Una ricchissima mostra a Roma sull’arte al femminile nella prima metà del Novecento ci interroga. Hanno senso rassegne di questo tipo? Sì, finché i libri di scuola continuano a ignorare le donne
È assai probabile che la mostra Artiste a Roma. Percorsi tra Secessione, Futurismo e Ritorno all’Ordine (aperta fino al 6 ottobre ai Musei di Villa Torlonia, nel Casino dei Principi) stupisca la maggior parte delle persone che decideranno di visitarla.
Il motivo è semplice: tutt’oggi conosciamo bene i nomi e le opere degli artisti italiani che hanno lavorato all’inizio del Novecento, li abbiamo studiati o perlomeno visti in mostre e musei, molto meno – e forse nulla – il grande pubblico sa rispetto alla presenza delle artiste, della qualità delle loro opere e del loro contributo all’interno del tessuto culturale dello stesso periodo.
Questo perché continuiamo a trovarle con difficoltà nei libri di testo e quando accade spesso si tratta di menzioni, quasi sempre senza analisi e senza immagini. Sono pochi i lavori arrivati a noi, anche perché spesso non fanno parte delle collezioni dei musei pubblici ma appartengono a privati, oppure per molto tempo sono rimasti confinati nei depositi e solo negli anni più recenti, col crescere dell’interesse per l’argomento, hanno cominciato a figurare negli allestimenti permanenti.
Novecento al femminile
Questa mostra si concentra sul clima della capitale tra il 1915 e gli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, presentando lavori di artiste più conosciute, o per nulla, provenienti a volte da culture differenti ma che hanno risieduto o transitato a Roma in quel periodo.
Qui sono state parte integrante della comunità artistica dell’epoca con fortune alterne ma certamente in qualità di professioniste, invitate a prendere parte alle mostre istituzionali più importanti come le Secessioni e le Quadriennali. Si tratta davvero di una buona occasione per vedere lavori che altrimenti ci sarebbero preclusi e per approfondire percorsi professionali inaspettati, anche quando si tratta di autrici ben note.
È il caso di Edita Waterlowna Broglio, fondatrice insieme al marito Mario Broglio nel 1918 della rivista Valori Plastici (attraverso cui diffusero l’idea di un’arte che ritornava alla figurazione tradizionale). Le sue opere giovanili, esposte qui all’inizio della mostra, restituiscono la vicenda per nulla scontata di un’artista che, prima di arrivare alla raffinatezza delle nature morte degli anni Venti, dove per esempio il gioco sui toni del bianco che vediamo in Uova fresche è ipnotico, aveva praticato una pittura espressionista del tutto differente, ricca di colore e materia.
Colpiscono particolarmente le tele a soggetto animale, realizzate con la tecnica dell’encausto, di Immacolata Zaffuto, che grazie alle loro composizioni, alle inquadrature e alle superfici hanno un impatto visivo incredibile. Ci sono poi le composizioni avanguardistiche di Růžena Zatkova la cui ricerca è qui ben rappresentata, oltre che dalle 13 tavole che illustrano la vita di Re David, da alcune opere polimateriche che ne denotano uno sperimentalismo coraggioso.
A testimonianza del contributo dato dalle artiste al futurismo non si poteva prescindere da Benedetta Cappa di cui, oltre alle sintesi grafiche, vediamo esposti i dipinti di aeropittura come il noto Velocità di motoscafo accanto all’opera di Marisa Mori, che incontriamo anche nella sezione dedicata al ritorno all’ordine.
Immancabile la scultrice Antonietta Raphael, senza dubbio la più nota tra le artiste in mostra, della quale sono esposte sculture linguisticamente innovative come Riflesso nello specchio. Ci si può invece perdere nei numerosi dettagli e nel segno espressionista delle nature morte di Pasquarosa Marcelli Bertoletti, mentre richiamano l’attenzione gli audaci contrasti cromatici e il segno deciso di Adriana Pincherle.
Ben diverse, ma altrettanto affascinanti, sono invece le opere veriste di Emilia de Divitiis e quelle realiste di Virginia Tomescu Scrocco che apre il percorso con il dipinto Gioco di bambine e lo chiude – prima delle fotografie di Ghitta Carrel – con un malinconico giovane sul fiume Aniene.
Una presenza occultata
La domanda che può sorgere è: perché abbiamo ancora bisogno di mostre di questo tipo? Vogliamo continuare a trattare le artiste come un capitolo a parte? Non credo, al contrario forse e purtroppo è ancora necessario rammentare che, anche se probabilmente numericamente in minor misura in passato rispetto a oggi, le artiste sono state una presenza massiccia e non sporadica e occasionale.
Al contrario di ciò che invece la loro esposizione episodica – nei casi più fortunati e illuminati – in mezzo a decine e centinaia di opere di colleghi induce a immaginare. Mostre come questa, nelle quali le opere delle artiste del passato vengono messe l’una accanto all’altra, servono evidentemente ancora ad affermare e ricordare il peso granitico di una presenza occultata e di un’assenza forzata che aspetta ancora di essere risarcita.
L’esposizione inoltre testimonia la ricchezza qualitativa delle ricerche di queste artiste e il modo in cui abbiano contribuito a dare vita, esattamente come i colleghi, a diverse correnti e linguaggi della storia dell’arte, a partire dalle secessioni, passando per quell’avanguardia storica italiana che fu il Futurismo e per il ritorno all’ordine.
Eppure, nonostante molte di loro siano conosciute dagli addetti ai lavori e siano state riportate alla luce già tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, l’oscillazione tra riscoperta e ricaduta nell’oblio sembra essere un moto perpetuo e inesorabile.
C’è da augurarsi che, con il fiorire di studi e l’interesse di questi ultimi anni rispetto all’argomento, si riuscirà finalmente a reinserirle definitivamente nella narrazione storico-artistica e a ritrovare i loro nomi non solo nei cataloghi specialistici – come quello che accompagna questa esposizione edito da De Luca – ma anche nei manuali adottati nelle suole.
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