- Ridotte al minimo le digressioni, qui prevalgono i personaggi e la trama, un giallo fantapolitico.
- Se Annientare appare meno teorico dei libri precedenti, è soltanto perché la teoria è stata sapientemente occultata.
- Per Houellebecq non è economica la crisi che stiamo vivendo, ma morale e culturale: dal nichilismo sorgeranno i nuovi terrorismi.
Nel dibattito pubblico francese la parola di Michel Houellebecq viene oramai attesa come un oracolo. In trent’anni di carriera i suoi libri hanno anticipato grandi temi politici e influenzato tendenze culturali, caratterizzando la nostra epoca più di chiunque altro. Fin dal successo delle Particelle elementari, nel 1998, l’intellighenzia progressista si contorce tra l’ammirazione per la sua arguzia e l’orrore per le sue posizioni reazionarie — posizioni che sono diventate sempre più maggioritarie.
In effetti la critica houellebecchiana della società liberale-libertaria appare oggi, se non egemonica, comunque ampiamente diffusa. Nel frattempo, il male di vivere della classe media è diventato un’urgente questione politica in tutto il mondo occidentale. Il candidato più controverso alle prossime elezioni presidenziali francesi, Éric Zemmour, sembra uscito dai libri di Houellebecq: esordito con un pamphlet sulla crisi del maschio, si è reso celebre descrivendo prima il “suicidio” e poi la “malinconia” della nazione francese.
Un talentuoso esordiente
A quattro mesi dalle elezioni, il lettore potrebbe addirittura attendersi dallo scrittore un’indicazione di voto. Michel Houellebecq finirà per abbracciare esplicitamente l’estrema destra, si rassegnerà alla conservazione dello status quo, o tenterà finalmente d’immaginare una diversa via di fuga dall’infelicità?
Il titolo del suo nuovo libro, pubblicato in Italia per La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi, potrebbe essere un indizio: Annientare. Ma inutilmente il lettore cercherà tra le sue pagine un trattato di filosofia politica, figuriamoci una chiara indicazione di voto. Mettiamola così: all’età di 65 anni, Michel Houellebecq ha scritto il suo primo vero romanzo.
Ridotte al minimo le digressioni teoriche sulla condizione del maschio e la decadenza dei costumi, qui per la prima volta prevalgono la trama e i personaggi. La trama: un’iniziazione alla morte su sfondo di campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 2027, punteggiate da una misteriosa serie di attentati. Quasi un giallo fantapolitico.
I personaggi: i membri di una famiglia che fanno i conti con la malattia del padre mentre si districano tra i loro problemi di coppia e le loro stesse malattie, mentali e fisiche. La presenza del narratore si è fatta più discreta, come se a parlare dovesse ormai essere soprattutto la realtà — cioè la finzione. Ambientando l’azione pochi anni nel futuro, come già in alcune sue opere precedenti, Houellebecq tenta di cogliere i processi sociali a un più avanzato stadio di maturazione.
Addio alle digressioni
Primo romanzo? Può sembrare assurdo affermare una cosa simile per un autore che ha pubblicato già otto libri che si presentano come tali, vincendo peraltro i premi più prestigiosi. E allora diremo che la nostra è una provocazione: l’autore stesso se l’è sempre cavata così quando le sue posizioni sono parse troppo estreme.
Più erano estreme, più gli interpreti erano costretti a riconoscere loro una natura letteraria o perlomeno ironica. Houellebecq ha saputo costruirsi uno spazio di libertà assoluta presentando la sua visione del mondo entro una cornice, la forma-romanzo. La ricetta era infallibile: trame relativamente scarne disseminate da digressioni, con ampio uso del discorso indiretto libero per dare voce all’inconscio sessista e razzista del maschio medio.
Nelle 743 pagine di Annientare troviamo però un Houellebecq differente, più interessato a sviluppare un universo narrativo coerente che a pontificare sui massimi sistemi. Là dove un libro come Sottomissione sbrigava la trama come una pratica al servizio della sua tesi, qui l’autore prende tutto il tempo necessario per costruire poco a poco il suo mondo. Se le digressioni non sono certo scomparse, esse sono perlomeno diluite nello scorrere fluviale dell’intreccio.
D’altronde Houellebecq lo dice esplicitamente nel libro: i romanzi sono la compagnia ideale per i moribondi, più del cinema e persino della poesia. E quindi cosa c’è di meglio per una civiltà moribonda? In questo caso, un romanzo programmaticamente realista: “gli scrittori francesi non dovrebbero esitare a documentarsi di più”, consiglia nei ringraziamenti.
La lezione di Balzac
Lo scrittore francese ama citare Honoré de Balzac ma è la prima volta che si avvicina davvero al modello della sua Commedia umana: contemporaneamente un progetto di rappresentazione naturalistica della vita quotidiana e una decifrazione del rovescio della storia contemporanea.
Innanzitutto, quindi, una fisiologia della famiglia e del matrimonio nell’èra dell’atomizzazione degli individui. Incomunicabilità tra padri e figli, che si riavvicinano soltanto al momento del decadimento fisico. Diffidenza tra fratelli e sorelle, lacerati dalla rivalità per l’accesso al patrimonio familiare. Distanza tra i coniugi che, oltrepassati i brevi anni dell’intesa sessuale, coesistono in un misto di imbarazzo, risentimento e desiderio a bassa intensità, salvo talvolta ricominciare da capo ad amarsi. E poi la politica, ancora più distante, ridotta all’amministrazione delle cose, incapace di colmare quella domanda di senso che divora le donne e gli uomini.
Bisogno di salvezza
Chi li salverà? Dopo aver già passato in rassegna, nei libri precedenti, varie forme di rivolta contro il mondo moderno, Houellebecq aggiunge qualche nuovo volto alla sua galleria: dagli asessuali ai neopagani, passando dagli ecofascisti e dagli anarco-primitivisti. Proprio questi ultimi, che hanno nella figura di Ted Kaczynski detto Unabomber il più celebre teorico, attirano particolarmente l’attenzione dello scrittore francese. Ma il suo è tutto fuorché un endorsement.
La filosofia di Houellebecq non è, come appare a prima vista, un banale antimodernismo. E di sicuro il suo odio per la società liberale non giustifica nessuna nostalgia per lo stato di natura. Se Annientare appare meno teorico dei libri precedenti, è soltanto perché la teoria è stata sapientemente occultata. Per capirne l’architettura segreta può essere utile tornare alla sorgente della visione del mondo houellebecchiana, sintesi tra le filosofie di Arthur Schopenhauer e di Auguste Comte, con qualche spruzzata di Tocqueville, di Pascal, di Dostoevskij.
La filosofia dietro il romanzo
Houellebecq vede nella modernità la riapparizione di un orrore primordiale, simile a quello dei racconti di H. P. Lovecraft, cioè l’indistinzione: la consapevolezza che, spogliati dalle forme della morale, siamo tutti identici e mossi dai medesimi moventi antisociali.
Fin dai primi libri dello scrittore francese, Schopenhauer spunta a ogni angolo di pagina per ricordarci che dietro il velo delle convenzioni siamo solo vita che vuole vivere, “prodotti industriali della natura” per citare Il mondo come volontà e rappresentazione.
Al fine di neutralizzare questa consapevolezza e il conflitto infinito che ne consegue, all’alba della civiltà si erano rese necessarie delle strutture artificiali di differenziazione, come la morale e la religione, senza le quali la competizione per distinguerci attraverso la forza, il denaro o lo status diventa insostenibile. Sono queste “meravigliose menzogne” che, alla fine di Annientare, i protagonisti rimpiangono di non avere mai avuto.
L’orrore dell’indistinzione
Perché a partire da un certo momento, che classicamente coincide con la rivoluzione francese e poi si ripete col Sessantotto, il processo di civilizzazione si è rovesciato secondo Houellebecq in un processo di decivilizzazione: in questo senso il movimento storico verso l’uguaglianza non è in fondo altro che un ritorno allo stato di natura. In natura siamo effettivamente tutti uguali: ma è davvero così che vogliamo vivere? Secondo Houellebecq ci siamo progressivamente sbarazzati dalle finzioni e dalle illusioni che permettevano alla società di funzionare celando a sé stessa l’orrore dell’indistinzione.
Non è né la giungla primitiva degli anarco-primitivisti né il mondo regolato dell’antico regime che il positivista Houellebecq rimpiange: è semmai quella parentesi provvisoria in cui la scienza ha donato all’umanità la dolcezza dei suoi frutti senza il loro veleno — un pugno di anni prima della rivoluzione sessuale.
Non a caso questo periodo storico incarna l’età dell’oro anche per i politici populisti: gli anni del Dopoguerra, del boom economico, di De Gaulle in Francia. Ma l’atroce verità per Houellebecq è che non esiste nessun luogo a cui tornare, ma solo parentesi, piattaforme, isole. “La settimana passò in fretta, come la felicità”.
I nuovi demoni
Qui sta il primo senso del verbo “annientare”. Come in Schopenhauer, Houellebecq fantastica sovente di uno specifico annientamento, quello delle passioni: la nolontà, il non volere, qui persino lo stato vegetativo di un anziano morente. Unica via di fuga dall’insopportabile oscillazione tra noia e sofferenza alla quale la specie condanna gli individui.
Ma contrariamente al filosofo tedesco, ispirato alla filosofia induista da poco scoperta dai romantici, lo scrittore francese non riesce ad accedere all’ascesi se non in quella forma imperfetta e insoddisfacente che è la creazione artistica.
Nell’opera houellebecchiana, fin dai primi libri, torna insistentemente la tentazione del suicidio. E in maniera altrettanto ricorrente, di nuovo come in Schopenhauer, questa opzione viene combattuta con forza in quanto non realmente risolutiva. Lo stesso vale per l’eutanasia, che Houellebecq ha criticato pubblicamente e che appare come tema centrale in Annientare. Con il suicidio e l’eutanasia potremmo debellare la sofferenza, certo, a costo di sterminare l’umanità. Ma così sono capaci tutti. L’ecofascismo sembra rappresentare per Houellebecq un progetto suicida su più larga scala.
In effetti c’è un altro modo di “annientare”, e consiste nel rivolgere il proprio malessere contro il mondo, attaccandolo e cercando di distruggerlo, come i demoni nichilisti di Dostoevskij. Ed è la via dei terroristi, quella mostrata in questo ultimo romanzo. Per quanto il plot fantapolitico tenda progressivamente a dissolversi sullo sfondo, fino a scomparire a fronte della prepotenza dei drammi privati dei personaggi, esso permette di mostrare l’estrema conseguenza del disagio della modernità.
Scegliendo di evocare Unabomber, Houellebecq riattiva un meme che circola da qualche anno in rete: la wave anarco-primitivista che si esprime con slogan come “Return to monke” e “Reject Modernity, Embrace Tradition”.
La sacerdotessa di Hitler
Sarebbe questa ideologia, secondo lo scrittore francese, la migliore candidata a catalizzare il risentimento della classe media occidentale, in quanto fa convergere elementi di destra e di sinistra.
E poi c’è Savitri Devi, sacerdotessa del culto induista di Adolf Hitler. Promettente studiosa di filosofia nei primi anni del Novecento, la giovane greco-francese si era convertita al nazismo come progetto di restaurazione neopagana e, trasferitasi in India, aveva tentato una folle sintesi con il sistema della caste, oltre a svolgere occasionalmente il ruolo di spia e di propagandista per le forze dell’Asse.
Secondo lei Hitler era Kalki, l’ultimo avatar di Visnù, l’annientatore dell’attuale ciclo storico: idea sufficientemente bizzarra da ispirare, se non un meme, perlomeno un celebre pezzo del gruppo folk apocalittico Current 93. Ma l’eredità di Savitri Devi è molto più ampia e complessa: oltre che nome di culto del neonazismo degli anni Settanta, essa fu una delle prime ecologiste radicali, militante per i diritti degli animali, nonché, in gioventù, precettrice del filosofo marxista Cornelius Castoriadis — uno dei teorici, negli anni 1960, delle contraddizioni culturali del capitalismo.
Nome sconosciuto ai più, Savitri Devi sarebbe dunque la chiave per capire dove sta andando il mondo? Secondo Houellebecq, la sintesi hitleriana di ambientalismo, antimodernismo e neopaganesimo potrebbe effettivamente riaffiorare nei prossimi anni, malattia senile dell’occidente.
Imparare a morire
Non è una crisi economica quella che stiamo vivendo, ma una crisi morale e culturale. Per questo il narratore insiste così tanto per descrivere una classe politica di tecnici tutto sommato capaci — tra i quali un macroniano, ispirato al ministro Bruno Le Maire — che addirittura riescono a risollevare il sistema produttivo francese.
Questi successi sono inutili, perché a mancare sono le motivazioni esistenziali profonde degli esseri umani: per citare proprio Castoriadis, il capitalismo fatica a riprodurre il tipo umano di cui ha bisogno per la sua stessa sussistenza. Houellebecq è il grande testimone di questo mondo demotivato.
L’oracolo ha parlato. Ma cosa ha detto? Annientare è soprattutto, in maniera inequivocabile, un romanzo sulla morte — il grande rimosso della nostra civiltà. Se è diventato così difficile vivere nel mondo moderno, morire lo è se possibile ancora di più: la medicina permette di prolungare l’esistenza togliendole pezzo per pezzo ogni ragione e ogni piacere. Nelle pagine del romanzo Houellebecq compone un dettagliato catalogo delle morti possibili che ci attendono: terrorismo, suicidio, eutanasia, rifiuto delle cure… L’essere umano contemporaneo appare contemporaneamente come colui che ha raggiunto il minimo desiderio di vivere e il massimo timore di morire.
Per Houellebecq una sola cosa conta: non essere soli nel momento in cui accadrà. Ed è anche la cosa più difficile in una società che, quando non sabota le relazioni affettive mettendo gli individui in concorrenza per l’amore o il denaro, isola e nasconde i corpi morenti lontano dalle loro famiglie. Qui sta forse l’apice della nostra decivilizzazione.
Un declino inevitabile
L’oracolo ha parlato, ma né per darci indicazioni di voto né per offrire una qualche soluzione. Dai tempi delle Particelle elementari, una sola certezza anima tutte le sue opere: l’idea che viviamo in un’epoca di declino, e che niente o nessuno potrà invertire questa tendenza storica. Tutt’al più rallentarla, o mitigarla. È per questo che non ci deve interessare più di tanto quale candidato Houellebecq appoggerà alle presidenziali, se un tecnocrate macroniano oppure un populista scatenato – entrambe le ipotesi sarebbero plausibili.
La sua diagnosi inappellabile fa di noi in ogni caso dei condannati, detenuti incolpevoli nel braccio della vita.
© Riproduzione riservata