La ripetuta vittoria di figure e proposte autoritarie in Occidente – Trump non è l’ultimo – ha reso eclatante che per cambiare rotta non basta denunciare l’ineleggibilità di quelle figure o gridare all’allarme per la democrazia. Bisogna offrire a milioni e milioni di persone colpite da un poderoso aumento delle disuguaglianze, impaurite e angosciate, un’alternativa convincente, con una radicale redistribuzione di reddito e potere e il riallineamento del governo pubblico all’interesse collettivo. Proposte e sperimentazioni di questa strada esistono. Ancora di recente il Forum Disuguaglianze e Diversità ne ha messe sul tavolo diverse per il governo dell’Europa, opposte a quelle su cui parte la seconda Commissione von der Leyen. Le classi dirigenti “progressiste” esitano, propongono rammendi e così si consegnano alla sconfitta. Nella loro paralisi, hanno un solo argomento convincente: che quelle milioni di persone non credono più a un moto di cambiamento collettivo. Non che loro glielo propongano. Ma è vero che il senso comune prevalente plasmato da oltre trenta anni di neoliberismo congela la speranza collettiva.

Come puoi premere affinché la prossima pandemia sia affrontata costruendo oggi una grande infrastruttura pubblica europea per la ricerca e lo sviluppo di farmaci, se pensi che “pubblico” sia sinonimo di inefficienza o di “deep state”? Come avrai voglia di batterti per un poderoso aumento della progressività fiscale, se pensi che “merito” sia la capacità individuale di accumulare ricchezza, dimenticando la moltitudine che ha concorso alla sua creazione? Come puoi sostenere proposte di contrasto della “povertà”, se pensi che sia il destino di chi è un lavativo? Perché mobilitarti e opporti a norme restrittive del diritto di protestare – come il ddl 1660 in Italia – se credi che “libertà” consista nella possibilità di andartene, da un ospedale o da una città, non di criticare e cambiare ciò che non va?

Ecco perché è indispensabile l’impegno per cambiare il senso comune dominante, ossia le predisposizioni mentali, le credenze con cui guardiamo le cose e distinguiamo il giusto dall’ingiusto. Ancora una volta la strada ce la indicano scienza, storia ed esperienze avanzate che pure esistono sotto la cenere. Ci dicono che per cambiare il senso comune non basta l’informazione. Serve la combinazione calda fra due ingredienti: arte e movimenti. Arte e pratiche artistiche hanno la capacità di produrre in noi una frattura emotiva. Di indurre una “simulazione incarnata” delle azioni e sensazioni avvertite. Di farci pensare fuori dagli schemi costituiti. Insomma, di dismettere gli occhiali che abbiamo cuciti addosso e di ante-vedere scenari che quegli occhiali oscurano. Ma la frattura prodotta dall’arte è momentanea e non strutturata, perché l’arte rischia se diviene didascalica. E dunque, affinché si produca un cambiamento permanente nel senso comune prevalente, la frattura indotta dall’arte deve essere allargata dal cuneo di movimenti e mobilitazioni.

Abbiamo rivisitato tanti esempi della storia in cui ciò è avvenuto, contro i poteri e il senso comune costituiti. Talora, pur lavorando per il potere, artiste e artisti lo hanno poi messo alla berlina. E ci siamo immersi nella galassia delle arti contemporanee. Per cogliere la loro forza nell’aprire gli occhi su tragedie e ingiustizie avvenute o possibili, ma meno del passato nel prefigurare utopie e vie di uscita. Per comprendere le distorsioni che vengono da un’industria dell’immaginazione sempre più concentrata e non pluralista. E per fare emergere il radicamento territoriale di queste arti. È una carta che può diventare leva potente co-generatrice di cambiamento e il punto di partenza di messaggi globali. È il caso della mongolfiera di Tomas Saraceno: volata nella Salinas Grandes argentina, ha aiutato ad aprire gli occhi del mondo sui costi umani dell'estrazione del litio per le batterie. O del film Welcome Venice di Andrea Segre sull’alterazione urbana e umana indotta da uno sviluppo privo di uno scopo sociale, divenuto una chiamata a realizzare questo scopo. In entrambi i casi, grazie a un incontro con movimenti politici.

Tutto ciò, frutto di tre anni di lavoro del ForumDD con contributi da ogni campo disciplinare e culturale, è oggi raccolto in L’arte nella contesa per il senso comune: un documento e decine di micro-video discussi domenica scorsa al Festival DiPassaggio di Genova. Sono a disposizione perché le esperienze di incontro fra arte e movimenti possano diventare più consapevoli, valutabili e quindi scalabili. E per promuovere sperimentazioni di sistema di cui abbiamo bisogno con straordinaria urgenza.

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