Da quando sessant’anni fa il cosmonauta sovietico rimase in volo per 108 minuti sopra la Terra lo spazio è ufficialmente di tutti, ma in mancanza di un diritto chiaro potrebbe diventare un nuovo terreno di scontro
- Si celebrano in questi giorni i sessant’anni del primo volo nello spazio che ha visto come protagonista il cosmonauta russo Yuri Gagarin, lanciato nello spazio extra terrestre dal vettore Vostok.
- La corsa alla conquista dello spazio segnava con il volo di Gagarin un punto di svolta a favore dei russi. Solo l’anno dopo, gli Stati Uniti riprendono la guida della competizione. Dopo la conquista della Luna, altri paesi entrano nella corsa.
- Purtroppo, malgrado i trattati e le diverse convenzioni internazionali, non si è arrivati ad avere un corpus juris spatialis chiaro, che fissi i limiti dell’uso pacifico dello spazio.
Si celebrano in questi giorni i sessant’anni del primo volo nello spazio che ha visto come protagonista il cosmonauta russo Yuri Gagarin, lanciato nello spazio extra terrestre dal vettore Vostok. Gagarin rimase in volo per 108 minuti mandando questo messaggio di pace: «La terra è bellissima da quassù e non si vedono confini». La corsa alla conquista dello spazio, iniziata subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, segnava con il volo di Gagarin un punto di svolta a favore dei russi. Solo l’anno dopo, il 12 settembre 1962, gli Stati Uniti riprendono la guida della competizione con il famoso discorso di Houston del presidente John F. Kennedy: «Nessuna nazione che aspiri a essere alla guida delle altre può attendersi di rimanere indietro nella corsa per lo spazio». Seguì lo stanziamento di molti miliardi di dollari che, con le missioni Apollo, portò il 20 luglio del 1969 Neil Amstrong e Buzz Aldrin sulla Luna, grazie al razzo vettore Saturno V progettato da Werner Von Braun, il fisico tedesco padre delle V1 e V2 con le quali i tedeschi bombardarono Londra. Nel frattempo i russi persero il loro esperto di lanciatori, Sergej Korolev, morto dopo un intervento chirurgico.
Dopo la conquista della Luna, altri paesi entrano nella corsa allo spazio: Francia, Gran Bretagna, Italia, Cina, India, Giappone, Brasile. Nel 1975 nasce l’Agenzia spaziale europea (Esa) grazie a Edoardo Amaldi e Pierre Auger. L’agenzia spaziale americana (Nasa) era nata molti anni prima.
Il 12 aprile 1981 viene lanciato dagli Stati Uniti il primo veicolo spaziale riutilizzabile destinato al trasporto umano, lo Space shuttle, capace di atterrare al ritorno dallo spazio. Nello stesso tempo hanno luogo diverse missioni spaziali con scopo scientifici. Nel 1985 la prima sonda americana raggiunge una cometa, e l’anno successivo, un’altra sonda americana raggiunge Urano. Nel 1990 entra in orbita il telescopio spaziale Hubble.
Il 14 maggio 2009 inizia la missione spaziale Herschel dell’Esa con il lancio in orbita del Surveyor Plank, che fornisce informazioni sulla mappa completa del cosmo subito dopo il Big bang.
Infine, la missione Mars 2020 ha portato su Marte il Rover Perseverance, ammartato il 18 febbraio 2021. Il suo obiettivo è cercare qualsiasi traccia che possa indicare la presenza di vita nel passato del pianeta.
La stazione internazionale
Nel 1998 inizia la costruzione della Stazione spaziale internazionale, posta in orbita a 420 chilometri dalla terra, dedicata alla ricerca scientifica e gestita come progetto congiunto da cinque diverse agenzie spaziali: la statunitense Nasa, la russa Rka, l’europea Esa, la giapponese Jaxa e la canadese Csa-Asc.
Il primo satellite artificiale fu lo Sputnik, lanciato dai russi nel 1957. Da allora migliaia di satelliti sono stati lanciati nello spazio extraterrestre. Attualmente ci sono circa 14mila satelliti di cui il 78 per cento non è più in funzione. Questi sono solo detriti spaziali che si muovono a velocità vicine al 20mila km orari e che rappresentando un pericolo per i satelliti ai quali sono legate molte delle nostre attività quotidiane. Sui satelliti e le infrastrutture spaziali si basano le telecomunicazioni, le transazioni finanziarie e commerciali, la navigazione aerea e marittima, le previsioni meteo, la nostra sicurezza.
Grazie all’esplorazione spaziale si sono sviluppati moltissimi studi: sull’origine, l’evoluzione e il destino dell’universo, sui pianeti extrasolari simili alla terra, sull’origine e il valore della vita attraverso l’analisi delle molecole organiche di natura extraterrestre, studi delle atmosfere di mondi come Giove e Titano, o di Marte, che una volta possono essersi trovati in condizioni adatte allo sviluppo di organismi viventi simili a quelli terrestri.
Nel 1967, sotto l’impulso delle Nazioni unite, è nato il primo trattato per regolare le attività spaziali. A questo sono seguiti altri per la regolazione delle responsabilità dei lanci spaziali, per il soccorso ai cosmonauti e un trattato sulla Luna. I principi fondamentali di questi trattati stabiliscono che lo spazio e di tutti e non può essere oggetti di appropriazione, che i risultati delle ricerche scientifiche devono essere poste a disposizione di tutti e infine che lo spazio può essere usato solo per scopi pacifici.
La scelta di Trump
È apparsa allora una grave decisione quella dell’amministrazione Trump che il 12 febbraio 2020 ha stanziato 40 miliardi di dollari per le imprese spaziali e per la costituzione della Space Force composta da 16mila uomini. Anche la Francia ha di recente cambiato il nome della sua Armée de l’Air in Armée de l’Air et de l’Éspace. Queste azioni sono decisamente in contrasto con l’articolo 4 del Trattato sullo spazio del 1967, che impone l’uso solamente pacifico dello spazio e indicano che lo spazio esterno potrà vedere nuove missioni sulla Luna, su Marte o su altri corpi celesti del nostro sistema solare, ma potrà anche essere teatro di guerre. Una guerra nello spazio non uccide direttamente le persone, ma distruggendo satelliti o altre infrastrutture spaziali può bloccare le principali attività di uno stato.
La storia mondiale degli ultimi cinque secoli offre molti casi di blocchi di terra o navali per isolare un paese dal resto del mondo e costringere quel paese ad accettare la risoluzione di una disputa internazionale decisa da altri paesi. Uno dei più famosi è quello del blocco di terra di Berlino nel 1948 da parte dei russi. Gli americani lo superarono mettendo in atto un gigantesco ponte aereo.
Oggi si può attuare un blocco spaziale, che possiamo definire come un’interruzione deliberata delle operazioni di infrastrutture spaziali critiche, istituite per garantire la continuità delle azioni governative e delle attività commerciali quando le infrastrutture di terra non possono essere utilizzate ad esempio a causa di un terremoto o di altre catastrofi naturali. Esistono due forme di blocco: una è l’interruzione fisica ottenuta dalla distruzione totale o di parte di un’infrastruttura spaziale; l’altra è il blocco elettronico delle comunicazioni attraverso la corruzione dei segnali (jamming, spoofing) e le interferenze dirette alle trasmissioni dallo spazio.
Purtroppo, malgrado i trattati e le diverse convenzioni internazionali, non si è arrivati ad avere un corpus juris spatialis chiaro, definito e sottoscritto da tutti i paesi che svolgono attività nello spazio esterno, che fissi i limiti dell’uso pacifico dello spazio. Nell’Unione europea non si è andati oltre a un progetto di Code of Conduct, dunque una cosiddetta soft law che non ha valore cogente. Questi segnali di guerra spaziale non devono essere sottovalutati. Un blocco spaziale può portare all’embargo di regioni e paesi esacerbando le tensioni già esistenti, che potrebbero portare a guerre tra stati attraverso mezzi non tradizionali, procurando l’interruzione delle operazioni di infrastrutture spaziali critiche, che garantiscono la continuità delle azioni governativa e delle attività commerciali, ovvero protezione civile e sicurezza, approvvigionamento alimentare, servizi sanitari, trasporti, energia, transazioni finanziarie, con grave danno per la popolazione civile.
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