- Strehler com’è la notte? di Alessandro Turci è una prima visione assoluta in programma su Rai 3, l’1 gennaio 2022 alle ore 15.05.
- Nel film, prodotto da Rai Documentari e da Dugong Films, l’archivio Rai “dialoga” con un ricco cast di protagonisti: Claudio Magris, Ornella Vanoni, Franca Tissi, Giulia Lazzarini, Ezio Frigerio, Franca Squarciapino, Giancarlo Dettori, Franca Cella, Vittoria Crespi Morbio, Rosanna Purchia, Maurizio Porro, Stefano Rolando e Pamela Villoresi.
- Al centro del documentario Grassi e Strehler nemici giurati della cultura depotenziata, del bigino elettorale per il popolo, degli intellettuali opportunisti, hanno combattuto su ogni fronte, compreso quello televisivo.
A Capodanno Rai Documentari celebra Giorgio Strehler e Paolo Grassi. Il sodalizio che ha fatto della cultura per tutti il proprio mantra, dal palcoscenico del Piccolo Teatro sino alla presidenza Rai, dai palazzi del potere alle tournée mondiali, un racconto che rappresenta al meglio la scena culturale del secondo Novecento italiano. E lo illumina di prospettive e dibattiti.
Troppo dinamici per starsene con le mani in mano, Strehler e Grassi erano già fronda nel fascismo. E scaltri. Se Milano è una piazza a rischio , si scelgono un teatro nella vicina provincia, a Novara, e portano in scena tre atti unici di Pirandello. È l’inverno del 1943, la vigilia di anni terribili. Ma il sodalizio debutta ugualmente. I gerarchi in sala capiscono al volo: questi due faranno strada, ma fuori dal fascismo.
Eppure sempre da quel grumo nero (mai risolto del tutto nel Paese, obiettivamene) ripartono nel primissimo dopoguerra. Quando c’è da scegliere la sede per il Piccolo Teatro ecco i locali di via Rovello, ex quartiere della Muti, luogo di torture e violenze sui nuclei di resistenza, fortissimi, nella città del movimento operaio, del grande riformismo socialista e, se vogliamo, nella devota città di San Carlo Borromeo. Eppure Milano risorge e si affida, per la ricostruzione morale, alla visione della cultura sociale di Grassi e al magnetismo di Strehler.
Mai tromboni, soprattutto Grassi; Strehler un poco sì, infatti opta per la regia e si toglie prudenzialmente dalle scene. Entrambi hanno capito e coerentemente perseguito un’idea di politica culturale semplice. E come tutte le cose semplici, complessa da fare, cioè da mantenere intatta nella vocazione originaria. Forse per questo l’incontro con la poetica di Bertolt Brecht era, in qualche modo, un segno del destino.
Il rispetto del pubblico
Nessuno prima di loro, e nessuno dopo di loro (ecco perché oggi a teatro ogni tanto ci stropicciamo le orecchie), ha voluto rispettare il pubblico considerandolo un compagno di viaggio durante la rappresentazione. Un sodale col quale interrogarsi, divertirsi, piangere o lanciare, come in Arlecchino, lazzi irriverenti ma puntualissimi, capaci di cogliere debolezze e poesia dell’animo umano; metastorici infine, cioè capaci di attraversare il Settecento goldoniano e parlare alla Repubblica odierna.
Grassi era uomo coltissimo, instancabile, molto determinato. Educato nella sua riluttanza, consapevole dei limiti altrui riflessi nella sua propria nostalgia per un passato irreversibile (la letteratura russa, gli attori italiani minori dell’Ottocento, altri tic del filologo di cose quasi borgesiane, tra il vero e il mitologico) era con Strehler l’immagine dell’intellettuale che non concepisce iato tra pensiero e azione. In questo, erano démodé e risorgimentali.
Ecco perché, dopo il Ventennio, è il secondo ventennio, quello che separa la fondazione del Piccolo (1947) dal ’68 a coglierli quasi di sorpresa. Sono tra i pochi, con Pier Paolo Pasolini, ad aver capito quel momento: la borghesia ama punirsi con le sue proprie mani (sono i versi de IL PCI AI GIOVANI!!) e a trarne conclusioni simili, solo declinate nelle differenti personalità.
La figura di Grassi
Paolo Grassi da figura dialettica, capisce, dibatte, apre le porte del teatro, lo decentra, mentre Strehler si allontana da Milano per quattro anni, capendo tuttavia che Milano era la sola piazza per lui possibile e dove torna perché il suo devoto pubblico di altri registi, magari con idee meno codificate, non sa che farsene. Quando Strehler s’incammina verso la maturità artistica, Grassi prende le redini della Scala.
È in queste svolte che si capisce la misura degli uomini. Per una porta che si chiude un cancello si spalanca, è anche un proverbio popolare. Per Strehler si spalanca la consacrazione, mentre Grassi continua a gestire cultura perché essa arrivi (come messaggio e come prezzo al botteghino) a tutti davvero.
Ma attenzione. Su una cosa entrambi non hanno mai ceduto un millimetro. Sulla volgarizzazione, sul farla facile. Grassi era inflessibile quando, in termini di finanziamenti e di budget, doveva difendere il Piccolo o la Scala da progetti meno sorvegliati e di qualità non assoluta.
A chi gli rimproverava che La Scala potesse sottrarre risorse a teatri minori rispondeva caustico, al limite dell’insofferente, che la qualità del Piermarini, sul quale erano incollati gli occhi severi del mondo, non poteva per nessuna ragione essere minacciata. Toccava anzi ai teatri minori far di necessità virtù, distinguersi, ed entrare con le sue eccellenze (attoriali, scenografiche, organizzative) nell’orbita della Scala.
Hanno combattuto
Nemici giurati della cultura depotenziata, del bigino elettorale per il popolo, degli intellettuali opportunisti, hanno combattuto su ogni fronte, compreso quello televisivo. In un inedito carteggio, Giorgio Strehler e Angelo Guglielmi – mitico uomo Rai di rivoluzioni memorabili – si confrontano vivacemente sullo “specifico televisivo”, tra le righe si legge la tensione tra Strehler – triestino, levantino, zero diplomacy – che insiste per portare il teatro in tv senza se e senza e ma e Guglielmi che replica con un calembour sublime: scusa caro Giorgio se insisto col voler fare televisione con la televisione.
Alla televisione arrivò anche Paolo Grassi. Stefano Rolando (ora presidente della Fondazione intitolata a Grassi) ricorda che quando giunse a Milano a metà degli anni Settanta la notizia che Roma voleva Grassi (allora come vice Direttore Generale per la radiofonia) e di come il sindaco di allora –Carlo Tognoli – iniziò a ricevere lettere di protesta perché non lo facesse andare via. Poi, ai funerali di Grassi, pochi anni dopo, nel tratto tra il Piccolo e la Scala, la delegazione romana sbalordiva di fronte alla città attonita, al suo municipalismo, che sapeva stringersi come nessun’altra attorno ai propri idola tribus. Non per meriti teorici, ma per aver concepito il teatro come i tram che funzionano, come gli asili nido efficienti, come la centrale del latte “garantito”. Insomma la “qualità efficace”.
Un patrimonio per il futuro
Quando il confronto – dopo il crollo della Prima Repubblica – si farà durissimo, anche rispetto alla levatura degli interlocutori, Strehler sceglierà l’esilio volontario in Svizzera e come nei melodrammi più melensi, morirà senza aver visto aprirsi il sipario della nuova sede del Piccolo che sarà a lui dedicata.
Eterogenesi dei fini, arlecchinata totale, guarda un po’ come il fantasioso e scriteriato Strehler alla fine ci lascia un oggi un bellissimo teatro nel cuore di Milano – oltre alla sede storica di via Rovello e a un Teatro Studio notevolissimo – mentre Grassi, il ferreo organizzatore, ci lascia solo la scia immateriale della sua passione nostalgica, tinta di accenti quasi checoviani. Sublime e ascetica.
La vita continua, Strehler e Grassi sono un patrimonio proprio rispetto al futuro. Questo è stato l’obiettivo di Rai Documentari che con la guida di Duilio Giammaria ha deciso di coprodurre questo film; illuminare quel periodo storico in cui opere, i giorni per rafforzare il domani, dal momento che non esiste destino singolare scollegato da quello collettivo. Raccontare personalità individuali per illuminare epoche, contesti e sentimenti collettivi. Municipale il Piccolo Teatro, servizio pubblico la Rai. Ogni apertura di sipario, come ogni accensione di canale televisivo, ambasciatore dello stesso messaggio: mai nascondersi.
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