Hanno visto passare leggende come Wilt Chamberlain, Rick Barry e Jamaal Wilkes. Hanno costruito una delle migliori squadre di sempre con Stephen Curry, Klay Thompson e Draymond Greeni. Ma ora la squadra d’oro dello Stato d’oro sembra arrivata alla fine del suo ciclo
Golden State, lo Stato d’oro. Così chiamano la California, terra di sole, metallo pregiato e campi di papaveri. Ma anche di basket. I Golden State Warriors sono radicati sul Pacifico da oltre sessant’anni. Hanno visto passare leggende come Wilt Chamberlain, Rick Barry, Jamaal Wilkes, fino a costruire una delle migliori squadre di sempre con Stephen Curry, Klay Thompson e Draymond Green. Una dinastia che ha vinto quattro campionati su sei finali in otto anni, così da far concorrenza ai Bulls di Michael Jordan e ai Lakers di Earvin Magic Johnson.
La squadra d’oro dello Stato d’oro sembra ora arrivata alla fine del suo ciclo. L’inaffidabilità caratteriale di Green, il rendimento calante di Thompson e un roster senza nuove stelle giovani. Così declinano gli ex invincibili. Green è sempre stato un guerriero. È nato per infastidire gli avversari con le sue provocazioni, si getta nella mischia per i suoi compagni. Ma il suo ego si è mischiato in quantità eccessiva con la tempra, e il mix ha dato pessimi risultati, trasformandolo da valore aggiunto in un problema.
A ottobre 2022 sferrò un pugno all’ex compagno Jordan Poole durante un allenamento. Una rissa per cui fu multato e che lo indusse a ritirarsi in uno stato di meditazione e isolamento per alcune settimane. Per una morsa da dietro al collo di Rudy Gobert, centro dei Minnesota Timberwolves, ha ricevuto cinque partite di sospensione. Una seconda squalifica, durata tre settimane e terminata qualche giorno fa, è arrivata durante la gara contro i Phoenix Suns del 12 dicembre.
Con un pugno rotante a Jusuf Nurkic, Green si è preso la terza espulsione della stagione. Coach Steve Kerr non nasconde più il malumore, dice che si tratta di «un giocatore da Hall of Fame che sarà ricordato a metà per aver lasciato soli i compagni a causa dei suoi atti violenti». Gli scatti d’ira di Green stanno facendo perdere agli Warriors un senatore dello spogliatoio e una pedina fondamentale per i meccanismi di gioco.
I numeri
Se Golden State è 23esima su 30 franchigie per defensive rating, con 116,9 punti subiti ogni cento possessi, lo scenario in attacco non è migliore. Gli Splash Brothers, Curry e Thompson, hanno perso il loro smalto, e la squadra ne risente. La produzione offensiva è al 14esimo posto con 116 punti segnati ogni cento palloni gestiti. Curry è rimasto da solo a fare da trascinatore.
Lo Chef – questo il suo soprannome – è il decimo per media punti in stagione (26,7 a partita) ed è il secondo più anziano nei primi 50 giocatori della classifica. Solo LeBron James ha un’età maggiore. Per trovare l’altra metà dei Bros, bisogna scendere fino al 71esimo posto.
Thompson ha una media di 17,4 punti, la peggiore dal suo secondo anno in Nba. La guardia è una leggenda, ma anche un uomo di quasi 34 anni che ha subito una rottura del legamento crociato anteriore e quella di un tendine di Achille mentre era sulla via del recupero. Due infortuni che lo hanno tenuto lontano dal basket per due anni e mezzo.
I traumi stanno chiedendo il conto al suo stile di gioco. Thompson fa sempre più fatica a seguire i suoi avversari nelle marcature, anche il suo equilibrio contro i più grandi non sembra più lo stesso. La rapidità che lo ha reso per anni un’arma letale lo affligge anche al tiro, dove alterna buone e pessime prestazioni, lasciando Curry a mascherare le lacune della squadra.
Senza ricambi
Gli Warriors hanno costruito la loro dinastia anche grazie al Draft, l’evento dove si scelgono i migliori studenti del college. Curry e Thompson furono selezionati con la settima e l’undicesima scelta. Green e Kevon Looney sono arrivati con la 35esima e la 30esima.
Negli ultimi anni, però, tra i ragazzi reclutati non c’è stato alcun diamante da sgrezzare. Quelli con Wiseman e Poole, talenti che non hanno spiccato il volo, non sono stati addii dolorosi. Kuminga e Moody, in California dal 2021, non sono ancora sbocciati e sono poco utilizzati da coach Kerr, che ha ammonito il primo («credo che alcune questioni andrebbero discusse in privato») in seguito a una fuga di notizie riguardante il suo malumore. Alle scelte bisogna dare tempo di crescere.
Per questioni anagrafiche è difficile che esploderanno con Curry, Thompson e Green ancora al massimo del loro potenziale. L’età del trio avanza, così come la fine della dinastia che ha lasciato un segno indelebile. Il sole tramonta anche sullo Stato d’oro.
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