L’unica soluzione della città ai suoi problemi abitativi è occupare quartieri da “riqualificare”. Poco importa che gli appartamenti abbiano l’aspetto del covo di una cellula terroristica
Non so esattamente quando sia successo, ma a un certo punto sono diventata quella persona a cui mandare notizie sul mercato immobiliare milanese. Così quando qualche giorno fa il Corriere ha pubblicato un articolo intitolato “Case, crollano le compravendite immobiliari: a Milano e Roma affari a picco”, io l’ho ricevuto da una decina di persone diverse.
Non posso dire di esserne sorpresa: su queste pagine, ma più che altro a cena, mi sono lamentata della situazione così spesso e con tale veemenza da indurre chiunque a pensare che il tema mi interessi davvero. Forse allora serve una pagina di disambiguazione come per le voci di Wikipedia, per chiarire l’equivoco una volta per tutte: non ho mai davvero cercato casa. Il mio potere d’acquisto non esiste, avrei al massimo la disponibilità economica per comprare una cucina, neanche particolarmente bella (voi avete il porno, io i lavelli di deVOL), e qualsiasi decisione a lungo termine mi atterrisce e paralizza.
Quartieri da riqualificare
Questo tuttavia non mi impedisce di consultare quotidianamente gli annunci prodotti dai miei filtri di ricerca, che come qualcuno si ricorderà si biforcano sul principio di realtà: da una parte le case in cui mai e poi mai potrò vivere (prezzo minimo: un milione), collezionate solo per il gusto di rosicare, dall’altra gli appartamenti in cui verosimilmente, unendo le forze con il mio fidanzato e accendendo un mutuo che mi accompagnerà nella tomba, potrei abitare nel prossimo futuro.
Non che ce l’abbia detto il medico di comprare casa – un gastroenterologo mi consiglierebbe piuttosto di lasciar perdere – ma siamo arrivati in quel momento della vita adulta in cui certe discrepanze cominciano a farsi notare. La più evidente è quella tra le nostre carriere – rispettabili posizioni professionali, buoni stipendi – e l’esiguo numero di metri quadrati a nostra disposizione.
La stanza in cui mangiamo è la stessa in cui guardiamo i film, lavoriamo, stendiamo il bucato e facciamo yoga e seppur questa soluzione per il momento ci vada benissimo, soprattutto perché costa poco e soprattutto a me che sono cresciuta in un una casa in cui non era possibile stare da soli nemmeno in bagno, ogni tanto osiamo sognare. Cosa succede se vogliamo dei figli? Se ci serve uno studio, una camera per gli ospiti, una panic room? Milano risponde: vi attaccate al cazzo.
Milano in realtà suggerisce, per mancanza di alternative praticabili, di andare a occupare quartieri da riqualificare, dove ora nessuna persona sana di mente vorrebbe vivere se non con la speranza che fra una decina di anni qualcuno ci pianti mezzo albero e apra un buon ristorante. Si chiama gentrificazione, e da qualche parte dovrà pur cominciare.
Lettiera al posto del parquet
Così mi sono adeguata ai meccanismi della città e questa settimana mi sono decisa a passare all’azione, aggiungendo un grado di concretezza alla mia ricerca di una casa, fino a questo momento rimasta squisitamente effimera. Ho allargato l’area di ricerca, ho selezionato un appartamento dalla grande metratura e dal prezzo sospettosamente basso, e ho prenotato una visita di persona.
Il mio criterio per aggiungere un immobile alla lista dei preferiti fino adesso è sempre stato molto legato alla presenza del parquet o delle cementine d’epoca. Con un pavimento estetico si è a metà dell’opera, mi ha insegnato mia madre architetta, che ha abbattuto qualsiasi muro di ogni casa in cui abbiamo vissuto (anche creando quel problemino di privacy di cui sopra), ma non mi ha mai negato una bella lisca di pesce in rovere.
Ma la gentrificazione non si fa nei salotti borghesi. Richiede immaginazione, lungimiranza, pensiero magico. E infatti il quadrilocale che decido di andare a vedere non solo non ha né il parquet né le cementine, ma da come si presenta sembra vandalizzato, al punto che mi viene il dubbio che le foto siano state scattate dalla polizia dopo un furto particolarmente tumultuoso.
Decreto che l’appartamento dev’essere condiviso da non meno di dodici persone e che a giudicare dai teli verdi che oscurano le finestre fanno tutte parte di una cellula terroristica. Quello che è certo è che tra questi dodici jihadisti c’è almeno un gatto, perché nel tour virtuale che faccio sul sito dell’agenzia trovo in bella vista una lettiera con la merda dentro. Non demordo, comincio a immaginare quali muri abbattere e come bonificare l’ambiente, di cui sento l’odore dalle foto. Con questo spirito possibilista, prendo due metropolitane diverse e vado incontro al mio futuro.
L’agente immobiliare che mi aspetta al portone ha lo sguardo colpevole, entrambi sappiamo che ci meritiamo di meglio. Eppure manteniamo questo gioco delle parti, mentre lui scavalca un cumulo di immondizia per condurmi al secondo piano senza ascensore, parlandomi del progetto di rifacimento della facciata.
Broccoli e polizia
Con mia sorpresa ci accoglie una signora per bene, che si scusa subito per l’odore che c’è in casa, ma sta preparando i broccoli affogati per la figlia che verrà a pranzo. Io penso che forse la odia, questa sua figlia, e non credo di sbagliarmi, perché in pochi minuti, mentre mi aggiro con circospezione in questa puntata di Sepolti in casa, mi ha già raccontato che la casa la vende solo per avvicinarsi a lei e alla nipotina, che sono andate a vivere in Brianza.
La signora tuttavia non deve averne tanta voglia, perché da quel momento fa di tutto per disincentivare l’acquisto, cominciando coi broccoli affogati (nel letame?) e finendo con la storia della famiglia abusiva che entra ed esce dalle finestre del piano di sotto. «Però tutte le volte che chiamo la polizia vengono in un attimo», aggiunge la padrona di casa, mentre io mi tengo stretta la borsetta.
L’agente immobiliare è nervoso, sa che ogni parola che esce dalla bocca di questa donna sono 20mila euro in meno sul prezzo di vendita. Mi informa che al piano terra hanno ristrutturato e venduto un bilocale per 300mila euro e leggo di nuovo il senso di colpa nei suoi occhi, mentre lui coglie lo sconforto nei miei. Il sottotesto è: lo so che questo posto è un cesso, ma la riqualificazione è già partita e a breve sarà un cesso molto costoso. È la gentrificazione, bellezza.
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