sul grembiule e mi rivolge un’occhiata interrogativa. Alzo le spalle. Stavamo preparando dei biscotti. Il libro parlava chiaro: “Una ricetta semplice, ideale per la festa di Halloween”. Nostra figlia si alza dalla sedia e raggiunge il centro della cucina. Sembra voler fare da paciere tra le due amiche, ma poi ruzzola per terra.
- E’ proprio una prepotente.
- Cosa è successo?
- Quella stupida mi ha fatto lo sgambetto.
Nostra figlia si rialza, ma sembra ricevere subito un altro colpo invisibile. Si sforza di rimanere in piedi, questo è del tutto evidente. Mia moglie allora si rivolge a me: - Perché non chiedi alla tua amica se vuole aiutarci a preparare i biscotti?
- Ma io non ho nessuna amica.
- Oh, per favore, non mettertici anche tu.
Cerco di mantenere la calma. Fisso un punto dove verosimilmente potrebbe trovarsi la mia amica e le chiedo se avrebbe voglia di darci una mano (le uova erano pronte per essere rotte, il burro si stava squagliando in un pentolino, anche la teglia era già cosparsa di zucchero a velo). Nostra figlia a poco a poco si calma.
- Le va? - mi chiede.
- Ha detto di sì.
- E farà la brava?
- Farà la brava.
- Si comporterà bene anche con la mia amica?
- Certo, me l’ha promesso.
Stava andando tutto bene, prima di quell’incidente: l’ultimo giorno di ottobre dava al cielo la consistenza del cristallo, e invogliava già a un raccoglimento invernale. Ora invece mia moglie mi dice qualcosa all’orecchio, tipo se è normale che nostra figlia si comporti in questo modo.
- Penso che sia solo noia, una bizza passeggera. Che altro può mai essere?
Mia moglie non ne è troppo persuasa. Ma io continuo a preparare i biscotti come se niente fosse.
Biscotti di Halloween
Duecento grammi di farina, cento grammi di burro, cento grammi di zucchero - gli ingredienti erano stati pesati con scrupolo sulla piccola bilancia che tenevamo sopra la cappa della cucina - due uova, due cucchiaini di amido e una bustina di vaniglia.
Fare l’impasto è il momento più delicato e divertente. Le uova e il burro fuso scappano da tutte le parti. Nostra figlia controlla che il muro di farina rimanga compatto. Muove velocemente le sue manine per evitare che si creino falle pericolose. Per qualche secondo fila tutto liscio. Poi vedo parte dell’impasto colare lungo il tavolo.
Piccole gocce di sudore freddo m’imperlano la fronte mentre interpello nostra figlia: - E adesso che c’è?
- Hanno ricominciato a litigare, ecco che c’è.
- Non mi pare, non mi pare proprio.
- La tua amica è proprio una prepotente e poi nessuno l’aveva invitata.
- Io continuo a vedere solo la tua.
Riprendo l’impasto. Lo lavoro con abnegazione, lo uso come uno scacciapensieri. Mi fermo soltanto quando penso che abbia raggiunto la densità ottimale. Mia moglie intanto è andata a consultare il dizionario medico che le aveva suggerito di comprare la pediatra. Vuol vedere se c’è una voce specifica che parla degli amici immaginari.
Non appena restiamo soli, prendo nostra figlia per una spalla: - Ehi, così non vale.
- Perché?
- Io non ho amiche immaginarie e tu lo sai.
- Ah no?
- No.
- E quell’amica a cui offri il caffè quando mi vieni a prendere a scuola?
- Quella è un’amica vera, ma se mamma viene a saperlo sono guai.
- Si arrabbia?
- Non ci lascerà più preparare i biscotti per Halloween, e dopo niente film horror, e niente popcorn.
Nostra figlia si mette a ridere. E’ del tutto evidente che lo faccia apposta.
Formine horror
Mia moglie torna sconsolata in cucina. Il dizionario medico non prevede nessuna voce circa il problema degli amici immaginari. Affrontiamo perfino una piccola discussione in merito, mentre nostra figlia s’imbambola davanti alla finestra a fissare le cucine degli altri.
- Non sarà dovuto a una carenza d’affetto?
- Ma se è la reginetta della casa.
- Sul dizionario c’è scritto che a volte compensano con l’immaginazione.
- Ma sul dizionario non si parla di amici immaginari. Il che vuol dire che popolare la casa di persone fittizie è una cosa assolutamente normale alla sua età.
- Sì, però è strano che abbia voluto dare un’amica immaginaria anche a te.
- Rassegnati, la bambina sta benissimo.
Proprio in quel momento nostra figlia si avvicina di nuovo al tavolo. La mia ramanzina ha sortito l’effetto sperato. Si mette a canticchiare e gioca con le formine per i biscotti. Ce ne sono di tre tipi: a Zucca, a Pipistrello, a Vampiro. Le formine sono sempre piaciute anche a me. E’ rassicurante sapere che con una breve pressione della mano si possono ottenere tante figure uguali, replicabili all’infinito. Non c’è modo di sbagliare, nella loro perfetta modularità quegli stampi sono infallibili.
Mia moglie però non sembra ancora del tutto tranquilla e ogni tanto vuole informarsi sulle amiche immaginarie: - Che stanno facendo, tesoro?
- La mia amica adesso è seduta qui con noi, non vedi?
- E l’amica di papà?
- Oh, lei adesso è bravissima. Sta controllando l’impasto dei biscotti.
- Quindi vanno d’amore e d’accordo?
- Sì sì. Non vedono l’ora di assaggiare i biscotti, perciò metteremo un piatto anche per loro.
- Se vuoi puoi apparecchiare.
Nostra figlia annuisce diligente. Salta giù dalla sedia e va a prendere i piatti nella credenza. Per arrivarci deve mettersi in punta di piedi, e in quella posizione è così tenera che le perdonerei qualunque colpo basso. Sistema da una parte del tavolo cinque piatti: tre per noi e due per le amiche immaginarie.
Aggiungi un posto a tavola
Suddivido l’impasto in tre parti uguali e ci diamo da fare con le formine. Nostra figlia sceglie la Zucca, mia moglie il Pipistrello. A me tocca il Vampiro.
Mi raccomando che lo spessore del biscotto non sia troppo sottile: è un aspetto fondamentale per ottenere la giusta lievitazione. Mezzo centimetro, all’incirca. Recupero una squadra dalla cartella di nostra figlia. Continuo a parlare, mi viene fuori una specie di monologo.
- Concentratevi sulle formine. Se le affondate bene nell’impasto non c’è niente che possa andare storto. Che invenzione magnifica, non vi pare?
Mi ha sempre sedotto questo piccolo artigianato per famiglie. Poter mangiare qualcosa fabbricato con le proprie mani. Poggio i biscotti sulla teglia, uno alla volta. Preparo il forno a centottanta gradi, programmo il timer.
- Tra dieci minuti sono pronti, - annuncio orgoglioso.
Suona il campanello della porta. Avevo chiesto alla vicina il cioccolato fondente: ce ne sarebbero bastati cento grammi per la guarnizione finale.
- Sapevo che ce l’avevo in dispensa, da qualche parte, - mi dice.
- Benissimo.
Prendo la barretta di cioccolato, ma a quel punto la vicina si è già avviata in cucina. E’ una vecchia signora, il marito è malato e i figli lavorano lontano, non rientrano neanche per questo ponte lungo: non mi stupisce che desideri un po’ di compagnia.
- Come mai tutti quei piatti? - domanda un po’ stupita. - Aspettate visite?
Nostra figlia allora tenta di spiegare la situazione: - Io e il mio papà abbiamo un’amica immaginaria a testa.
- Anche il tuo papà ne ha una?
- Certo, prima avevano litigato ma poi hanno fatto pace. E adesso aspettano anche loro di mangiare i biscotti.
- Però, quanta gente in casa vostra…
Visto che la conversazione non decolla, l’entusiasmo della vicina si smorza quasi subito.
Alla porta mi saluta con una vaga preoccupazione negli occhi: - Se citofonano per i dolci non aprite. L’anno scorso quei ragazzini se ne sono andati in giro per il palazzo a rovesciare i vasi delle piante.
Succede subito dopo. Il timer del forno squilla. Dovremmo tirare fuori i biscotti, adesso. Il libro parlava chiaro: «Una ricetta semplice, ideale per la festa di Halloween». Ma nostra figlia a quel punto s’irrigidisce un istante, e poi aggiunge un piatto.
- E adesso che succede? Perché quel piatto in più? - domando.
Guarda fisso di fronte a sé, poi si allarga in un sorrisetto: - Ma come papà, non vedi che arrivato anche l’amico immaginario di mamma?
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