Festeggia i 20 anni di attività l’evento culturale nato a Seneghe, cittadina di 1400 anime del Montiferru sardo. Tra ospitalità diffusa e percorsi di autoformazione, un modello virtuoso di valorizzazione della cultura e di un territorio
«Vivo in un posto in cui tutto quello che accade sembra accadere per caso. Dove una strada attraversa il paese. Il paese è quella strada. Nessuno ha scelto di vivere qui. Ma c’è qualcosa che ci trattiene. Perché anche se non c’è amore a volte c’è qualcos’altro».
I versi di “Da qui” scritti da Emidio Clementi per i Massimo Volume campeggiano davanti a uno dei tre bar di Seneghe. Cittadina di 1400 anime, incastonata nei boschi del Montiferru di Sardegna - a una manciata di chilometri dalla Cabras di Michela Murgia e della corsa degli Scalzi, e dalle più belle spiagge del Sinis - che si dipana in un rigolo di vie e vicoli. E che in questo periodo dell’anno, per due settimane, si riempie dei versi di poeti più e meno noti.
Impressi su cartelli colorati, letti e declamati nelle piazze che portano ancora nomi antichi e suggestivi come Sa Prentza de Murone, Pratza de sos Ballos, Putzu Arru o Campo delle querce, per il Cabudanne de sos poetas.
Il festival dei poeti che festeggia il suo 20esimo compleanno e che quest’anno si è svolto dal 25 agosto all’8 settembre. Organizzato dall’associazione Perda Sonadora, la nascita del festival si deve al percorso letterario partito con L’isola delle storie di Marcello Fois a Gavoi che ha portato alla creazione di oltre 75 festival sul territorio nazionale.
Un percorso volto alla riscoperta della tradizione e, contemporaneamente, alla crescita di una società nuova.
I 20 anni del festival di poesia che non c’era
Cabudanne de sos poetas è il festival di poesia che non c’era e, con i suoi 20 anni di vita è ora il terzo per grandezza di una regione che mette la lettura al centro della vita culturale, con un sistema che conta ben 320 biblioteche diffuse in tutto il territorio. Un unicum in Italia, dove un terzo dei comuni non ne ospita neanche una.
Il festival di Seneghe mantiene, però, delle peculiarità che lo rendono unico. Nessun aspetto dell’organizzazione viene appaltato all’esterno della comunità cittadina, non c’è nessuna agenzia coinvolta, né direttori artistici importati da quello che i sardi chiamano “continente”.
Ogni singolo aspetto del festival è curato dai membri dell’associazione Perda Sonadora composta da 70 persone, dai 15 agli 80 anni, di cui sette fanno parte del direttivo e che, da cinque anni, fa anche a meno del direttore artistico.
La programmazione è frutto di un lavoro di lettura e di ricerca che coinvolge tutti gli associati in un percorso, fatto anche di eventi collaterali che dura tutto l’anno.
Un percorso fatto anche di autoformazione dove, edizione dopo edizione, in un contesto dove non vengono importati operatori culturali, i componenti dell’associazione hanno anche la possibilità di crescere e professionalizzarsi.
Valorizzare la cultura e il territorio sardo
La mancanza di strutture alberghiere ha poi spinto Perda Sonadora a creare un altro circuito virtuoso. Sono gli abitanti della cittadina ad aprire le porte delle loro case agli autori che vengono ad animare il festival mettendo in piedi un sistema di ospitalità diffusa che crea un piccolo indotto e grazie al quale quest’anno Seneghe ha accolto ben 120 ospiti che hanno animato i 45 appuntamenti del festival.
Gli autori si mescolano così agli abitanti e hanno anche la possibilità di restare qualche giorno in più per assaporare le meraviglie di una terra aspra quanto meravigliosa e che non si può che amare. Così, la maggior parte delle volte gli ospiti tornano, ma sempre sotto altre vesti.
Perché propongono opere o spettacoli di altri artisti o nel ruolo di presentatori o moderatori di incontri. Il Cabudanne de sos poetas non è soltanto, per importanza, il terzo festival letterario della Sardegna, ma anche un modello virtuoso di valorizzazione della cultura e di un territorio, legato a tradizioni antiche, che ha scelto di aprirsi al mondo, pur restando al di fuori dei circuiti turistici più consumistici.
«Nessuno ha scelto di vivere qui. Ma c’è qualcosa che ci trattiene», scrive Emidio Clementi. Da Seneghe c’è chi se ne va, ma c’è anche (e forse soprattutto) chi decide di restare. O di tornare, come fanno i ragazzi che se ne vanno nel continente a studiare e che poi tornano per il settembre dei poeti o per mettere a disposizione del territorio le professionalità sviluppate.
Come hanno fatto i componenti - tutti under 30 - della compagnia di vignaioli Mussura e la cantina Cuneddu, cresciute insieme al Cabudanne de sos poetas. E come ha fatto Luca Manunza, attuale presidente di Perda Sonadora, anima che ha attraversato tutte le 20 edizioni del Settembre dei poeti, e che, dopo aver studiato a Napoli, è tornato in pianta stabile nella sua terra di origine.
Le radici nella tradizione sarda e lo sguardo rivolto verso una contaminazione culturale ecologica e sostenibile. E c’è anche chi, come Ambra Floris innamorata del senso di comunità creato da Perda Sonadora, ha deciso di lasciare Cagliari per vivere in pianta stabile a Seneghe per portare nel festival il frutto culturale del suo lavoro nel Teatro di Sardegna.
L’eredità del Capudanne, in un’isola dove l’emorragia di abitanti è costante e continua è anche questa.
Una realtà di eccellenza per la terra sarda, realizzata da persone che mettono a disposizione il loro lavoro a titolo gratuito e resa sostenibile a livello economico solo dai fondi erogati dai bandi della Regione e dalla Fondazione Sardegna.
Eppure la relazione con il territorio in cui nasce non è sempre idilliaca. «Ci è sempre sembrato utopico che Seneghe possa accettare senza riserve il Cabudanne», scrive Perda Sonadora.
L’ostilità dell’amministrazione comunale
«Fare un festival ci impone di ripensare continuamente al nostro intervento, nella e con la comunità; ci spinge a interrogarci se qualcosa si sia realmente mosso e si stia muovendo, quali sono stati i passi falsi e come rimediare e migliorare. Perché i festival e i loro effetti ricadono nelle comunità che li ospitano, e hanno sempre difficoltà a essere compresi o accettati».
Ma si fa fatica a comprendere l’ostilità dimostrata al festival dall’attuale amministrazione comunale guidata dalla sindaca Albina Mereu che al Capudanne ha negato il patrocinio gratuito. E che ha deciso di fermare il percorso del festival per il bando Borghi previsto dal Pnrr sostenendone l’esclusione per un “doppio finanziamento” che, di fatto, non sarebbe mai avvenuto.
La poesia e il potere della parola
La ricca programmazione che offre ogni anno il Cabudanne de sos poetas è fatta di una tradizione antica come quella del poetare che si arricchisce delle mille sfumature in cui si possono declinare musica e parole, dalla letteratura al rap, passando per il cinema, il teatro e la musica.
Senza mai dimenticare uno sguardo critico verso la storia e la contemporaneità. «La poesia sarda incontra il mondo» è lo slogan storico a cui il festival ha sempre cercato di restare fedele.
Lo conferma l’edizione del 2024 con i suoi quasi 50 appuntamenti, inaugurati dalle anteprime alla Domo de sa Poesia, iniziate mesi fa con lo scrittore Patrick Chamoiseau e che, a fine agosto hanno visto anche la partecipazione del giornalista Roberto Ciccarelli (ilmanifesto) con il suo libro “L’odio dei poveri” e di Lorenzo Marangoni, campione del mondo di Poetry Slam.
Presentazioni accolte da un pubblico di oltre 50 persone per le anteprime, diventate oltre 500 nei suoi momenti clou. Numeri, che per questo genere di eventi, sono competitivi anche per città come Roma e Milano.
Poesia sarda, rap e Palestina
Il programma, dedicato al 60 per cento alla poesia, ha visto anche la partecipazione di Maria Grazia Calandrone che ha presentato il suo libro “Magnifico e tremendo stava l’amore”, così come quella di Roberta Castoldi, tornata sulla scena dopo 15 anni di silenzio editoriale.
Di rilievo anche l’esordio letterario di Janek Gorczyca con “Storia di mia vita”. L’autore polacco vive a Roma da oltre 30 anni, tra edifici occupati, tende sotto i ponti e semafori.
«Anche i movimenti culturali hanno l’obbligo di fare la propria parte quanto meno nel tentativo di innescare una riflessione comune verso la pace», scrivono gli organizzatori del festival introducendo la partecipazione di Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni unite sui territori palestinesi occupati che ha presentato il suo libro “J'accuse. Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il terrorismo, Israele, l'apartheid in Palestina e la guerra”, in un dialogo con la ong italiana Acs.
Lo sguardo è stato rivolto alla Palestina anche grazie all’evento musicale che ha visto protagonisti Andrea Chimenti (Moda), Antonio Aiazzi (fondatore e componente dei Litifiba), Simone Filippi (Ustmamò) e Gianni Maroccolo, altro storico componente dei Litfiba che, in collaborazione con Perda Sonadora, hanno realizzato uno spettacolo liberamente ispirato e dedicato a Mahmoud Darwish.
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