Esiste una relazione profonda, una connessione estetica tra l’opera del regista e l’utilizzo della musica pop. Tanti i brani, soprattutto, italiani presenti nei suoi film. Un elemento che tocca lo spettatore nel suo intimo
- Alcuni anni fa ho scritto un abbozzo di qualcosa a proposito della relazione profonda tra Nanni Moretti e la popular music
- Esiste una relazione profonda, una connessione estetica tra l’opera del regista e l’utilizzo della musica pop.
- Tanti i brani, soprattutto, italiani presenti nei suoi film. Un elemento che tocca lo spettatore nel suo intimo
Alcuni anni fa ho scritto un abbozzo di qualcosa a proposito della relazione profonda tra Nanni Moretti e la popular music perché avevo l’impressione che non si fosse considerata a sufficienza la connessione estetica da sempre esistente tra la narrazione umana e sociale morettiana e la sua accuratezza nell’utilizzo non tanto o non solo delle musiche (penso per esempio allo straordinario lavoro sonoro originale di Nicola Piovani) ma, più specificamente, del brano musicale afferente alla dimensione popolare: alla canzone, al pop.
Nei film di Nanni Moretti la canzone funziona da sempre come elemento di destrutturazione, si inserisce in quello che potremmo chiamare percorso di straniamento, qualcosa che tocca lo spettatore, catturandolo nel proprio sentire più segreto, forse persino vergognoso, abbandonato e perduto, mettendolo in contatto con il proprio elemento più intimamente farsesco, con la gravità non seria, per dirla alla maniera di Flaiano, del suo sentire e del quotidiano nel preciso contesto nazionale.
A partire dal Köln Concert di Keith Jarrett nella sequenza di Caro Diario in cui la Vespa corre verso Ostia sulle tracce del delitto di Pier Paolo Pasolini, la scelta sonora di Nanni Moretti mostra un’inclinazione naturale al pop: la scelta ricade infatti su un brano tratto da uno dei più noti album jazz della storia, un disco da oltre tre milioni di copie vendute, cioè, in buona sostanza, su un pezzo di statura pop della musica jazz.
Nello stesso film, mentre Nanni Moretti corre, sempre sulla sua Vespa, per le strade di una Roma torrida agostana, parte I’m your man di Leonard Cohen, uno dei masterpiece di maggior successo del cantautore. Ne La stanza del figlio (2001) il regista include, in un momento della storia che declina il dolore in senso riflessivo e intimo, By this river di Brian Eno, dal disco del 1977 Before and after science, sposandone narrativamente il paesaggismo sonoro a tratti paralizzante e altero. In Mia madre del 2015, sull’onda della raffinatezza a cui già ci aveva abituati con scelte come queste quassù, arriva persino qualcosa di più indie e contemporaneo: Jarvis Cocker, cantante e leader dei Pulp, con il suo brano solista Baby’s Coming Back to Me del 2006.
Canzone italiana
La cura per la canzone nelle colonne sonore dei suoi film, per Moretti, passa in modo spiccato da un’attenzione speciale, curiosa e potente per la canzone italiana a cui il regista affida il ruolo di farci sì sorridere, cioè di ridimensionarci nel dramma quotidiano, ma verso la quale mostra una preziosa e precisa predilezione sentimentale, un’evidente attenzione alla parola e alla narrazione che abita il repertorio pop nazionale e, per ingrandimento, al ruolo di grimaldello che questa ha assunto, nel tempo, nelle vite dei suoi connazionali e nella sua.
Quei momenti musicali, in cui spesso il personaggio di Moretti partecipa di fatto implicandosi in prima persona nella colonna sonora, cantando, arrivano allo spettatore come spazi di piccola libertà, spazi bianchi del discorso registico che cedono il passo a un discorso privato in cui il sentimento, la grana più abissale dell’umano, e quindi anche dell’ossessivo che è spesso protagonista delle sue pellicole – ed è, in quanto tale, anche capace di non perdere, delle canzoni, una sola parola. Questo umano, dunque, trova il proprio sfogo, si concede a un’espressione di purezza infantile luminosa agli angoli del buio dell’esistenza.
Appena arrivato come nuovo docente alla scuola Marilyn Monroe, Michele Apicella, protagonista (anche) di Bianca (1984), viene portato a incontrare il professore di storia, una volta aperta la porta Apicella si ritrova davanti al racconto non una guerra ma di una famosissima canzone italiana degli anni ‘60. La storia musicale che racconta il professore – con alle spalle una foto appesa al muro di Dino Zoff che alza la coppa dei Mondiali di Spagna ’82 e che in una scuola come la Monroe funziona come un’alternativa al crocifisso – è riconducibile a quella di Sapore di sale, il brano che Gino Paoli scrisse, pare, dopo un’estate trascorsa a Capo d’Orlando con la giovanissima amante Stefania Sandrelli.
Tuttavia, una volta terminato il suo racconto, il professore in abito gessato, che anziché essere dotato di cartina politica in aula si serve di un juke box, inserisce una monetina e fa partire, mostrando un certo struggimento, Il cielo in una stanza e non Sapore di sale. C’è un errore e non è di Nanni Moretti: non solo, ci avverte in modo pungente, la spiegazione di una hit pop rappresenta un buon esempio di programma di una scuola come la Marilyn Monroe, ma in quella scuola il professore di storia evidentemente non conosce davvero la storia, si approccia pressapochisticamente al pop come forse, tendenzialmente, molti professori di scuole dai nomi assai più altisonanti, si approcciano con leggerezza e scarsa cura al racconto delle guerre puniche o di re e città stato.
Franco Battiato
Gino Paoli, a quanto pare, piace proprio a Nanni Moretti che con alta probabilità vede nella sua musica e nella sua figura qualcosa di adatto, insieme, a enfatizzare il tormento e a generare uno scenario profondamente ironico: il suo brano Amare inutilmente era stato incluso, con lo stesso procedimento insieme romantico e straniante in Ecce Bombo, del 1978. Ne La messa è finita ci sono sia Sei bellissima di Loredana Bertè sia Ritornerai di Bruno Lauzi, Caro Diario invece si chiude sulle note di Inevitabilmente, pezzo del 1991 inciso da Fiorella Mannoia e firmato da Enrico Ruggeri, mentre in un’indimenticabile scena di Aprile (1998) Moretti inserisce Lorenzo Jovanotti con Ragazzo Fortunato (dall’album Lorenzo 1992) a chiudere una sequenza riflessiva e infine liberatoria sul tema della paternità. Anche qui Moretti canta – e balla pure, con in braccio suo figlio Pietro da una parte e, significativamente, lo stereo dall’altra diviso com’è tra giovinezza e maturità da novello padre.
Il nome della canzone italiana più presente nei film di Nanni Moretti, è quello di Franco Battiato, a partire da un’altra scena straordinaria di Bianca in cui Michele Apicella arriva su una spiaggia e, vedendo tutti i bagnanti intenti a baciarsi e pomiciare, si butta su una sconosciuta sola per cercare di fare lo stesso – venendo poi cacciato a maleparole dagli altri dopo le rimostranze di lei mentre cerca di difendersi dicendo: «Ma lo fanno tutti». La canzone che ascoltiamo in quel frammento è Scalo a Grado, brano di Battiato del 1982 inserito nell’album L’arca di Noè, un pezzo che racconta anche di inadeguatezza ed estraneità, come inadeguato ai costumi relazionali è lo stesso protagonista del film, anche in quella scena.
L’anno successivo è tempo del capolavoro La messa è finita: nel film c’è una scena grandiosa in cui don Giulio, interpretato dallo stesso Moretti entra in un bar e si guarda intorno, conosce una bambina, le parla, le sorride, ritrova nella sua pace e nel silenzio degli avventori del locale un po’ di fiducia nell’umanità. Il sonoro trasmette sempre Battiato, questa volta I treni di Tozeur e le parole «e per un istante ritorna la voglia di vivere a un’altra velocità», tanto azzeccate per quella scena. Nel 1989 Battiato torna con E ti vengo a cercare, inserito in una lunga scena chiave di Palombella Rossa in cui Moretti la canta e la fa cantare.
Insieme a te non ci sto più
Nella filmografia di Moretti ci sono poi canzoni italiane che tornano: una di queste è Insieme a te non ci sto più, la hit del 1968 portata al successo da Caterina Caselli, che compare per la prima volta in Bianca – nella sequenza ambientata, ancora una volta, in un bar, quella passata alla storia con la celebre battuta, ironica e devastata di Apicella: «Chiami la polizia perché ora mi sparo» – e che riappare poi ne La stanza del figlio (2001) in una delle celebri cantate in auto dei suoi film.
Non è tutto, a ripetersi è anche una delle migliori canzoni del cantautore siciliano-belga Adamo: il brano si intitola Lei ed è il lato B di un 45 giri del 1966, Moretti lo inserisce dapprima in Ecce Bombo, facendolo risuonare in una sequenza ambientata in una balera estiva, e poi in un’altra cantata in automobile, questa volta ne Il Caimano del 2006.
Anche nell’ultimo film di Moretti, Il Sole dell’avvenire di cui tanto si sta parlando e discutendo in queste ore, la musica ha un ruolo dominante e si fa gancio perfetto per i continui rimandi e citazioni all’opera passata del regista di cui il film è pieno, il tutto aggiungendo nuove canzoni e tasselli in scenari che abbiamo, come si diceva quassù, già conosciuto.
Non manca anche qui la sequenza in cui il regista-protagonista canta in auto, questa volta Think di Aretha Franklin insieme alla moglie Paola interpretata da Margherita Buy; il posto smaccatamente pop che spettava altrove ad Adamo o Jovanotti qui è riservato a Sono solo parole, il pezzo di Noemi scritto da Fabrizio Moro arrivato terzo a Sanremo 2012 che viene lentamente intonato da tutta la produzione, gli attori e i tecnici del film che Giovanni (Moretti) sta girando, ricordando tanto quella scena di Palombella rossa di cui si diceva in cui tutti, dalla piscina della partita di pallanuoto fino agli spalti, intonano insieme, ugualmente in crescendo, il ritornello E ti vengo a cercare.
Anche Battiato ritorna, immancabile e commovente (è il primo film di Moretti in cui ascoltiamo un suo pezzo dopo la morte nel 2018) con Voglio vederti danzare e si sdoppia facendo insieme da colonna sonora al film che stiamo guardando e a quello che Nanni, nel film, non gira ma dice di voler tanto girare: non più un film solo di palazzi e nemmeno uno su un pasticcere trotzkista (anche se qui di trotzkismo ne troviamo in vari formati). «Mi piacerebbe fare un film su cinquant’anni di vita di una coppia, con tante belle canzoni italiane. I due si conoscono, si amano, litigano, fanno figli... Il tempo passa... e tante canzoni italiane. Sì», dice a un certo punto, in auto, alla moglie: ecco che film vorrebbe tanto girare, un film d’amore da cui sbucano Lontano Lontano di Luigi Tenco e La canzone dell’amore perduto di Fabrizio De André, un film che nella mia testa somiglia molto a Le Bonheur di Agnès Varda – nel Sol dell’avvenire, con la stessa coperta di Sogni d’oro, Nanni guarda Lola, il film con Anouk Aimée protagonista scritto e diretto da Jacques Demì che di Varda fu marito e sodale di una vita.
Forse, viene da pensare, le canzoni italiane, le tante e belle canzoni italiane di cui Moretti ha riempito la sua filmografia ci porteranno un giorno di fronte a questo lungo film d’amore che ancora non possiamo vedere, oppure continueranno a essere e sempre più saranno l’espressione di un’aspirazione a quello spazio bianco e libero in cui ci si concede di cedere un po’ delle nostre ossessioni finalmente felici, all’abbandono, a un sentimentalismo virtuoso, al piacere, alla commozione più intima e collettiva.
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