Una mostra al palazzo delle Esposizioni a Roma celebra una vicenda artistica troppo spesso sottovalutata. Così il grande pubblico ha l’occasione di viverne l’evoluzione nel tempo, in un percorso lungo le varie sale
Quella dedicata all’opera di Carla Accardi (Trapani, 1924 – Roma, 2014) al Palazzo delle Esposizioni di Roma è una mostra monumentale e importante – aperta fino al 9 giugno. Accompagnata da un catalogo altrettanto imponente questa antologica rende omaggio, nel centenario dalla sua nascita, a un’artista italiana che è stata un punto di riferimento per diverse ragioni.
L’intera vicenda artistica di Accardi si dispiega tra le sale in ordine cronologico, dagli esordi alla maturità, e restituisce l’evoluzione nella ricerca di un’artista che ha percorso ben sette decenni di storia dell’arte italiana riuscendo, come hanno scritto in molti, a rinnovarsi continuamente senza essere mai incoerente.
Gli inizi
Sin dai primissimi autoritratti degli anni Quaranta sono evidenti le capacità dell’artista che nel 1946, dopo aver cominciato a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Palermo, si trasferisce a Firenze per proseguire gli studi.
Dopo pochi mesi però raggiunge il compagno e artista Antonio Sanfilippo a Roma, dove si stabilisce e dove, nello studio di Renato Guttuso, entra in contatto con la compagine del gruppo con cui darà vita alla rivista Forma.
Nel 1947 infatti Accardi, Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Perilli, Sanfilippo e Turcato pubblicano il primo e unico numero “Forma I. Mensile di arti figurative” nel quale compare un manifesto in cui questi artisti si proclamano “formalisti e marxisti”.
Una posizione che negli anni successivi li porta a scontrarsi con un osservatore di primo piano come Palmiro Togliatti in un dibattito che coinvolge il Partito Comunista e contrappone le ragioni dell’arte a quelle della politica. Nel corso degli anni Quaranta, infatti, Accardi abbandona la figurazione per avvicinarsi all’astrattismo, dapprima geometrico, per poi avviarsi verso una pittura aniconica e dal cromatismo sempre piuttosto acceso.
La crescita
Il decennio successivo, degli anni Cinquanta, la vede invece impegnata nella costruzione di quello che si può definire un alfabeto segnico costituito da elementi che s’intrecciano e sovrappongono, con una tavolozza che però, a metà del decennio, si riduce drasticamente, tendendo a questo punto al bianco e nero.
Il colore torna prepotentemente nella decade successiva, con accostamenti cromatici (per esempio tra tinte complementari) che lo fanno brillare accendendo le opere.
Gli anni Sessanta segnano inoltre un periodo di enorme sperimentazione dal punto di vista dei materiali perché a questo punto Accardi, che già aveva cominciato a dipingere stendendo la tela a terra in orizzontale, comincia a ripetere i propri segni su un supporto nuovo: il sicofoil.
Si tratta di un materiale plastico e trasparente che le permette anche di lavorare per sovrapposizioni di livelli e sconfinare nella tridimensionalità spaziale. In questo contesto arriva a portare la pittura fuori dal quadro, rendendola addirittura edificatrice di ambienti come quello della “Tenda” del 1965, il primo, grazie al quale mette davvero fisicamente lo spettatore al centro dell’opera dipinta.
Un altro esempio straordinario è la “Triplice tenda” del 1969-71, oggi di proprietà del Centre Pompidou, che qui accoglie gli spettatori al centro della rotonda del Palazzo delle Esposizioni, regalando un’immagine dal forte impatto visivo proprio all’ingresso della mostra. Questa fuoriuscita dalla bidimensionalità di una pittura che si fa ambiente è ben documentata in una sala dedicata nella quale si trovano alcune installazioni percorribili.
Arte e femminismo
Gli anni Settanta sono caratterizzati da un asciugarsi del linguaggio nell’opera di Accardi e a livello visivo, esattamente come nello spirito dell’epoca, da un lavoro di sottrazione.
Quest’ultimo lascia spazio anche alla riflessione sui materiali stessi e sul dispositivo del quadro, che per esempio assume la forma di una finestra aperta, oppure ancora ci mostra la sua struttura. Infatti, nelle elaborazioni forse più radicali dei “Trasparenti”, l’artista gioca sugli intrecci del sicofoil intatto, il quale rivela l’ossatura del telaio.
Questo decennio, inoltre, è caratterizzato dall’impegno che Accardi ha profuso nel femminismo – una relazione che sarà oggetto d’indagine approfondita nella giornata di studi del 10 aprile, organizzata in collaborazione con l’Università di RomaTre. Nel 1970 Carla Accardi fonda, insieme a Carla Lonzi ed Elvira Banotti, Rivolta Femminile e ne resta parte attiva nei primi anni, il logo che si trova sulle pubblicazioni del gruppo è suo ed è un’immagine che ritorna anche in alcuni dei suoi dipinti.
Qualche anno dopo, nel 1976, l’artista, insieme a Carabba, Chiabra, Colucci, della Noce, Guidi, Menzio, Montemaggiori, Oursler, Santoro e Truppi, apre la Cooperativa del Beato Angelico a Roma, un luogo nato per dare spazio alle opere delle artiste del presente e del passato.
Qui inaugura lei stessa in quell’anno una mostra personale nella quale realizza “Origine”, un’indagine che nasce direttamente dalla sua esperienza con la pratica dell’autocoscienza femminista. Un’installazione composta da strisce di sicofoil e foto della madre, originariamente realizzata in uno spazio di passaggio e oggi fedelmente ricostruita in mostra.
Contaminazioni
Il decennio degli anni Ottanta per Accardi segna un nuovo momento di importanti riconoscimenti, per la seconda volta la Biennale di Venezia le dedica nel 1988 un’intera sala (la prima risale al 1964), che viene qui quasi integralmente ricostruita attraverso l’esposizione delle stesse opere di grandi dimensioni. In questi lavori, ancora una volta nello spirito di un’epoca ulteriormente diversa, esplode di nuovo il colore e Accardi torna alla tela tradizionale.
Di quest’ultima però spesso utilizza la superficie non trattata come una campitura, rendendola elemento compositivo dell’opera e giocando con il sovvertimento della gerarchia figura-sfondo. Nei dittici e trittici degli anni Novanta e Duemila, accanto a tele dai colori sempre vividi, Accardi riutilizza anche il bianco e nero, mentre la tela grezza rimane parte integrante dell’immagine e le forme si fanno più sintetiche.
Nel corso della sua carriera lo scambio con altri artisti, artiste e intellettuali è stato una caratteristica costante e anche negli anni più recenti Carla Accardi ha continuato a intessere relazioni con le più giovani generazioni di colleghe e colleghi. Inoltre, la passione per la poesia l’ha portata a collaborare con alcuni autori, il frutto di questi incontri si trova esposto a conclusione del percorso di questa mostra.
La mostra
La conoscenza profonda del lavoro di Accardi da parte delle due curatrici di questa antologica, Daniela Lancioni e Paola Bonani, è evidente non solo nella ricostruzione di una vicenda artistica senza pari in Italia ma anche in quelli che potrebbero sembrare, ma non sono, dettagli allestitivi.
Accade in più di una sala di vedere opere disposte sulla parete in modo inusuale, per esempio disallineate, ribassate oppure poste molto in alto. Questa scelta deriva dallo studio, non solo dell’opera dell’artista, ma anche della sua abitudine di allestire liberamente il proprio lavoro nello spazio. In diverse foto d’epoca, che si trovano all’inizio del percorso espositivo, si vede bene come questa modalità fosse quella adottata da Accardi stessa, quando, in vita, esponeva i propri dipinti come in una composizione.
Questa mostra, attraverso un impianto didattico necessario, ha il grande merito di presentare finalmente in modo esaustivo e completo, attraverso oltre cento opere, l’interezza di una vicenda artistica che, nonostante i riconoscimenti ottenuti in vita da Accardi, è ancora non sufficientemente nota al grande pubblico.
Con questa esposizione e con il catalogo che l’accompagna (edito da Quodlibet e nel quale è raccolta una ricchissima antologia critica che va dal 1950 al 2014) risulteranno inequivocabilmente chiari, a chiunque la visiterà, il peso e la qualità che il lavoro di Carla Accardi ha avuto e continua ad avere.
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