«La cosa più forte sono i legami umani. Il nostro è un movimento che va dal basso verso il basso e l’obiettivo è di riuscire a mantenere un canale di comunicazione tra le persone, tenere in piedi almeno una briciola di rete sociale che mantenga le comunità coese. Che permetta di sapere, conoscere. Qual è l’ordine di sgombero? Da dove arriveranno oggi le bombe? La mia vicina, mia sorella, sono ancora vive?». Manolo Luppichini, videomaker, regista, con decenni di attivismo (e mediattivismo, come si sarebbe detto nei primi 2000) alle spalle, è una delle anime di Gazaweb. Il progetto della ong Acs Italia che ha dato vita agli Alberi della rete, hotspot rudimentali che hanno permesso di riportare la connessione internet in alcune zone della Striscia. «La nostra è solo una goccia in mezzo al mare, una toppa» continua Luppichini, «e non può essere la soluzione al problema». Dopo i primi bombardamenti israeliani su Gaza e i primi blackout, la connessione è stata una delle prime cose a sparire.

Il modo trovato da questo gruppo di “nerd attempati” come li definisce lo stesso Luppichini, è semplice, ma efficace. Pali su cui vengono issati dei secchielli contenenti smartphone e powerbank alimentate con pannelli solari e delle e-sim. Ogni “albero” diventa così un hotspot che permette a decine di gazawi di collegarsi. «Il nostro è stato un riflesso quasi istantaneo. Acs non riusciva a parlare con nessuno dei palestinesi con cui lavora da oltre 20 anni all’interno della Striscia. Ci siamo resi subito conto che internet era il problema».

Dai satelliti di Starlink alle Reti Mesh: la ricerca di una soluzione

Anche l’Ucraina attaccata dalla Russia si è trovata davanti allo stesso problema: le prime infrastrutture a venire distrutte sono state quelle delle telecomunicazioni. Solo l’intervento di Elon Musk, che ha messo a disposizione della resistenza i suoi satelliti Starlink, ha permesso agli ucraini di tornare a connettersi. Nella Striscia non è successa la stessa cosa. Nonostante una prima offerta di Musk al popolo palestinese, il proprietario di X, a fine novembre, è volato in Israele per incontrare Netanyahu e mostrargli la sua vicinanza. «Starlink non è mai stata la soluzione», raccontano da GazaWeb.

«Allo stesso modo era impensabile appoggiarsi alle compagnie telefoniche palestinesi come PalTel e Jawwal, sistematicamente distrutte dall’esercito israeliano. Abbiamo pensato ai cavi sottomarini che attraversano il Mar Rosso rimandando il segnale ai satelliti che forniscono connessione alle navi. Ma avremmo avuto bisogno di un ricevitore satellitare: impossibile farlo entrare a Gaza». Il gruppo di informatici che lavora con Acs ha perlustrato ogni soluzione, attingendo a quelle che sono le loro esperienze. Alcuni di loro hanno, infatti, lavorato con il progetto Rhizomatica il cui obiettivo è quello di creare infrastrutture di telecomunicazione alternative, senza appoggiarsi sui colossi del web, supportando popolazioni che si trovano ad affrontare regimi oppressivi, disastri naturali. O che, più semplicemente, vivono in aree troppo remote o troppo povere per fare gola ai provider internazionali. «A Oaxaca, in Messico, abbiamo realizzato delle infrastrutture di telecomunicazioni autonome e comunitarie costruendo tutto, incluse antenne e server, da zero.

La rete è gestita con un software open source - il cui codice sorgente è accessibile a chiunque e può essere modificato e distribuito liberamente - e le abbiamo lasciate in gestione alle comunità, dopo averle formate». Rizhomatica nasce con lo stesso principio delle Reti Mesh, «reti di antenne wi-fi in cui tutti i nodi parlano tra di loro e fanno passare il traffico. Per cui tu sei attaccato al tuo vicino che lo è con quello accanto e così, via, nodo dopo nodo, fino ad arrivare al collegamento con la rete internet». Un progetto comunitario che si basa sulla condivisione di saperi e tecnologia, ma che nella Striscia di Gaza, non è realizzabile.

Il Manifesto realizzato da Zerocalcare per Gli Alberi della rete

Le e-sim, l’unica possibilità di attraversare i confini

«Ogni territorio ha la sua geopolitica, non c’è una soluzione unica. A Gaza, poi, è tutto distrutto. Nulla riesce a entrare. Dovevamo lavorare con quello che era già dentro». Bombo è uno degli hacker di GazaWeb, la sua è una lunga storia di attivismo digitale, da decenni lavora in progetti che si occupano di fornire strumenti per l’accesso alle tecnologie e all’informazione dal basso ed è stato uno dei primi a mobilitarsi in sostegno di Acs.

«A Gaza c’erano i telefoni prima delle bombe e ci sono ancora. Così come i segnali delle linee telefoniche israeliane ed egiziane che possono arrivare fino a Gaza City e a Rafah. Ci siamo chiesti come facevano a collegarsi a internet quei pochi che ancora potevano e abbiamo capito che le e-sim erano la nostra unica possibilità. Si attivano con dei Qrcode, quindi sono completamente immateriali; i telefoni possono collegarsi alle linee telefoniche israeliane ed egiziane. A quel punto diventano degli hotspot che permettono di collegarsi anche a 50 persone contemporaneamente e in modo completamente gratuito. Perché a Gaza anche internet è diventato un bene primario da acquistare nel mercato nero». Un sistema ingegnoso e che può sembrare semplice da realizzare. Ma in un teatro di guerra nulla è semplice. Le e-sim funzionano solo con telefoni di ultima generazione, che vanno acquistati sul mercato nero, e hanno bisogno di essere ricaricate. «È per questo che abbiamo lanciato con Acs una campagna di finanziamento perché abbiamo bisogno di mandare mandare soldi nella Striscia».

Sono le relazioni umane a creare la rete, senza relazioni nulla è possibile

«Gli Alberi della rete non sarebbero possibili senza il supporto degli stessi gazawi», continua Bombo. «Sono le persone con cui Acs lavora da oltre 20 anni e che ci permettono di avere un livello di fiducia indispensabile. È a loro che mandiamo i soldi, sapendo che non finiscono nelle mani di Hamas e che serviranno per aiutare famiglie in difficoltà. Per i gazawi è anche un modo per guadagnare un po’ di soldi e sopravvivere. È l’unica cosa che noi, da qui, possiamo fare. Loro, a Gaza, ci mettono la vita».

I telefoni per funzionare hanno bisogno di essere alimentati e l’energia elettrica è un altro dei problemi della Striscia. «Si spostano in parti della città pericolose per raccogliere materiali scampati dalla distruzione: batterie delle auto, pezzi di pannelli solari». Anche l’idea dei pali e dei secchielli per posizionare in alto i telefoni è degli stessi gazawi. I telefoni devono essere in alto per captare la linea telefonica, ma le persone si esporrebbero ai cecchini. «Succede anche che se i soldati israeliani si accorgono che c’è un gruppo di gazawi collegato a internet, attaccano e uccidono. Sono già morte 25 persone così. Ti svegli la mattina e ti chiedi se siano tutti vivi. Ci sono giorni in cui gli diciamo di mollare tutto e di pensare solo a restare in vita». Sono le relazioni umane a permettere che gli Alberi della Rete funzionino: «Senza relazioni la rete non esisterebbe - sottolinea Luppichini - È struggente, ma bellissimo». Perché come aggiunge Bombo: «Facendo questo lavoro ci troviamo immersi nella vita dei gazawi. C’è Ali che ha preso l’epatite perché ha bevuto acqua, Youssef che ha perso il fratello in un raid. Oppure arrivano i video delle esplosioni a cui sono scampati per miracolo. È devastante».

Le radici culturali di GazaWeb: Autistici/inventati e il mediattivismo

Fornire dal basso gli strumenti che permettano alle comunità di condividere informazioni, al loro interno così come al loro esterno. È su questo che i “nerd attempati” di GazaWeb lavorano da oltre 20 anni. Parte di loro proviene da Autistici/Inventati, collettivo nato a inizio 2000, quando internet era ancora una prateria tutta da scoprire, e che da allora fornisce gratuitamente servizi come siti, blog, caselle di posta elettronica. Il loro motto è sempre stato «costruire saperi senza fondare poteri» (Primo Moroni) e sono sempre stati legati all’hacking inteso come pratica che spinge a «metterci le mani, a trasformare le tecnologie per adattarle ai propri desideri e necessità». Utilizzando gli strumenti del software libero.

È lo stesso collettivo che, nel 2001, quando gli smartphone ancora non esistevano e l’adsl era un miraggio, ha realizzato - letteralmente tirando dei cavi da un albero all’altro - l’infrastruttura che ha permesso di avere la connessione al media center progettato durante le giornate del g8 di Genova. E che costituiva la base tecnica di Indymedia, primo progetto di comunicazione dal basso internazionale - nato durante le rivolte di Seattle del 1999 - basato sul sistema di open publishing. Quando i telefoni erano ancora nelle mani di pochi e non esistevano ancora i Cms per aggiornare i siti internet, Indymedia permetteva a tutti di condividere informazioni, video e audio, raccontare quello che vedeva.

«Don't Hate the Media, Be the Media», era il motto di questo progetto precursore del citizen journalism che ha giocato un ruolo fondamentale nella narrazione del g8 di Genova. Connettore di testimonianze e video delle violenze scatenate dalle forze dell’ordine in piazza, così come all’interno della scuola Diaz. La forza di Indymedia era data dalla presenza capillare di mediattivisti in ogni parte del mondo, inclusi Israele e Palestina. Tanto che, durante la seconda Intifada, quando a nessun giornalista internazionale era permessa la presenza, le uniche informazioni dai territori arrivavano grazie a Indymedia. «Adesso non stiamo facendo citizen journalism», raccontano gli informatici di GazaWeb, «stiamo semplicemente fornendo l’accesso materiale a internet, diamo la possibilità a chi è sul territorio di comunicare tra loro e di passare informazioni. I loro racconti possono così arrivare fino ai media e alle comunità internazionali, anche grazie ai social. Il problema vero è che, ormai, siamo anestetizzati. Chiudiamo gli occhi davanti alla distruzione e a tutto il dolore».

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