- Eric Zemmour, ufficialmente candidato alla presidenza francese, è un estremista di destra che viene dal centro.
- La conversione della sinistra ai temi liberal è un segnale di una radicalizzazione del centro in direzione opposta.
- Proprio mentre dovremmo rimettere in discussione la sostenibilità del nostro modello di società, vi ci stiamo attaccando nel modo più veemente.
Per decenni il nome Le Pen, prima il padre e poi la figlia, ha indicato l’offerta politica più a destra disponibile per l’elettore francese. E poi è arrivato Eric Zemmour, ex-editorialista del Figaro “sceso in campo” proprio questa settimana, ora candidato alle presidenziali del 2022, che porta l’avversione all’Islam a un grado finora inedito, superando a destra quella che fino a oggi veniva chiamata estrema destra, e che da oggi dovremo forse chiamare… estrema destra moderata. Opposta, forse, a una destra moderata estrema.
In effetti la peculiarità di Zemmour è che non viene dal sottobosco delle croci celtiche e dei saluti romani, da un’oscura ideologia anti-moderna, bensì dalle colonne di un giornale di centrodestra, dai talk show per il ceto medio riflessivo, da valori tutto sommato moderni come il repubblicanesimo e l’assimilazione culturale. Non vuole tornare all’Ancien Régime o agli antichi misteri di Mitra, ma al 1959. Questa è la sua forza: contemporaneamente più estremo - ipotizza di rimpatriare centinaia di migliaia di musulmani - e più rassicurante, poiché non è associato a nessuna ideologia storicamente riconoscibile. Insomma Zemmour è l’esempio perfetto del fenomeno fondamentale della nostra epoca, che continuiamo a sottovalutare fintanto che ricorriamo al paragone col fascismo: questo fenomeno è semmai la radicalizzazione del centro. Già lo si era visto all’opera nel trumpismo.
Una nuova destra
Precorritrice fu Oriana Fallaci: una scrittrice progressista che, di fronte allo shock dell’11 settembre 2001, espresse il suo odio feroce contro l’Islam in alcuni lunghi articoli per il Corriere della Sera. Ma il suo non era un odio classicamente “di destra”: nell’Islam denunciava una forza antistorica che guastava la festa della modernità, mettendo in pericolo le conquiste della civiltà liberale. Come lei c’erano tanti intellettuali detti neo-conservatori proprio perché non erano, tecnicamente, dei conservatori, ma spesso dei reduci della sinistra. Oggi alcuni di questi reduci, in Francia, vedono in Zemmour un cavaliere dell’universalismo dei diritti umani contro il separatismo islamico, dell’illuminismo contro il nuovo Medioevo. C’è soprattutto tanto elettorato depoliticizzato nel suo seguito, individui spaesati dalla rapida trasformazione urbanistica e demografica del territorio francese, che vorrebbero semplicemente tornare agli anni del Boom. Ai margini, i giovani zemmouriani non esitano a impiegare un linguaggio aggressivo che sembra, come nel caso dello YouTuber Papacito, aprire ironicamente alla possibilità di un ritorno della violenza politica.
Molti dei terroristi bianchi dell’ultimo decennio, da Anders Breivik a Brenton Tarrant, facevano riferimento a questa stessa ideologia post-ideologica. Più che fantasticare sugli anni Trenta rimpiangevano la società del Dopoguerra, quando la marcia del progresso sembrava senza ostacoli. Questa è l’ideologia cava che accende gli animi dell’Occidente in declino: essa sorge come una muffa sopra il sostrato del liberalismo, non soltanto nel senso ristretto di liberalismo economico ma in quello più ampio di liberalismo politico. Qualcuno ha proposto di parlare di “suprematismo bianco” ma anche qui non ci siamo, rischiamo di fare confusione: uno dei cavalli di battaglia del sociologo Mathieu Bock-Côté, che ha sostituito Zemmour come opinionista sul canale CNews, è la denuncia della “razzializzazione” del dibattito, ovvero la tendenza da parte di una certa sinistra (minoritaria in Europa) a suddividere il mondo in bianchi e neri. Zemmour e Bock-Côté non vogliono liberare la Francia da neri e arabi: vogliono costringerli a chiamare i loro figli “Pierre” e “Corinne”, tipici nomi francesi, intimandoli a rinunciare alle loro tradizioni. Se di suprematismo vogliamo parlare, pare semmai di avere a che fare con un suprematismo repubblicano. D’altronde già Marine Le Pen, negli ultimi anni, aveva segnato una svolta rispetto al passato neo-fascista del suo partito proprio rivendicando l’eredità repubblicana.
Secondo Le Monde, "per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, un candidato alla presidenza ha fatto saltare in aria la diga che separava la destra repubblicana dall'estrema destra", aggregando elementi da queste due famiglie politiche spesso in opposizione. Il quotidiano ha individuato 56 personalità che lavorano alla campagna di Eric Zemmour, e di queste 21 vengono dalla galassia di Le Pen mentre altre 21 da quella del centrodestra dei Républicains. Come ha calcolato Francesco Maselli nella sua preziosa newsletter sulla politica francese, in Francia “oggi la componente populista e sovranista rappresenta il 35% dell’elettorato, e il suo peso all’interno dello schieramento di destra sfiora il 70% dei voti”. Questo non significa che il “vecchio” centrodestra, più moderato, non possa alla fine spuntarla proprio ponendosi come mediatore tra domande politiche molto divergenti. Alle primarie dei Républicains ha prevalso la più centrista trai candidati, Valérie Pécresse. Tuttavia anche lei dovrà affrontare i temi che Zemmour ha ormai imposto con forza nel dibattito pubblico.
Anche a sinistra
Che tutto si giochi al centro sembra confermato anche da sinistra. Nella classica distinzione americana della sinistra tra radical e liberal, che diventa centrale nel 1968, i primi difendevano una prospettiva rivoluzionaria ispirandosi al marxismo, al sindacalismo o all’anarchismo, mentre i secondi avevano più a cuore le questioni relative ai diritti. Oggi la distinzione appare più confusa, in quanto la prospettiva rivoluzionaria non è più all'ordine del giorno e nel campo progressista ha trionfato la prospettiva liberal, ma in qualche modo radicalizzata nelle cosiddette “culture wars”. Anche per la sinistra si tratta di difendere i valori della modernità, aggiornando e accelerando il programma illuminista di emancipazione. Da Twitter è possibile assistere al bizzarro spettacolo di un centrosinistra radicalizzato, capace di politicizzare questioni che un tempo sarebbero state relegate al gossip, come fu nel caso delle furiose polemiche seguite a un reality show con protagonisti i principi inglesi Harry e Meghan. Lo spettro dell’attenzione, nonché quello delle emozioni, è principalmente monopolizzato da dibattiti sulle buone maniere.
Le differenze tra il segmento destro e quello sinistro di questo grande centro sono enormi, e ugualmente enormi quelle tra chi porta avanti le proprie idee in maniera pacifica e chi ricorre alla violenza. Ma è un tratto distintivo della nostra epoca che sia pressoché scomparsa ogni offerta politica fuori dal perimetro del paradigma liberale, che anzi ha lui stesso riassorbito gli estremismi adattandoli ai suoi codici. Proprio nel suo periodo di sua massima crisi - ora che siamo confrontati alla possibilità che la marcia del progresso sia inesorabilmente destinata a interrompersi per raggiunti limiti ecologici - prevale un attaccamento sempre più veemente a questo paradigma: in fondo chi non vorrebbe tornare al 1959 o al 1968?
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